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Luca Caldirola: “Berlusconi fece un discorso e pensai: questo è matto. Galliani mi mise i brividi”

Intervista a Luca Caldirola: la sua storia nel calcio, dal tifo per il Milan agli inizi nell’Inter, dall’avventura al Monza di Berlusconi e Galliani alla nuova sfida con la Folgore Caratese di Criscitiello.
A cura di Sergio Stanco
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Si può nascere milanisti ed avere un fortissimo attaccamento ai colori nerazzurri, come Luca Caldirola? Si può, perché un conto è il tifo, un altro il senso di appartenenza, riconoscenza e gratitudine. Lo spogliatoio è anche condivisione, famiglia e affetti. Così, se a sette anni ti arriva la chiamata dell’Inter, e tu sei tifosissimo del Milan, ci sta di titubare, ma a trentacinque anni hai soltanto certezze: “Aver accettato ed essere cresciuto nelle giovanili dell’Inter, è stata la scelta migliore che io potessi fare. È stato un viaggio meraviglioso, dai Pulcini fino all’esordio in Prima Squadra. Sarò sempre grato alla famiglia nerazzurra, perché mi ha fatto diventare uomo, prima che calciatore”. Dopo un inizio che prometteva benissimo, e una onesta carriera spesa soprattutto all’estero (anche se un po’ condizionata da infortuni), Luca Caldirola ha esordito in Serie A a ben ventinove anni (è tutto vero, non è un errore) e la sua storia ha davvero degli incroci molto particolari. A farlo esordire, bomber Pippo Inzaghi, quello che lo ha fatto esultare tante volte davanti alla TV. Ad allenarlo al Monza, Sandro Nesta, il suo idolo da ragazzino. Il Monza di Berlusconi e Galliani, coloro i quali hanno portato il suo Milan sul tetto del Mondo. Ce ne ha da raccontare, Luca, quindi mettetevi comodi che inizia lo show…

Partiamo veramente dagli inizi: a chi dobbiamo il Caldirola calciatore?
“La colpa, se così si può dire, è di mio papà, ex portiere a discreti livelli, che allenava in una società che si chiama Base 96. Mio fratello più grande aveva già cominciato a giocare, anche lui come portiere, ovviamente. Così a quattro anni, decisamente sotto età, ho voluto iniziare anche io. Prima anche io come portiere, ma poi ho subito cambiato ruolo, anche se a quell’età parlare di ruoli non ha molto senso. Fai conto che non c’era neanche la squadra per la mia categoria”.

Dunque, la passione arriva da tuo papà, che ti ha trasmesso anche la fede calcistica?
“Inevitabilmente sì: mio padre è sempre stato milanista e dunque sono cresciuto in una famiglia rossonera. Quando, però, ho iniziato a giocare nelle giovanili dell’Inter, ovviamente si è dovuto un po’ “convertire”, diciamo così (sorride, n.d.r.). Ricordo quando è arrivata la chiamata dell’Inter: io pensavo veramente solo al calcio e il Milan era la mia squadra del cuore; quindi, mi son chiesto “Ma davvero voglio andare all’Inter”? Pensieri da bambino, naturalmente, ma adesso posso tranquillamente dire che è stata la scelta migliore che potessi fare. In nerazzurro sono diventato uomo, ho conosciuto persone meravigliose che non smetterò mai di ringraziare. È stato un percorso stupendo, conservo ricordi bellissimi che saranno sempre parte di me”.

Luca Caldirola da bambino.
Luca Caldirola da bambino.

Dai Pulcini alla Prima Squadra, con tanto di esordio in Champions League al posto di un certo Chivu…
“Un’emozione che non si può raccontare, perché è un momento che sogni fin da bambino e che, in un attimo, diventa realtà. Ricordo ogni secondo e, ogni volta, mi vengono ancora i brividi”.

Facciamo però un passo indietro: con le giovanili dell’Inter hai vinto il campionato di giovanissimi nazionali e il torneo di Viareggio con la Primavera, eppure di quella rosa non sono molti i giocatori arrivati ad alti livelli: come te lo spieghi?
“Il calcio non è una scelta esatta e, lo dico sempre, la testa fa la differenza. Mi è capitato un sacco di volte di vedere ragazzi in serie inferiori e chiedermi “Ma che ci fa questo qui?”. Tuttavia, il percorso è pieno di incognite, di sorprese e, se non sei preparato, certe difficoltà non le superi…”.

A proposito di giocatori forti che hanno un po’ sperperato il proprio talento, tu hai fatto le giovanili con un certo Balotelli: com’era il “piccolo” Mario?
“Un ragazzo d’oro, davvero. Semplice, umile, genuino. Ma il Mario che conosco io è sempre stato così. Diciamo che quando era in gruppo si faceva un po’ trascinare, ma non ho mai visto in lui un atteggiamento “cattivo”. Per il resto, parliamo di un giocatore dalle doti immense, che probabilmente non abbiamo mai visto espresse nella loro interezza. Per il Balotelli che ho visto io nelle giovanili, parliamo di un giocatore da Pallone d’Oro. Io ero convinto che sarebbe arrivato a quei livelli e che, prima o poi, l’avrebbe anche vinto”.

Ci sono molti tuoi ex compagni che non hanno avuto la tua stessa fortuna: come si gestiscono questi “fallimenti”?
“Non è mai semplice, perché fin da bambino tu sogni di fare il calciatore e quando capisci che non potrai realizzarlo, rimane inevitabilmente deluso. Secondo me, bisognerebbe non pensare esclusivamente al calcio, ma coltivare altri interessi e avere sempre un piano B. Inoltre, un sostegno psicologico per i ragazzi, fin dalle giovanili, potrebbe aiutare. Noi abbiamo ancora una chat con i ragazzi dei giovanissimi nazionali, non molti di loro sono riusciti a diventare professionisti, in tanti fanno tutt’altro oggi. Ai nostri ragazzi va spiegato che c’è altro là fuori e, anche se non diventi calciatore, la vita continua…”.

E quale sarebbe stato il piano B di Luca Caldirola?
“Probabilmente avrei studiato psicologia. È un mondo che mi affascina, leggo molti libri sull’argomento. Ora un po’ meno perché la famiglia mi rapisce, ma appena posso cerco di approfondire”.

Chissà, dunque, magari un futuro da psicologo dei calciatori?
“No, non credo proprio (ride, n.d.r.). Ovviamente mi piacerebbe rimanere nel mondo del calcio, ma in altre vesti, magari da allenatore, non so. Adesso penso solo a fare bene con la Folgore, per pensare ad altro c’è tempo”.

Ecco, appunto, facciamo un salto in avanti nella nostra cronistoria: scendere in Serie D è sintomo di passione o semplicemente un modo per rinviare l’inevitabile?
“E’ solo adrenalina ed entusiasmo, quello che mi ha trasmesso il Presidente Criscitiello. Mi è bastato parlare cinque minuti con lui per convincermi del progetto. Avevo offerte dalla Serie B e dall’estero, ma quando mi ha spiegato i suoi piani per la Folgore Caratese non ho avuto dubbi”.

E la stagione sta andando secondo le aspettative…
“Vogliamo fare un campionato di vertice, sappiamo che non sarà semplice andare in Serie C, anche perché c’è un avversario altrettanto forte come il Chievo, ma noi facciamo il nostro campionato e, poi, alla fine, tireremo le somme…”.

Torniamo al tuo esordio: immagino la gioia dei tuoi genitori…
“I miei non sono mai stati troppo espansivi, per cui non abbiamo fatto grandi festeggiamenti, però sono certo che fossero contenti per me. E io per loro, perché so quanti sacrifici avessero fatto per me: la mia è una famiglia assolutamente normale, mio papà era operaio e mia mamma faceva la cassiera in un supermercato, sostenere un ragazzo che sognava di fare il calciatore, economicamente e non solo, non è stato facile, te lo posso assicurare”.

Immagino che tu abbia fatto loro un bel regalo il giorno del primo contratto importante…
“Avrei voluto, ma loro non me lo hanno mai permesso. E questo dice tutto sullo spessore umano dei miei genitori. Hanno continuato a lavorare sempre, non mi hanno mai chiesto nulla, né hanno mai voluto che regalassi loro qualcosa”.

Tu, però, te lo sarai fatto un regalo…
“Non sono mai stato un ragazzo esoso, i miei genitori mi hanno insegnato ad avere rispetto per i soldi. Il massimo che mi sono concesso, a diciotto anni, è una Mini Cooper, che mi serviva per andare agli allenamenti, tra l’altro (ride, n.d.r.)”.

Caldirola con la maglia dell’Inter.
Caldirola con la maglia dell’Inter.

Hai esordito nell’Inter di Gasperini: non è andata molto bene, ti sei spiegato perché?
“Sì, secondo me il mister è capitato nel momento sbagliato. Quella era un’Inter piena di campioni, ma a fine ciclo. Si vedeva che Gasperini aveva idee innovative, ma forse inadatte a quella squadra. Lui avrebbe voluto giocare uomo contro uomo a tutto campo, ma probabilmente non aveva i giocatori adatti, o disposti a farlo, in quel determinato momento. La sua carriera, però, ha dimostrato che aveva ragione lui: ha letteralmente cambiato il mondo del calcio, ora sono tantissime le squadre che cercano di imitare il suo gioco”.

Come hai detto tu, era un’Inter piena di campioni: chi ti ha impressionato di più?
“Io, per ruolo, guardavo a Samuel, Chivu e Lucio, ma davvero c’era solo l’imbarazzo della scelta. Era come stare all’Università del Calcio: Zanetti, Stankovic, Thiago Motta, dove ti giravi cascavi bene. Ricordo che quando facevo gli allenamenti con loro mi dicevo: “Ne devi mangiare di polvere se vuoi arrivare a questi livelli…”. Prima di iniziare le sedute, si faceva un po’ di torello: quando sfortunatamente capitavo in mezzo, non uscivo più (ride, n.d.r.)”.

Tu non ci hai giocato insieme, ma di quella squadra ha fatto parte anche Fredy Guarin: immagino tu abbia saputo che ha attraversato momenti complicati con problemi di alcolismo. E non è un caso isolato, penso anche ad Osvaldo e altri esempi simili: secondo te, perché succede a ragazzi che sembrano avere tutto dalla vita?
“Semplice, perché uno da fuori vede solo il calciatore, magari quello che guadagna un sacco di soldi, ma non riesce a capire che dietro ci sono ragazzi semplici, che spesso non riescono a gestire patrimonio, fama, successo e si fanno trascinare in situazioni sbagliate. Il mondo del calcio è pieno di falsi amici. Se non te ne accorgi in tempo, rischi davvero di entrare in un vortice da cui poi è difficile uscire”.

A te è mai capitato?
“Sì, come a tutti i calciatori professionisti, ma fortunatamente ho sempre avuto un sesto senso per distinguere quelli che erano amici del Caldirola calciatore da quelli che, invece, erano semplicemente amici di Luca. Ai primi, non ho mai dato modo di entrare davvero nel mio mondo”.

Dopo le esperienze all’estero (Vitesse in Olanda, Werder Brema e Darmstadt in Germania), sei tornato in Italia e hai esordito in Serie A a 29 anni: qualche rimpianto di non averlo fatto prima?
“Assolutamente no, perché fin da ragazzo ho sempre sognato un’esperienza all’estero e sia in Olanda che in Germania mi sono trovato benissimo. Poi, io dico sempre che sono nato tedesco (ride, n.d.r.), per cui mi sono trovato benissimo nei miei anni in Bundesliga, mi sentivo a casa. Inoltre, in Germania ho giocato a livelli altissimi: ricordo ancora le battaglie contro Lewandowski: un mostro! E, comunque, con lui c’erano anche Ribery e Robben, una roba da mal di testa. Quelle sono esperienza che non dimenticherò mai, anche se davvero toste (sorride, n.d.r.)”.

Caldirola e Filippo Inzaghi ai tempi del Benevento.
Caldirola e Filippo Inzaghi ai tempi del Benevento.

A farti esordire in A, però, un certo Pippo Inzaghi: com’è stato trovare in panchina un bomber che ti ha fatto esultare da tifoso?
“Strano, ma bellissimo, perché Pippo è davvero uno tosto e un ottimo tecnico, uno che crea un gruppo eccezionale ovunque vada e, il primo anno, a Benevento, abbiamo stra-dominato il campionato di B. Ricordo la sua voglia, la sua grinta, la sua mentalità, non voleva perdere neanche in allenamento. Facevamo i cross e si giocava 3 contro 3 in area, si buttava anche lui e, quando non faceva gol, quanto si incazzava… (ride, n.d.r.). Ma erano più le volte che segnava, ovviamente, e allora esultava come se avesse vinto la Champions League. Questo ti fa capire, nonostante tutte le vittorie, quanto conti la mentalità. Purtroppo, l’anno dopo in A, non andò altrettanto bene, ma certamente non solo per colpa sua…”.

Ti sorprendono le difficoltà che sta vivendo a Palermo?
“No, perché comunque è un ambiente che da tanto tempo aspetta il grande salto ma che, per un motivo o per un altro, tarda ad arrivare. In queste situazioni la pressione può triturarti. Conoscendo Pippo, però, sono convinto che alla fine ne verrà fuori e che il Palermo lotterà fino alla fine per la promozione”.

Contro il tuo Monza, per altro…
“Sì, non so se contro, però, perché credo che il Monza sia fuori categoria. Ha una rosa che, secondo me, sarebbe in grado di salvarsi anche in Serie A. Ero convinto che i miei compagni avrebbero fatto bene, ci è voluto un po’ di tempo, ma alla fine le qualità tecniche e morali di quel gruppo sono venute fuori e – non vorrei portare sfortuna – ma sono sicuro che la stagione si concluderà nel migliore dei modi”.

Ma che effetto ti ha fatto, da milanista, essere chiamato dal Monza di Galliani e Berlusconi?
“Ricordo ancora la telefonata del Direttore. Era un numero sconosciuto e io di solito non rispondo. Vedo che insiste e allora mi decido a rispondere: “Sono Galliani – mi fa – ti va di tornare a casa?”. A me erano già venuti i brividi. “Perfetto, siamo d’accordo allora, adesso sbrighiamo tutto e vieni in ritiro con noi”. Anche questo un sogno che è diventato realtà, io sono cresciuto andando a vedere il Monza al Brianteo, perché sono di lì. E, poi, essere chiamato dal Dottor Galliani non è proprio così frequente… (ride, n.d.r.)”.

Non possiamo non chiederti un aneddoto sul Presidente Berlusconi…
“Aveva un’aura magica, prevedeva le cose. Ricordo che il primo anno, l’ultima partita, andiamo a Perugia e, se avessimo vinto saremmo andati in A. Invece, abbiamo perso. Noi distrutti, non riuscivamo a scuoterci. Lui arriva al centro sportivo e fa: “L’anno prossimo quando saremo in Serie A…”. Io pensavo: “Ma questo è matto”. Noi eravamo sottoterra e lui già parlava di cosa avremmo fatto l’anno prossimo in Serie A. Il suo sogno era di portare il Monza in Europa e sono convinto che, se fosse ancora vivo, ora il Monza sarebbe in Champions League. Poi, era estremamente competente calcisticamente parlando, ma anche una persona simpaticissima: quando raccontava le barzellette “sporche” era uno spettacolo!”.

Galliani premia Caldirola dopo le 100 presenze con il Monza.
Galliani premia Caldirola dopo le 100 presenze con il Monza.

Al Monza hai avuto anche Palladino come allenatore, per altro un’intuizione di Galliani e Berlusconi: che effetto ti fa vederlo ora all’Atalanta e come pensi possa andare?
“Non so di chi sia stata la decisione di portarlo in Prima Squadra, ma devo dire che era stata accolta con un po’ di scetticismo da tutti noi. Eravamo in una situazione difficile, dunque immaginavo che venisse scelto un allenatore di esperienza. Quindi, quella scelta ha sorpreso tutti, ma ancora una volta hanno avuto ragione loro. Mi son bastati pochi allenamenti per capire di avere davanti un allenatore con idee chiare e anche innovative. Poi alla prima è arrivata la vittoria contro la Juve e da lì tutti i dubbi sono svaniti. Sono sicuro che all’Atalanta farà bene, perché anche con noi è arrivato in corsa, ma è entrato subito nelle nostre teste, facendoci fare uno switch immediato. A Bergamo farà lo stesso”.

A Monza sei stato allenato anche da uno dei migliori difensori della storia del calcio italiano: qualche suggerimento utile?
“Nonché mio idolo fin da bambino… Per me Sandro Nesta era il prototipo del difensore perfetto. In quanto ai consigli, lasciamo stare, ai suoi tempi si menava e basta (ride, n.d.r.). A parte gli scherzi, lui era di un’eleganza meravigliosa, io lo ammiravo e tentavo di imitarlo, ma con scarsi risultati. Consigli tanti, ma a livello difensivo il calcio è cambiato molto rispetto ai suoi tempi. Ad ogni modo, un allenatore preparato e una persona umanamente eccezionale. Anche nel suo caso, non ho dubbi che troverà la sua strada in panchina”.

Ti ha sorpreso, invece, il grande salto di Di Gregorio alla Juve? Qualche critica è arrivata…
“Ingenerosa e ingiusta, secondo me. DiGre ha fatto stagioni eccezionali al Monza, negli ultimi anni ha avuto una crescita eccezionale. Non dimentichiamoci che ha vinto il premio come miglior portiere della Serie A (nel 2023/2024 n.d.r.). Poi, è chiaro, quando sei in una grande squadra, fanno più notizia le sbavature, perché di errori veri non ne ha mai commessi, piuttosto che le grandi parate: dopo Madrid, ad esempio, si è parlato troppo poco della sua prestazione. Michele si merita solo grandi elogi, anche perché oltre ad essere un professionista serio e un ottimo portiere, è anche un ragazzo eccezionale. L’anno scorso, dopo aver giocato a Venezia e conquistato la Champions League all’ultima giornata, anziché andare a festeggiare, è venuto qui a Carate per un evento di beneficenza della mia associazione. Questo ti dice chi è. Non toccatemi DiGre che divento una tigre come lui (sorride, n.d.r.)”.

Hai avuto un’ottima carriera, anche se non è ancora finita, ma c’è un rimpianto che ti porti dietro?
“Sicuramente mi sarebbe piaciuto fare un’esperienza nella Nazionale A, ma non c’è mai stata l’occasione. Ecco, direi che quella sarebbe stata la ciliegina sulla torta. Ad ogni modo, non ho di che lamentarmi, è stato un viaggio stupendo e sono molto orgoglioso di quello che ho fatto”.

E, comunque, c’è ancora una seconda vita calcistica: chissà che il sogno Nazionale non si possa realizzare in altre vesti…

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