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Leao racconta l’inferno dei tifosi all’assalto: “Nello spogliatoio con cinture e spranghe”

In uno stralcio dell’autobiografia il calciatore del Milan menziona quella “tragedia sportiva” che fu drammatica. “Non ho potuto però fare a meno di denunciarli. E da quel momento sia io sia la mia famiglia abbiamo subito minacce pesanti. E mi considerano un traditore”.
A cura di Maurizio De Santis
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Rafael Leao aveva solo 18 quando capì che nel calcio non basta mettere il cuore dentro alle scarpe per realizzare un sogno. In Portogallo sentì sulla propria pelle cosa significa avere paura e decise che da lì, dallo Sporting, sarebbe andato via. Al Milan sembra aver trovato la giusta dimensione per dare forma alle ambizioni da ragazzo: lo scudetto è un primo passo, il resto lo scoprirà solo giocando.

Nel libro autobiografico (Smile, la mia vita tra calcio, musica e moda) c'è un passaggio nel quale racconta il terrore e la follia, di quando ha toccato con mano entrambe. E ha rischiato di farsi male. Domenica 13 maggio 2018, quella data ce l'ha scolpita dentro e nella memoria: la sconfitta con il Maritimo fu devastante per lo Sporting che non riuscì a qualificarsi per la Champions.

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Quel che accadde dopo il match lo ha ancora davanti agli occhi: fu il motivo che lo spinse a mollare tutto, fare i bagagli e decidere di trasferirsi al Lille, in Francia.

Me ne andai quando avevo 18 anni dopo che 50 persone tutte incappucciate entrarono nello spogliatoio per aggredirci con cinture e spranghe. Fra quelle persone inferocite c'era anche un mio ex compagno di scuola. Quando lo riconobbi fu tremendo.

Un esperienza drammatica. Una "piccola tragedia sportiva" che avrebbe provocato una rivoluzione, nelle carriere dei singoli e nel club per le cessioni e la fuga da quell'inferno.

Nessuno era preparato a quanto sarebbe successo. Circa 50 persone, incappucciate e vestite di nero, entrarono nel nostro campo di allenamento, presero di mira l'allenatore Jorge Jesus, il suo assistente e i primi calciatori che trovarono a tiro, colpendoli con cinture e spranghe di ferro. Dost ebbe la peggio: gli aprirono la testa e dovettero ricucirgliela con punti di sutura. Ma anche Rui Patricio e William vennero colpiti. Eravamo tutti sotto shock, non avemmo neanche il tempo di reagire.

Com'è stata possibile una cosa del genere? La realtà è che il club non aveva capito la gravità della situazione. Non pensava che la contestazione potesse arrivare a un livello del genere, ecco perché non era stato preso alcun provvedimento né misure di sicurezza.

Non ho potuto però fare a meno di denunciarli. E da quel momento sia io sia la mia famiglia abbiamo subito minacce pesanti. Ancora oggi, a distanza di anni, se mi capita di commentare una foto dello Sporting o di qualche calciatore dello Sporting, mi ritrovo col profilo invaso da gente che mi chiama traditore. E mi ricordano ancora lo stesso inferno che avevo vissuto in quelle settimane.

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