Gigi De Canio: “Al QPR vedevo Briatore quasi tutti i giorni. Poi Ecclestone e le feste da Mittal”

Luigi De Canio parla con voce calma, ordinata, la stessa che negli anni ha guidato spogliatoi complicati, piazze affamate, e gruppi che cercavano identità. Il tempo oggi scorre più lento per lui: libri, amici, nipoti, tanto calcio osservato e studiato senza l’ansia della panchina. Ma l’occhio resta lo stesso: critico, affettuoso, innamorato. A Fanpage.it De Canio ripercorre un viaggio professionale e umano dove risultati e categorie contano meno dei principi. “La dignità viene prima di tutto”: una frase che ritorna spesso, quasi fosse il filo che cuce tutta la sua carriera. E allora si parte, dal quotidiano fino ai ricordi più lontani.
Cosa fa oggi mister De Canio?
"Leggo molto, sto con amici e nipoti, guardo tanto calcio e sport. Faccio le stesse cose che ho sempre amato".
Il calcio, quindi, è ancora parte della sua vita?
"Assolutamente sì".
Come vede oggi la Serie A?
"Il calcio, come tutto, è un’evoluzione continua. Crescono le competenze degli allenatori, ma non vedo lo stesso aumento della qualità tecnica. Si parla troppo di tattica e poco di insegnamento del gesto tecnico. Oggi mancano i ‘maestri' che sanno mostrare davvero come si calcia un pallone".

Quindi sempre più tattica e meno tecnica?
"Sì. I ragazzi apprendono meno e chi non sa insegnare la tecnica si rifugia nella tattica. Ma alla fine, per cosa ci emozioniamo? Per un gran gesto tecnico. E infatti continuiamo a guardare video di Maradona, il Ronaldo Fenomeno, Ronaldinho, Messi, Cristiano Ronaldo… Non c’è nessuno di oggi che entusiasmi allo stesso modo".
Facciamo un passo indietro a quando era calciatore. De Canio è materano e ha vissuto il Matera in campo. Cosa ha significato per lei?
"Un senso profondo di appartenenza. È stato un periodo di formazione, dentro e fuori dal campo".
È vero che finì in una poesia dopo la promozione in Serie B?
"Ne ho sentito parlare, ma non l’ho mai letta davvero".
Nel 1995 De Canio era sulla panchina del Savoia e giocò uno storico spareggio promozione per la Serie C1 proprio contro il Matera: quali sono state le sue sensazioni?
"Particolari, certo. Anche se due anni prima avrei potuto allenare il Matera: rifiutai perché qualcuno pretendeva di decidere al mio posto. Non ho mai barattato la dignità".

A Pisticci, invece, al suo primo incarico si è cimentato nel ruolo di allenatore-giocatore. Quanto fu difficile?
"Venivo dal professionismo e lì c'era un mondo dilettantistico, soprattutto nella mentalità. Volevo trasmettere il concetto che essere professionisti è uno stile di vita: cura del corpo, delle abitudini, senso di responsabilità. All’inizio non fu facile farlo capire".
Dopo tanta gavetta, arrivò la Serie A con l'Udinese e subito l’Europa. Che ricordo ha?
"Un percorso naturale. Quando arrivi in club organizzati, con mentalità professionistica, tutto diventa più semplice. Vincemmo anche l’Intertoto: un’altra bella soddisfazione".
A Napoli invece la promozione sfumò di un soffio. Cosa mancò?
"Una società all’altezza. Poche promesse furono mantenute e, infatti, qualche anno dopo il club fallì. Ma la squadra era forte, ci divertimmo. Lasciai un contratto pluriennale senza pretendere indennizzi a causa dell'instabilità economica della società".
Anche a Lecce andò via nonostante avesse ancora due anni di contratto, o sbaglio…
"Anche qui, dopo una promozione e una salvezza a 41 punti, rinunciai a due anni di contratto per mancanza di serenità e presupposti per continuare".

Un’autentica impresa fu quella di Reggio Calabria…
"Sì, partimmo ultimi e in condizioni psicologiche disastrose. Facemmo un grande calcio e la salvezza nello spareggio con l’Atalanta è uno dei risultati più belli della mia carriera".
Anche a Siena De Canio fece bene con due salvezze di fila…
"Sono andato a gennaio del 2005, che erano penultimi in classifica: ci siamo salvati e l'anno dopo abbiamo fatto un campionato molto più tranquillo".
Li aveva Antonio Conte come vice. Che rapporto c’era tra voi?
"Normale, professionale, molto buono. Tutto il resto che si legge in giro non corrisponde al vero".
Si aspettava che avrebbe fatto questa carriera?
"Sì. Aveva grande determinazione, si capiva".
De Canio ha fatto anche un'esperienza in Inghilterra con i Queens Park Rangers di Flavio Briatore e Bernie Ecclestone: li ha mai incontrati? Ci racconta come si relazionavano col calcio?
"L'esperienza in Inghilterra è stata formativa e ha arricchito ulteriormente il mio bagaglio culturale e professionale. Con Briatore praticamente ci vedevamo quasi tutti i giorni. Ecclestone veniva una volta ogni quindici giorni, quando giocavamo in casa, e poi ci vedevamo nello spogliatoio, si parlava un po' di calcio. Poi c'era Mittal: sono stato a qualche festa a casa sua, mi hanno invitato per qualche partita a calcio-tennis con con suo genero e qualche amico di famiglia. Persone molto gradevoli e socievoli, di altissimo profilo".
Un giocatore che ricorda con affetto più degli altri?
"Tutti, perché sono parte della vita di un allenatore. Ma uno in particolare mi è rimasto nel cuore: Ciro Caruso, talento vero frenato solo dagli infortuni. Aveva stoffa da fuoriclasse".

Ha mai pensato che la sua carriera potesse prendere una direzione ancora più alta?
"Ho vissuto tutto come un sogno, senza calcoli. Certo, quando fai bene arrivano attenzioni, ma per arrivare al grande salto serve anche fortuna. Non ho rimpianti: sono felice di ciò che sono, non di ciò che non ho fatto".
Una curiosità: è vero che fu vicinissimo a diventare CT del Camerun?
"Sì, molto vicino. Poi si crearono situazioni che non accettai per coerenza con i miei principi. Preferisco rinunciare che tradire me stesso".
Dunque la dignità viene prima di tutto?
"Sempre. In tutta la mia carriera non ho mai barattato la mia persona con un contratto. È questo che mi fa stare in pace con me stesso".