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Pasquale Mazzocchi a Fanpage, dal San Paolo al Venezia: “Ho lottato tanto, ora sogno l’azzurro”

Pasquale Mazzocchi è riuscito a prendersi la Serie A a 26 anni, dopo una lunga gavetta e tanti sacrifici: “La gente pensa che la vita del calciatore sia bellissima, ma non sa quanti sacrifici si debbano fare”. La sua storia, da Napoli al Venezia, passa anche dai tatuaggi che adornano la sua pelle: “Per me la fede è tutto”. E adesso, da punto fermo degli arancioneroverdi, sogna la maglia della Nazionale.
A cura di Sergio Stanco
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Prendete lo stereotipo del calciatore di Serie A, quello che se la tira, che fa la star, che gira col bolide e si fa accompagnare dalla velina di turno. Ecco, ora cancellatelo dalla vostra mente. Perché oggi parliamo di Pasquale Mazzocchi, 26enne napoletano DOC, uno che non è stato baciato dal Dio del Calcio con un talento soprannaturale, ma che la Serie A se l’è guadagnata lo stesso, con sudore, sacrifici e volontà. Uno che sulla schiena non ha tatuato draghi o teschi, né frasi ad effetto, ma una splendida immagine del Cristo, con tanto di corona di spine a testimoniarne la sofferenza e nel cuore, e sul cuore, porterà per sempre l’amico d’infanzia, scomparso troppo prematuramente. Uno per cui la famiglia è tutto, a partire dalla moglie conosciuta da ragazzino nel quartiere e che non ha più lasciato. Uno che è rimasto lo stesso e che ogni volta che torna a Barra, nella periferia di Napoli, torna ad essere quel bambino che da lì è dovuto partire a 11 anni per inseguire un sogno. Il sogno lo ha realizzato, per la gioia di tutti: sua, della sua famiglia, dei suoi amici e di un intero quartiere, che oggi lo considera un esempio. Uno che, nonostante le difficoltà, ce l’ha fatta. Pasquale oggi gioca in Serie A e di Barra è l’idolo, anche se lui si schermisce quando glielo diciamo. Dopo tanta gavetta, a Venezia Mazzocchi ha trovato definitiva consacrazione, gioca con continuità come esterno basso (destra o sinistra non fa differenza) ed è diventato una delle sorprese del campionato (e anche la “certezza” di diversi fantallenatori che hanno scommesso su di lui, alcuni dei quali proprio nello spogliatoio del Venezia). Ma l’approccio non cambia: umile ma determinato, perché dopo tanti sacrifici, è giusto raccogliere i frutti…

Buongiorno Pasquale, cominciamo dall’inizio: come nasce la passione per il calcio?
“Facile, a Napoli si vive di pane e pallone. L’amore per il calcio è insito nel popolo napoletano, mio papà è un grande appassionato, i miei due fratelli maggiori hanno sempre giocato, uno è stato vicino alla Roma e un altro al Torino, senza però riuscire ad arrivare ad alti livelli. Da ragazzino ho sempre giocato per strada con gli amici, da mattina a sera, fino a quando, ad 11 anni, ho lasciato la famiglia per inseguire il mio sogno…”.

Già, perché ad 11 anni sei andato a Benevento per fare sul serio…
“Sì, mi sono trasferito a Benevento e ho cominciato lì il mio percorso nelle giovanili. All’inizio è stata durissima perché, benché alla fine fosse ad un’ora da Napoli, tornavo a casa solo una volta ogni due mesi. I miei genitori, poi, non avevano le possibilità per venirmi a trovare, anche perché in famiglia siamo sei figli, puoi immaginare. Dunque, ero davvero solo, ho lasciato famiglia, amici, scuola e ho dovuto ricominciare da capo e gestirmi come fossi un adulto. E ancora me li ricordo quegli attimi, la notte era difficile prendere sonno. La gente pensa che la vita del calciatore sia bellissima, ma non sa quanti sacrifici si debbano fare per arrivare in Serie A. E in molti, nonostante i sacrifici, non ce la fanno. Io stesso ho avuto tantissimi momenti di sconforto, sono stato più volte sul punto di mollare tutto…”.

Quanti amici, magari più forti di te, si sono persi per strada?
“Per giocare a calcio devi avere la testa giusta, quello deve essere il tuo obiettivo nella vita, solo così puoi farcela. Ho conosciuto tanti ragazzi fortissimi, che però hanno smesso perché non erano disposti a fare i sacrifici. Io ho affrontato tutte le difficoltà e sono andato avanti. E quando ero sul punto di crollare, ho sempre potuto contare sul sostegno della mia famiglia e, soprattutto, dei miei fratelli. Ogni volta che avevo un dubbio, loro mi dicevano “Non fare i nostri stessi errori, guarda quanti rimpianti abbiamo noi oggi”. Loro sono stati la mia benzina”.

Chi era il tuo idolo da ragazzino?
“Da piccolo giocavo esterno alto, quindi ho preso Cristiano Ronaldo come riferimento. A quei tempi l’alternativa era tra Messi e Ronaldo, in ogni caso cascavi bene (ride, ndr), ma per caratteristiche e ruolo mi rivedevo più nel portoghese. Quando a Parma ho cominciato a giocare da esterno basso, invece, il mio esempio è sempre stato Zanetti, perché trovo che sia stato uno dei terzini più forti della storia”.

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Come è stato crescere a Barra?
“A Barra, come in altri quartieri di Napoli, la realtà era molto difficile ai tempi e – purtroppo – oggi non è migliorata. Ho ancora tantissimi amici lì e molti sognano di partire per crearsi un futuro diverso. E’ brutto da dire, ma è così, perché il rischio, ovviamente, se non sei abbastanza forte, è quello di prendere brutte strade”.

Quante partite in piazza sognando di giocare al San Paolo e quante in Curva al San Paolo sognando la Serie A?
“Ci andavo spesso allo stadio, anche perché mio fratello era un tifoso sfegatato e mi portava con lui in Curva. Fino a quando ho vissuto a Napoli, era una bella abitudine andare allo stadio con lui e gli amici. Poi, quando mi sono trasferito a Benevento, è successo più raramente, ma la passione è rimasta”.

Il calendario ti ha giocato un brutto scherzo, però: una beffa la squalifica alla prima giornata, proprio al Diego Armando Maradona contro il Napoli. Dove l’hai vista e come l’hai vissuta?
“Alcuni miei compagni mi dicevano di andare comunque allo stadio, ma non ce l’ho fatta, ho preferito guardarla a casa e soffrire sul divano con mia moglie. Tutta la famiglia è tifosa del Napoli, mio papà si è messo addirittura a piangere quando ha saputo che avrei saltato la partita. Sai com’è, vedere tuo figlio esordire in A contro il Napoli, sarebbe stata un’emozione indescrivibile, ma purtroppo non è andata così… E’ stato comunque bello ed emozionante farlo a Udine la settimana successiva, anche se poi la partita non è finita bene (3-0 per l’Udinese, ndr)”.

Sarai comunque l’idolo del quartiere: raccontaci qualche aneddoto di quando torni a casa…
“No dai, non esageriamo, l’idolo mi sembra un po’ troppo (ride, ndr). Ho tantissimi amici che mi seguono, che mi scrivono sempre prima e dopo la partita e che sono ovviamente orgogliosi di conoscere qualcuno che giochi in Serie A, ma sinceramente io sono rimasto sempre lo stesso. Quando vado in giro per Venezia e qualcuno mi riconosce, e mi chiede una foto o un autografo, fa sempre piacere. Quando torno a Barra, si vede che la gente mi guarda con occhio diverso ora, perché sono un giocatore di Serie A, ma per me non è cambiato nulla. Napoli è sempre la mia città e Barra sarà sempre il mio quartiere, là sono cresciuto e da lì è cominciato tutto”.

Cosa ti rende più orgoglioso oggi?
“Io sono molto orgoglioso del percorso che ho fatto, di non aver mai mollato, nemmeno quando la gente mi chiedeva cosa ci facessi in quarta categoria a dieci ore da casa. Ho sempre tenuto duro, ho sempre pensato di farcela e, alla fine, ora lo posso dire, ho avuto ragione io”.

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Venezia, se possibile, è quanto di più lontano possa esserci da Napoli: com’è viverci e come ti sei ambientato?
“E’ ovviamente bellissimo. Il centro sportivo in realtà è a Mestre, molti giocatori abitano a Treviso, ma appena ho l’occasione cerco di visitarla perché sembra di essere in un altro mondo. Proprio l’altro giorno ho fatto un giro in gondola con mia moglie, è stata una bellissima emozione. Venezia è unica, è un quadro, e poi la gente è molto amichevole, aperta, sembra quasi di essere a Napoli”.

A Venezia hai trovato la tua consacrazione definitiva: qual è il segreto?
“Segreti non ne conosco, l’unica regola che funziona, è dare sempre il massimo e andare sempre a mille. A Venezia ho trovato un allenatore che mi ha dato grande fiducia: nel calcio si vede subito la differenza tra un giocatore in fiducia e uno che non ce l’ha, è lampante. Per me è la cosa più importante e Mister Zanetti non me l’ha mai fatta mancare. Io, ovviamente, cerco di ripagarla con impegno e sacrifici, perché non ti devi mai sentire arrivato, quello sarebbe l’inizio della fine…”.

La tua carriera è un inno alla perseveranza e determinazione: hai fatto tutta la gavetta fino alla A…
“Ma davvero tutta, non mi sono fatto mancare nulla. Qualcosa me lo sarei anche risparmiato volentieri, eh, invece no, ho deciso di prenderla alla larga (sorride, ndr). Alla fine, però, mi è servita tantissimo e, tornando al discorso di prima, mi rende orgoglioso, perché io non ho preso scorciatoie, tutto quello che è arrivato, me lo sono guadagnato sul campo”.

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Un tuo tifoso su Instagram ha scritto che sei “impegno, costanza e sacrificio”. Un altro “11 Mazzocchi 11 Leoni”: ti riconosci? Cosa manca?
“Ovviamente fa piacere, io so quali sono le mie caratteristiche, i miei punti di forza e cerco di sfruttarli al massimo, ma so anche che ho tanti punti deboli, sui quali lavoro giorno dopo giorno in allenamento. Io sono così, so di non essere nato fuoriclasse, ma pure che posso dire la mia, anche in Serie A”.

A chi devi dire grazie per essere arrivato fin qui? 
“Non voglio sembrare presuntuoso ma, come ho detto prima, tutto quello che è arrivato me lo sono guadagnato sul campo, lavorando giorno dopo giorno, lasciando casa ad 11 anni e girando i campi di periferia di tutta Italia. Io non devo nulla a nessuno, ma ovviamente ho avuto tante persone care che mi sono state vicine nei momenti bui, come la mia famiglia o il mio procuratore (Luigi Lauro, ndr), che mi hanno sempre supportato e dato i consigli giusti”.

Potresti essere la sorpresa del fantacalcio: tu ti sei comprato? 
“No, non ho offerto, perché io resto umile (sorride, ndr). Però so che qualcuno del Venezia mi ha comprato e mi dice che sto dando diverse soddisfazioni, sono contento”.

Qual è stata l’emozione più grande finora?
“Sicuramente l’esordio in Serie A, perché è stato un po’ come la chiusura di un cerchio, l’arrivo di una scalata. Arrivarci a 26 anni, dopo tanti sacrifici, è stato un grande orgoglio. Una sensazione e un’emozione che non potrò mai dimenticare. E poi il gol del febbraio scorso all’Empoli, perché dopo tanto tempo ero tornato a segnare e ho potuto dedicarlo ad un amico scomparso che, ne sono certo, da lassù mi sta guidando e tifa per me”.

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Hai un tatuaggio meraviglioso di un Cristo sulla schiena: cosa rappresenta per te la Fede?
“Per me la Fede è tutto, se non credi in Dio non credi in nulla. Qualcuno mi critica per quel tatuaggio, ma io sono un vero credente. Lo sono io, lo è la mia famiglia e anche mia moglie. Io rispetto tutti, ma mi aspetto che gli altri facciano lo stesso con me”.

Posso chiederti, invece, chi è il bimbo che hai tatuato sul cuore?
“E’ l’amico a cui ho dedicato il gol contro l’Empoli. E’ un ragazzino con il quale sono cresciuto nel quartiere, eravamo inseparabili. Purtroppo, a 9 anni una meningite se l’è portato via e da allora non c’è giorno che non lo ricordi. Oggi spesso i giovani si chiamano “Fratello”, ma lui per me lo era davvero. E, quando è morto, con lui se n’è andata anche una parte di me. Sembrano frasi fatte, ma posso assicurare che non lo sono. E se ho intrapreso questa carriera lo devo anche a lui, perché sono sicuro che, in qualche modo, da lassù, mi ha dato il coraggio di lasciare tutto e trasferirmi a Benevento”.

Ce n’è qualcun altro di tatuaggio, magari meno visibile, a cui sei particolarmente affezionato?
“Sì, quello del mio cane, perché l’affetto di un cane è impagabile. Il rapporto che si instaura non si può spiegare se non l’hai mai vissuto. Un figlio ti cambia la vita e anche di più, e spero di poter vivere anche questa esperienza, ma intanto l’arrivo di Jason ci ha portato un sacco di gioia e serenità”.

Hai visto il tatuaggio del giocatore dello Sheriff Sebastien Thill che ha segnato al Bernabeu? Lui che sogna la Champions League: se dovessi tatuarti il tuo sogno?
“Bella domanda, ma non ho dubbi: mi tatuerei con la maglia dell’Italia addosso, perché è il sogno ogni bambino e di ogni calciatore. Non riesco neanche ad immaginarmi l’emozione”. E chissà che – presto – anche questo sogno non diventi realtà…

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