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Mondiali in Qatar 2022

Inviato oscurato in diretta, il Qatar mostra il suo volto: minacciano di rompere la telecamera

Primi problemi per i giornalisti inviati in Qatar per la copertura dei Mondiali di calcio che cominciano domenica prossima. Un reporter danese è stato interrotto in diretta dall’arrivo degli agenti della sicurezza: “Avete invitato il mondo intero a venire qui. Perché non possiamo filmare? È un luogo pubblico”.
A cura di Paolo Fiorenza
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In attesa che le nazionali qualificate per i Mondiali raggiungano il Qatar, dove domenica prossima il torneo iridato comincerà con la partita inaugurale tra i padroni di casa e l'Ecuador, nel Paese mediorientale sono già presenti le troupe di diverse televisioni che seguiranno la manifestazione. Per il momento ovviamente si tratta di reportage extracalcistici, per dare conto dei luoghi su cui per un mese si appunteranno i riflettori di tutto il mondo. Eppure anche una banale ripresa di una piazza di Doha può dare vita a ‘contrattempi' con le autorità locali, trasformandosi in un'eco delle problematiche legate alle libertà individuali in Qatar, più volte denunciate negli ultimi mesi.

L'incipriata che l'emirato arabo si è data per l'occasione, volendo apparire come più tollerante di quello che gran parte dell'opinione pubblica mondiale e le associazioni internazionali per i diritti umani stanno evidenziando da tempo, evidentemente non regge quando non tutti gli elementi della macchina della propaganda sono ben avvisati di ponderare bene le loro mosse. Molto si è detto sulle condizioni di lavoro simili a schiavitù dei migranti che hanno costruito gli stadi e altre infrastrutture in Qatar negli anni scorsi, così come è stato posto l'accento sulla repressione dei diritti degli omosessuali. Ma anche la stampa libera non se la passa benissimo da quelle parti, per usare un eufemismo.

Lo ha scoperto ieri sulla propria pelle il corrispondente del canale pubblico danese TV2, Rasmus Tantholdt, e con lui i telespettatori che in quel momento stavano assistendo al suo servizio. Il giornalista è stato infatti bruscamente interrotto dall'arrivo di agenti di sicurezza della capitale qatariota, che hanno intimato a Tantholdt e al fotografo Anders Bach di spegnere la telecamera perché non avevano il permesso necessario per filmare. La reazione dell'inviato è stata ferma: "Avete invitato il mondo intero a venire qui. Perché non possiamo filmare? È un luogo pubblico", ha protestato.

Poi Tantholdt ha provato a far capire agli uomini della sicurezza qatariota di avere l'accredito per filmare dove voleva, ma uno degli agenti ha minacciato di rompere la telecamera. Non si è arrivati a tanto, anzi il reporter ha poi fatto sapere di avere ricevuto le scuse dal Qatar International Media Office e dal Qatar Supreme Committee, ma la vicenda mostra quale sia il volto del Paese arabo, per quanto lo si voglia imbellettare agli occhi del mondo. "Succederà anche ad altri media?", si chiede il giornalista danese.

"Hanno paura che alcune di queste cose vengano alla luce – spiega Tantholdt – La mia esperienza dopo aver viaggiato in 110 paesi in tutto il mondo è che più biancheria sporca hai in cantina che non vuoi mostrare, più difficile è per noi giornalisti denunciare. Questo è quello che stiamo vivendo qui. A loro non piace il fatto che i giornalisti vadano nei campi dei migranti per filmare liberamente e intervistino gli omosessuali per strada. Insomma esporre le cose che il Qatar non è troppo felice di far vedere al resto del mondo. Vogliono mostrare una grande festa di calcio in cui tutto va bene, ma come possiamo vedere ovviamente deve essere fatto con il loro permesso".

Dopo l'interruzione della trasmissione, la squadra di TV2 ha dovuto aspettare mezz'ora prima che arrivasse il capo della sicurezza e comunicasse ai suoi agenti che i permessi erano in regola: "E poi ho quasi ricevuto delle scuse. Tuttavia, non completamente – spiega il 49enne giornalista – Ma ho preso da loro una tazza di succo di melograno, quindi forse era una specie di scuse. Di certo non sono abituati alla presenza di una stampa libera nel loro Paese". Diciamo che non siamo partiti benissimo.

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