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Il 2021 in saliscendi di Roberto Mancini: dopo l’impresa più grande ci sono la paura e un dilemma

Mai nella storia un tecnico della Nazionale ha vissuto un anno così estremo come quello di Roberto Mancini alla guida dell’Italia, campione d’Europa ma in dubbio verso i Mondiali.
A cura di Jvan Sica
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Roberto Mancini ha vissuto l’anno più estremo che un allenatore di calcio, ma a tratti si potrebbe dire un uomo, poteva vivere. È un anno da percorrere nella sua interezza per capire il saliscendi erto e scosceso che ha dovuto percorrere accompagnato dal gemello Vialli.

I primi mesi dell’anno per un tecnico della Nazionale sono sempre di preparazione e analisi. Per ogni addetto ai lavori, l’Italia nel gennaio 2021 era una squadra poco più che mediocre, potremmo dire media per non colorare troppo negativamente proprio la sua medietà. La squadra base disponeva di un portiere molto promettente ma con alcuni momenti di vuoto preoccupanti, come quello sulle uscite alte, una difesa molto in là con gli anni e anche forse passata da un punto di vista tecnico, un centrocampo di qualità in cui però non emergeva mai nessuno con la personalità del leader, l’attacco peggiore fra le Nazionali di prima fascia, tanto è vero che proprio la prima fascia non è detto che la meritavamo.

Andando a pescare l’Italia dallo sprofondo della catastrofe di un Mondiale mancato nel 2018, Mancini ha costruito la sua squadra, prendendo e sapendo rimodellare le migliori proposte tecniche del campionato italiano degli ultimi cinque anni. Mancini ha preso da Sarri, Gasperini e Allegri, cercando di miscelare nelle fondamenta tattiche della Nazionale i principi fondamentali di tutti e tre i tecnici più interessanti e vincenti dell’ultimo quinquennio.

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Facendo questo, dando semplicemente un’identità e un ordine all’Italia era riuscito a vincere il proprio girone di Nations League, superando l’Olanda ad Amsterdam nella partita migliore degli Azzurri da anni a questa parte e a marzo avrebbe iniziato subito con le qualificazioni Mondiali, preparatorie poi per gli Europei da disputare a giugno. Le tre partite contro Irlanda del Nord, Bulgaria e Lituania sono tre vittorie per 2-0 ottime nel dare maggiore consapevolezza al gruppo, conscio però insieme all’intero ambiente che gli avversari del futuro saranno di altro genere. Mancini arriva al momento delle convocazioni senza la pressione che hanno avuto altri selezionatori in passato, i 26 da scegliere erano per forza di cose quelli sia perché gli italiani di quel livello non erano molti di più e anche perché nel modello di squadra costruito da Mancini le scelte erano in pratica già predefinite. Saltano per infortunio Sensi e Pellegrini ed entra in squadra un calciatore che si rivelerà importante, Matteo Pessina.

Una partita passata quasi inosservata e scioccamente poco considerata per quello che succederà dopo è l’amichevole contro la Repubblica Ceca in preparazione degli Europei. Nei tre anni senza sconfitte della gestione Mancini (l’ultima era datata 10-9-2018 a Lisbona contro il Portogallo) l’imputazione più ovvia era il non aver affrontato squadre di rilievo, al netto anche di un’Olanda nel momento in cui l’abbiamo affrontata ancora più in costruzione di noi. Già la Repubblica Ceca di Soucek e Jankto ci sembrava una squadra complicata per noi. La battiamo a Bologna per 4-0, ma è il modo in cui lo facciamo che avrebbe dovuto dire qualcosa sullo stato di forma di alcuni calciatori e sulle conoscenze reciproche che la nostra Nazionale possedeva a pochi giorni dall’inizio degli Europei.

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Quando l’11 giugno però inauguriamo la manifestazione a Roma, non c’è tanta fiducia e pensiamo che la Turchia possa serenamente fare il colpaccio. Da quella sera, dopo non aver fatto tirare in porta la Turchia per 90 minuti e aver dominato gli avversari sotto tutti i punti di vista, si inizia a pensare che questa squadra Mancini l’ha costruita così bene che può anche andare avanti. Vinciamo 3-0, così come vinciamo senza patemi anche contro Svizzera e Galles.

Abbandoniamo il guscio romano dell’Olimpico e ci immergiamo nelle spire del primo (e da quel che si dice, l’ultimo) Europeo itinerante. Roberto Mancini dice che la partita più difficile sarà proprio quella degli ottavi a Wembley contro l’Austria. Ha perfettamente ragione, il contraccolpo lo sentiamo e reggiamo a stento anche grazie al VAR che annulla il gol di Arnautovic per un fuorigioco millimetrico. Riusciamo a sfangarla ai supplementari, ma pensiamo anche che di fronte alla prima grande squadra da affrontare dopo tre anni, il Belgio ai quarti di finale, avremmo perso.

Giochiamo a Monaco di Baviera e ancora una volta facciamo una prova eccezionale, con Insigne, Jorginho, Bonucci e Spinazzola di livello eccezionale, anche se perdiamo proprio il laterale della Roma per un serio infortunio.
Le partite da giocare restano due, lo sa Mancini che un gruppo come il suo può farcela. Vinciamo ai rigori con la Spagna e in egual modo contro i padroni di casa dell’Inghilterra. Siamo campioni d’Europa dopo 53 anni, con una squadra che aveva subito la vergogna della non qualificazione ai Mondiali di Russia 2018 per mano della Svezia ai playoff, con calciatori che non raggiungono mai le fasi finali delle grandi competizioni internazionali per club. Se guardiamo alla nostra storia, Roberto Mancini ha compiuto la più grande impresa calcistica della storia della Nazionale di calcio. Pochi potrebbero dire diversamente.

Ma se questo è vero, è vero anche che il calcio contemporaneo è una centrifuga senza scampo e senza respiro. Il tempo di prendersi due bagni nelle Marche, la terra che lo ha sempre adorato, e da settembre ecco altre due competizioni fondamentali per il futuro dell’Italia, le qualificazioni mondiali e nel mezzo la final four della Nations League da giocare in casa.

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Come accade a tutte le squadre che hanno fatto un’impresa, ripartire al 100% è impossibile e per questo pareggiamo due partite sanguinose, contro la Bulgaria in casa e in Svizzera, con Jorginho, l’eroe delle nostre notti inglesi, che sbaglia un rigore. Il Mondiale si giocherà a novembre contro gli elvetici in casa, Mancini sa richiamare di nuovo l’attenzione sul nuovo obiettivo, la Nations League. Perdiamo in semifinale contro una bellissima Spagna, anche perché Bonucci si fa espellere nel primo tempo e in 10 ormai è quasi impossibile reggere, ma vinciamo ancora contro il Belgio per un buon terzo posto. Roberto Mancini incita tutti all’ultimo sforzo di novembre, questo bronzo ci deve rinfrancare.

Il 12 novembre però, all’Olimpico di Roma, dove cinque mesi prima avevamo letteralmente passeggiato contro la Svizzera, non andiamo oltre il pareggio con Jorginho che sbaglia di nuovo un rigore negli ultimi minuti. Il rigore che ci avrebbe dato i Mondiali. Le speranze nell’ultima contro l’Irlanda del Nord ci sarebbero anche ma giochiamo impauriti e stanchi, pareggiando 0-0.

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In undici mesi siamo passati dalla mediocrità, all’esaltazione più assoluta e quasi insensata, alla paura più che fondata di saltare un altro Mondiale. I sorteggi ci hanno detto: Macedonia del Nord in casa e poi Portogallo e Turchia fuori. A uno sguardo generale della situazione, considerando anche chi sono i nostri calciatori con i loro club, abbiamo poche possibilità di andare in Qatar 2022. Saltare un secondo Mondiale consecutivo sarebbe drammatico e anche assurdo per una squadra campione d’Europa. E invece è uno spettro che ormai ci accompagna e se Verratti ha dichiarato di pensare ogni notte alle sfide di marzo 2022, sicuramente avrà gli stessi sogni/incubi anche il nostro ct, chiamato all’impresa dopo che “l’Impresa” l’ha già compiuta pochi mesi prima.

Il grande dilemma del 2022 sarà: un Mancini che fallisce i Mondiali deve saltare? E se non dovesse essere così, che posizione avrà e come vorrà resettare la Nazionale? Sembrano domande assurde per chi ha compiuto l’impresa più grande, eppure mancano solo poche settimane dalle prove della verità. Non era mai successo a un tecnico della Nazionale, speriamo non succeda mai più.

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