Shon Weissman e i post su Gaza: “Perché non gli sparano in testa e basta?”, rivolta a Dusseldorf

L'attaccante israeliano, Shon Weissman, è finito nella bufera per alcuni post del recente passato nel quale, in seguito all'attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, si chiedeva cosa aspettasse il governo a intervenire militarmente sganciando "bombe da 200 tonnellate su Gaza". Non è stata l'unica frase che a Dusseldorf ha provocato la sommossa social dei tifosi del Fortuna, che hanno avviato perfino una petizione affinché l'operazione non fosse portata a termine. E ci sono riusciti. Non hanno dimenticato né il ‘mi piace' a chi teorizzava la "cancellazione dalla mappa" di quella fetta di territorio da annientare né quel "perché non gli sparano in testa e basta?" a corredo di alcune foto di palestinesi detenuti.
Tutte affermazioni che risalgono all'epoca dei fatti, successivamente cassate dai profili ma non cadute nell'oblio. E oggi quelle posizioni hanno di fatto provocato il fallimento della trattativa di mercato tra la società tedesca e il Granada. "Eravamo molto interessati al suo acquisto – ha fatto sapere la società, che pure aveva difeso la propria scelta salvo fare marcia indietro vista l'ondata di proteste – ma alla fine abbiamo deciso di non procedere al suo ingaggio". Non è spiegato esplicitamente perché ma, considerato il contesto, è stato facile trovare il nesso tra il diniego e il clamore per le posizioni del calciatore.
A tutto ciò Weissman ha reagito condividendo su Instagram un messaggio nel quale ha rivendicato identità, origini e s'è scagliato contro l'orrore subito dal suo popolo. Tra le frasi che sintetizzano il suo pensiero ce n'è una in particolare "Nessun estraneo potrà mai comprendere veramente quello che abbiamo passato". L'incipit dello sfogo è intriso d'orgoglio e di dolore.
Sono figlio di una nazione ancora in lutto per gli orrori del 7 ottobre. Quel giorno nero, in cui intere famiglie furono assassinate, rapite e brutalizzate, rimane una ferita aperta per me come persona, come membro di una famiglia israeliana e come atleta che rappresenta il mio Paese.
Sangue su sangue e quella sottile linea rossa tra giustizia e voglia di vendetta caratterizzano la parte centrale della sua riflessione.
È possibile e necessario opporsi al danno arrecato a persone innocenti da entrambe le parti – si legge ancora – ma non permetterò che mi si dipinga come qualcuno che ha promosso l'odio. Se per alcuni è difficile accettarlo, dovrebbero riconsiderare quanto accaduto il 7 ottobre. Pur accettando tutte le critiche, mi addolora che non sia stato considerato il contesto completo. In un momento di dolore nazionale e personale, rimango fedele ai valori dell'umanità, della sportività e del rispetto reciproco.
La parte conclusiva del post è una professione di attaccamento e fiducia nei confronti del Paese, Israele, che sosterrà sempre e ovunque.
In fin dei conti, una persona starà sempre dalla parte del proprio Paese, qualunque cosa accada. Nessun estraneo potrà mai comprendere veramente quello che abbiamo passato. La lealtà non è in discussione. Soprattutto quando il tuo popolo sta ancora seppellendo i suoi morti. Sono profondamente grato per il supporto che ho ricevuto dalle persone che mi conoscono davvero e continuerò a portare con orgoglio la bandiera israeliana ovunque giochi.