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Tour de France 2023

Perché i ciclisti sono gli atleti più controllati al mondo: come funziona il protocollo anti-doping

Dopo i soliti sospetti su Vingegaard e Pogacar per l’eventuale utilizzo di sostanze proibite a seguito delle prestazioni mostruose viste durante il Tour 2023, è tornato il tema del doping nel ciclismo. Ma non tutti sanno che proprio i corridori sono gli sportivi più controllati in assoluto.
A cura di Alessio Pediglieri
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Durante il Tour de France 2023 ha destato più di una semplice impressione la potenza e la forza sprigionata durante le tappe da parte di due corridori in particolare, Jonas Vingegaard e Tadej Pogacar a tal punto di sollevare ancora una volta il tema del doping, tra illazioni, sospetti e dubbi. Pochi però sanno che il ciclismo professionista è tra gli sport più monitorati di sempre e i corridori sono gli sportivi che più di ogni altro sono obbligati a sottoporsi a test antidoping sempre, tutti, non solo durante le gare più importanti.

Il retaggio di ciò che per tantissimi anni ha accompagnato il ciclismo – non solo moderno – ha spinto l'opinione pubblica e il pensiero collettivo ad accostare spesso e volentieri il ruolo di campione di ciclismo con quello di atleta dopato. Purtroppo per questo sport i casi sono stati moltissimi in passato, alcuni di incredibile risonanza. Basti pensare ad un campione in particolare, Lance Armstrong che anni dopo confessò le frodi e il sistema strutturato con cui aveva non solo bypassato il sistema ma gestito le varie situazioni, riuscendo a evitare o deviare i test. Oggi all'americano sono state tolte le vittorie del Tour e da allora sono stati fatti passi avanti nella lotta alle frodi con sistemi sempre più sofisticati e controlli più assidui.

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Da sempre le voci di possibile utilizzo di sostanze illecite di fronte a imprese ritenute impossibili ai più, hanno avuto risonanza, ma ultimamente qualcosa è cambiato per far fronte a luoghi comuni e pregiudizi. Così ha avuto visibilità anche la notizia dei quattro controlli antidoping cui in sole 48 ore Vingegaard e Pogacar, in piena gara al Tour sono stati sottoposti. Entrambi, infatti, sono stati chiamati dai commissari e eseguire test sangue – urine, senza che nulla di proibito emergesse. Non si è trattato certamente di accanimento o di una scelta particolare solo per cancellare eventuali dubbi sui più forti ma è una prassi che oramai nel ciclismo vige da anni e alla quale nessun professionista può più sottrarsi. Si tratta di un protocollo preciso e meticoloso che ha permesso negli ultimi 15 anni di ridurre al minimo la possibilità di doparsi e farla franca.

Al di là del sentimento popolare che rinasce ogni qual volta un ciclista compie un'impresa ritenuta ai limiti del possibile, oggi i casi di doping ad altissimi livelli è praticamente pari a zero e gli unici casi avvengono per semplici distrazioni o leggerezze. Non è un caso che nell'ultimo Giro d'Italia, di fronte ad una bronchite o a un accenno di fatica respiratoria, legata spesso al Covid, si sia assistito a ritiri immediati, anche che hanno fatto rumore, proprio per l'impossibilità di potersi curare senza incappare nei test anti doping. Che aumentano laddove le prestazioni e la presenza alle gare più importanti si intensificano. Nello stesso Tour 2023, tutti i corridori in maglia gialla sono stati quotidianamente testati di prassi, oltre ad altri campionati a sorpresa prima e dopo una tappa.

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Nel 2008, oltretutto, il ciclismo è stato il primo sport al mondo ad adottare il "passaporto biologico" uno strumento che archivia e monitora i valori fisiologici di ogni atleta confrontandoli con dei parametri stabiliti su scale internazionali. Il ciclismo ha inoltre aderito al programma "Wada Whereabouts" attraverso un protocollo denominato "Adams", l'Anti-Doping Administration & Management System. Oltretutto dal 2021 i controlli che erano precedentemente effettuati dalla "Cycling Anti-Doping Foundation" (Cadf), sono stati affidati all'"International Testing Agency" (Ita) al fine di garantire criteri unici e sovranazionali. Una procedura esterna persino all'UCI stessa, l'Unione Ciclistica Internazionale per evitare possibili conflitti di interesse, alla quale tutti gli organismi nazionali antidoping (in Italia tramite la NADO) sono obbligati ad aderire e rispettare. Ed è per questo che un ciclista, oggi, può essere tranquillamente considerato il professionista più controllato nel mondo dello sport in generale.

Cos'è il protocollo ADAMS e come funziona il sistema antidoping

Esiste un programma che si chiama "Adams" studiato dalla WADA per controllare 24 ore su 24, 365 giorni l'anno i ciclisti professionisti tesserati nei vari team, al di là di presenza di corse o in periodo di riposo. Un vero e proprio "Grande Fratello" che monitorizza tutti i corridori obbligati a inserire ogni proprio spostamento e i pernottamenti, inserendo anche uno ‘slot' orario (di solito 60 minuti) giornaliero in cui sono obbligati a farsi trovare dagli ispettori che possono verificare a sorpresa agli indirizzi indicati, senza preavviso. Se un ciclista, per qualsivoglia motivo, non è sul luogo indicato, prende una ammonizione e si pone a rischio squalifica.

Non solo: i controlli possono avvenire in qualsiasi giorno dell'anno in qualsiasi orario con la sola differenza che se la verifica avviene fuori ‘slot' il ciclista viene avvisato e si accorda per presentarsi da lì a poche ore ai test antidoping. Se ciò non avviene, alla terza ammonizione scatta automaticamente la squalifica. In media, il sistema Adams testa i ciclisti più attivi e i più performanti, ovvero coloro che ottengono risultati importanti nella classifica UCI sia nelle gare a tappe sia in quelle di una sola giornata, intensificando i test e i controlli che in media – durante l'intero corso di una stagione regolare – non sono inferiori ai 15-20 stagionali.

La schermata del sistema ADAMS che monitorizza tutti i ciclisti e i loro movimenti, 24 ore su 24, 365 giorni l'anno
La schermata del sistema ADAMS che monitorizza tutti i ciclisti e i loro movimenti, 24 ore su 24, 365 giorni l'anno

Il sistema "Adams" raccoglie anche tutti i risultati dei test ma senza che i ciclisti possano vedere ogni singolo valore degli esami sostenuti (urine o sangue) ma solo sapendo se l'antidoping è stato positivo o negativo, per evitare che si possano scaricare e alterare eventuali allegati. I controlli possono essere combinati, urina e sangue, oppure solamente uno dei due e una volta presente il commissario, dopo aver identificato il ciclista controllandone generalità e documenti, fino alla conclusione dei test seguirà il corridore a vista in qualsiasi sua attività quotidiana. Tutto ciò fa parte dei doveri dei professionisti della bici, così come la compilazione di un documento in cui, attraverso sempre il sistema "Adams", si comunicano le residenze, suddivise in quattro trimestri, da completare e inviare entro la fine del trimestre precedente a quello in oggetto.

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