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Mondiali in Qatar 2022

I giocatori dell’Iran tornano a casa: il loro destino già deciso prima dell’ultima partita

Le lacrime dei giocatori dell’Iran al termine della partita con gli Stati Uniti che li ha eliminati dai Mondiali raccontano la consapevolezza di cosa li aspetta al ritorno in patria, terribili ritorsioni per aver solidarizzato con le proteste contro il regime: “Anche se avessero vinto, sarebbero stati arrestati, picchiati sonoramente e avvertiti: Non fatelo mai più”.
A cura di Paolo Fiorenza
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L'Iran è stato eliminato dai Mondiali in Qatar vedendosi sopravanzare nel proprio girone dagli Stati Uniti, usciti vincitori nello scontro diretto dell'ultima giornata. Agli uomini di Queiroz sarebbe bastato il pareggio per qualificarsi agli ottavi come secondi dietro l'Inghilterra, ma la sconfitta per 1-0 in virtù della rete di Pulisic li ha condannati a dire addio al torneo e tornare a casa.

Le lacrime dei calciatori iraniani al fischio finale del match con gli statunitensi dicono più di qualsiasi parola: più che il risultato sportivo dell'eliminazione, in quel pianto che irrompe senza freni e che dà sfogo a giorni di stress e pressioni pesantissime c'è racchiusa la consapevolezza di quello che li attende al ritorno in patria. Un destino crudele di cui avevano già avuto avvisaglia e che era stato deciso prima ancora della partita con gli USA: andare avanti nel Mondiale avrebbe potuto essere – più che un'ancora di salvataggio – un modo di posticipare l'ineluttabile.

Il crollo emotivo dei calciatori dell'Iran al termine del match con gli Stati Uniti: il pallone passa in secondo piano
Il crollo emotivo dei calciatori dell'Iran al termine del match con gli Stati Uniti: il pallone passa in secondo piano

Troppo grave agli occhi del regime degli ayatollah l'insubordinazione compiuta in mondovisione non cantando l'inno nazionale nella prima gara con l'Inghilterra. Quel gesto così potente di solidarietà alle proteste che da settimane infiammano l'Iran e sono represse nel sangue – dopo l'assassinio della giovane Mahsa Amiri nello scorso settembre da parte della polizia per la sola ragione di ‘indossare male' il velo islamico – non è stato sanato dal successivo dietrofront dei calciatori iraniani con Galles e Stati Uniti. In quelle circostanze hanno sussurrato l'inno muovendo appena la bocca ed in quel momento tutti hanno capito cosa era successo: dopo la partita con l'Inghilterra la squadra era stata convocata per un incontro con i membri del Corpo delle guardie rivoluzionarie iraniane, presenti ‘in trasferta' in Qatar proprio per tenere d'occhio la nazionale e reprimere eventuali atti di insubordinazione.

"Se non cambiate atteggiamento con Galles e Stati Uniti, useremo violenze e torture sui vostri familiari", questo era stato il ricatto degli agenti del regime, un ‘suggerimento' recepito dai calciatori, ma non è stato abbastanza per salvarli dalle ritorsioni che li aspettano in patria. Mike Baker, un ex ufficiale delle operazioni segrete della CIA, ha dichiarato al New York Post che la squadra si trova in una "situazione insostenibile". "Abbiamo visto che il regime iraniano si è dimostrato brutale e non c'è motivo di credere che diventeranno improvvisamente razionali", ha aggiunto.

I giocatori dell'Iran distrutti a fine match con gli USA
I giocatori dell'Iran distrutti a fine match con gli USA

Kenneth R. Timmerman, autore ed esperto di Iran, ha detto al Post che il destino dei giocatori iraniani era già stato deciso prima della partita contro gli Stati Uniti "perché hanno già commesso il peccato" di non cantare l'inno nazionale. "Avrei paura dell'arresto – ha detto – Anche se avessero vinto, sarebbero stati arrestati, picchiati sonoramente e avvertiti: Non fatelo mai più". Del resto anche uno che conosce bene la realtà iraniana come Andrea Stramaccioni, che ha allenato l'Esteghlal a Teheran nel 2019, aveva svelato quale fosse la drammatica realtà che stavano vivendo i calciatori della nazionale iraniana: "Uno di loro mi ha detto che ci sono state delle ripercussioni per non aver cantato l'inno all'esordio contro l'Inghilterra: ‘L'abbiamo cantato nella seconda partita e ci hanno detto che non abbiamo fatto abbastanza'".

Con tutto questo background a dipanarsi in maniera angosciante alle spalle della vicenda sportiva, assume tutt'altro significato lo straziante abbraccio con cui lo statunitense Antonee Robinson ha stretto a sé e confortato un singhiozzante calciatore iraniano, Ramin Rezaeian, dopo il fischio finale del match giocato dalle due nazionali martedì scorso.

In quell'abbandonarsi così umano tra le braccia di un avversario che in quel momento era la cosa più vicina ad un amico, c'è racchiuso tutto il significato del Mondiale dell'Iran: non poteva essere calcio, ma una pagina della Storia nel suo farsi, con un prezzo alto, altissimo, che sta pagando il popolo iraniano e al quale questi giovani uomini non hanno voluto sottrarsi, neanche davanti ad un futuro che si annuncia terribile.

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