La bordata di Goretti a Pioli, alle radici della crisi della Fiorentina: “Luglio e agosto i mesi della presunzione”

Roberto Goretti analizza la crisi della Fiorentina. Il direttore sportivo a ridosso del calcio d’inizio della partita di Conference League a Losanna, persa 1-0 dalla Viola, è intervenuto ai microfoni di Sky Sport e ha commentato il momento che sta attraversando l’ambiente, sottolineando la necessità di ritrovare compattezza.
"È un momento in cui bisogna ritrovare un equilibrio giusto, che ci sia coesione all’interno del gruppo e di tutte le componenti della Fiorentina. Parlavamo con i ragazzi di quello che è successo in questi momenti e ragionavamo che in Fiorentina abbiamo vissuto mesi come luglio e agosto nella presunzione, settembre e ottobre nello smarrimento. Adesso dobbiamo essere coesi e coerenti perché da questo buio è ora di accendere la luce". Queste le parole del dirigente del club toscano.

Queste parole appaiono come una vera e propria bordata nei confronti di Stefano Pioli, che aveva iniziato la stagione e poi è stato rimosso dalla guida tecnica.
Alle radici della crisi della Fiorentina: cosa è successo da luglio a dicembre
La stagione della Fiorentina ha ormai superato i contorni di una semplice flessione ed è diventata una crisi profonda, che coinvolge risultati, identità e assetto societario. A metà dicembre i viola sono nelle zone basse della Serie A, con appena 6 punti in 14 partite e nessuna vittoria: uno scenario impensabile solo pochi mesi fa, che li vede invischiati nella lotta salvezza insieme a squadre costruite per altri obiettivi.

Le difficoltà del campionato si riflettono anche in Europa. La Conference League, che negli ultimi anni era stata un terreno di certezze, si è trasformata in un percorso incerto: dopo il successo sulla Dinamo Kiev, la sconfitta di Losanna ha spento ogni entusiasmo, costringendo la Fiorentina a passare dai playoff. In entrambe le competizioni emerge lo stesso copione: squadra fragile, poco reattiva, incapace di gestire i momenti decisivi e di imporre un’identità chiara.
Il clima interno è teso e nervoso, come dimostrano anche episodi apparentemente marginali, diventati però simbolici di un ambiente logorato. Ma la crisi non nasce oggi. Dopo anni di stabilità con Italiano e segnali incoraggianti nella fase successiva, il progetto avviato con Stefano Pioli non ha funzionato, nonostante un mercato importante. L’arrivo di Paolo Vanoli non ha invertito la rotta: la squadra continua a mancare di certezze e di una direzione definita.

A complicare il quadro sono arrivate le dimissioni del direttore sportivo Daniele Pradè e la percezione di una società meno presente e incisiva, con una catena decisionale che appare fragile proprio nel momento di maggiore bisogno. Le parole di Vanoli dopo il ko europeo raccontano una situazione limite: serve reagire subito, capire chi è disposto a lottare e affidarsi anche al mercato di gennaio.
Oggi la Fiorentina non parla più di ambizioni europee. L’obiettivo è diventato uno solo: salvarsi e ricostruire basi minime di fiducia. Senza una svolta immediata, il rischio è che questa stagione scivoli verso uno dei capitoli più amari della storia recente viola.
Fiorentina, l’incubo che ritorna: investimenti, illusioni e lo spettro del 1993
Nonostante un mercato estivo da oltre 90 milioni di euro, la Fiorentina non è riuscita a dare una svolta alla propria stagione. L’esonero di Stefano Pioli non ha prodotto l’effetto sperato e nemmeno l’arrivo di Paolo Vanoli ha cambiato l’inerzia di un’annata che continua a scivolare via tra delusioni e inquietudini. Tra i tifosi viola riaffiora così un ricordo che fa tremare i polsi: quello della drammatica retrocessione del 1992/93, maturata nonostante in squadra ci fosse un fuoriclasse come Gabriel Omar Batistuta.

Basta evocare quella stagione per riaprire una ferita mai del tutto rimarginata. Anche allora, come oggi, l’estate aveva alimentato grandi aspettative. La Fiorentina di Vittorio Cecchi Gori, con Gigi Radice in panchina, investì cifre importanti e si presentò ai nastri di partenza con ambizioni europee. Batistuta, arrivato l’anno precedente dal Boca Juniors e già autore di una stagione promettente, era affiancato da innesti di spessore come Baiano, Brian Laudrup e Stefan Effenberg: una rosa che sulla carta sembrava pronta per lottare in alto.
L’avvio di campionato fu travolgente, con il 7-1 rifilato all’Ancona, ma presto arrivarono i primi segnali inquietanti. Il Milan di Capello umiliò i viola al Franchi con un clamoroso 7-3, anche se a dicembre la vittoria per 2-0 sulla Juventus proiettò la Fiorentina addirittura al secondo posto. Fu il punto più alto di una stagione che da lì in avanti prese una piega disastrosa. Il 3 gennaio, la sconfitta interna contro l’Atalanta di Lippi scatenò la furia di Cecchi Gori e portò all’esonero di Radice.

Con Aldo Agroppi in panchina la situazione non migliorò, lo spogliatoio si sfaldò e i risultati precipitarono: nelle ultime venti giornate arrivarono appena tre vittorie. Dopo il pesante ko con la Juventus del 25 aprile, anche Agroppi fu sollevato dall’incarico e la guida passò a Chiarugi e Antognoni. Nulla però riuscì a fermare la caduta. All’ultima giornata il 6-2 sul Foggia non bastò: il pareggio tra Roma e Udinese condannò la Fiorentina alla Serie B dopo 54 anni di permanenza.
Il riscatto arrivò subito: Batistuta scelse di restare, Claudio Ranieri riportò i viola in Serie A e nacque un nuovo ciclo con giovani come Toldo, Robbiati e Flachi. Oggi, a distanza di trent’anni, il parallelo fa paura. È ancora dicembre e il futuro resta tutto da scrivere, ma l’ombra di quel passato torna a incombere su Firenze.