Federico Giunti: “Ricordo i pranzi con Berlusconi e tutto il Milan. Gli bastava una sola parola”

Da centrocampista raffinato a direttore tecnico impegnato nel calcio giovanile. Federico Giunti è stato un calciatore elegante che ha fatto un lungo percorso nel calcio italiano tra Perugia, Parma, Milan, Brescia, Bologna, Chievo e Treviso: il classe 1971 ha vinto uno Scudetto con i rossoneri e con il Beşiktaş in Turchia, fregiandosi anche di una presenza in Nazionale Italiana in un’amichevole contro la Bosnia-Erzegovina il 6 novembre 1996
Dopo il ritiro ha intrapreso la carriera da allenatore con esperienza tra Foligno, Castel Rigone, Maceratese e Perugia, oltre alla Primavera del Milan fino al 2022. Oggi è direttore tecnico della Lube Academy, dove si occupa della crescita dei giovani calciatori, mettendo a frutto la sua esperienza in campo e in panchina. A Fanpage.it Giunti illustra un ambizioso progetto multidisciplinare, volto a supportare lo sviluppo dei giovani sul territorio, e racconta alcuni momenti della sua carriera con qualche riferimento al calcio italiano di oggi.
Cosa fa oggi Federico Giunti?
"Attualmente sono responsabile della Lube Academy. È un progetto nato da Fabio Giulianelli, Amministratore Delegato di Lube, e Luciano Sileoni, socio fondatore di Lube Cucine, che ha l’obiettivo di restituire qualcosa alla comunità locale".
Ci racconta di cosa si tratta?
"Ha riunito tre società dilettantistiche di calcio in un unico contenitore, la Lube Academy e ha un approccio multidisciplinare perché non si limita al calcio, ma include anche pallavolo, settore giovanile femminile e karate. La Lube Academy non pensa in nessun modo di potersi sostituire né alla famiglia né alla scuola, però abbiamo trovato un modo per poter dare valore al tempo libero dei ragazzi: il pomeriggio dei ragazzi, dai 6 ai 16 anni, lo trascorrono tutti insieme dalle 14 alle 19 tra aiuto compiti nel primo pomeriggio e altri tipi di attività successivamente. C’è il trasporto per gli allenamenti alle varie discipline e il rientro a casa".
Che riscontri avete avuto?
"Il successo iniziale, con circa 230-240 iscrizioni, è stato incredibile con tanti feedback positivi dalle famiglie. L’idea è quella di combattere la solitudine e la noia, offrire un'alternativa all'uso eccessivo di dispositivi elettronici e stare insieme agli altri, oltre all’obbligo di praticare almeno uno sport per incentivare l'attività fisica e mentale. Naturalmente siamo davanti ad un notevole investimento per la proprietà, che è riuscita a trovare un accordo con l'Università di Macerata per la formazione di responsabili, istruttori ed educatori qualificati. È un investimento a lungo termine per il futuro della comunità".
Quanto conta l’educazione mentale e caratteriale, oltre alle qualità tecniche, nella crescita di un ragazzo?
"L’Accademia promuove la crescita della personalità attraverso l'interazione di gruppo in un ambiente sereno. Oltre allo studio, offre gioco libero, film e lezioni di inglese, disegno, danza, corsi di teatro, e mantiene i ragazzi impegnati e stimolati. L’obiettivo è quello di formare personalità complete, migliorare l'autostima e superare difficoltà di espressione o paura di esclusione".
Sembra un po’ quello che dovrebbe fare lo Stato per i ‘grandi’ del futuro…
"L’hai detto tu, non io… (ride)".
Naturalmente la Lube Academy si basa molto sul calcio: come lavorate per la crescita dei vostri ragazzi?"
"Il settore giovanile calcistico conta 250 ragazzi, un numero significativo per la nostra zona. L'obiettivo è trasmettere i valori dell'Academy come rispetto e lavoro di squadra anche sul campo da gioco. Tutti gli istruttori sono coinvolti nella programmazione e il progetto mira a portare la prima squadra (attualmente in Promozione) fino alla Serie D e, se possibile, al professionismo, come accaduto 30 anni fa con la pallavolo. Poi ci sono altre due squadre di categoria inferiore che sono composte al 90% da ragazzi del posto".

Si parla tanto di vivai e giovani talenti: cosa serve davvero, secondo lei, per valorizzare meglio il patrimonio delle giovanili in Italia?
"Troppa enfasi sul risultato immediato piuttosto che sulla crescita a lungo termine dei giocatori. C’è mancanza del piacere di giocare. Poi mancano le strutture: l’Italia è indietro rispetto ad altri paesi in termini di infrastrutture per i settori giovanili e lo stesso vale anche per la formazione degli istruttori. C’è necessità di allenatori che mettano il bene del ragazzo prima del proprio ego, alimentando il talento invece di sopprimerlo. Gli istruttori devono essere formati e stimolati a migliorare".
In base alla sua esperienza, davvero si dà così tanto peso alla tattica e non alla tecnica come si sente dire ormai da anni?
"Il gioco viene spesso imprigionato dalla tattica, sopprimendo la fantasia e il piacere di giocare e sbagliare".
Lei è stato un calciatore di grande qualità: è questo che manca in questa Serie A?
"Io sono stato fortunato perché ho vissuto il momento più bello del nostro campionato. Oggi c’è una mancanza di qualità e fantasia in campo piuttosto evidente, ma questo anche perché l'Italia in quei tempi attirava i migliori giocatori del mondo. I centrocampisti moderni sono più polivalenti, mentre in passato c'era una maggiore specializzazione".
Sì, fortuna ok ma lei a Perugia ha vissuto stagioni memorabili e poi è stato capitano del Grifo: quanto è stato importante quel periodo per lei?
"Ho debuttato a 16 anni, giocando quattro anni in Interregionale e poi arrivando in Serie C, poi la B prima di undici anni in Serie A. Il periodo al Perugia, dove sono stato per due anni capitano, è stato fondamentale per la mia formazione umana, imparando il valore del gruppo e del rispetto. Il presidente Gaucci era stimolante, diciamo".

Un altro passaggio importante della sua carriera è stato a Parma, che all’epoca era una squadra ambiziosa, con grandi giocatori e aspettative elevate: come fu entrare in un contesto del genere?
"Doveva essere il mio trampolino di lancio, ma problemi fisici e l'elevatissima concorrenza (era il periodo dei Dino Baggio, Boghossian, Fuser, Verón, Fiore, etc) ne hanno limitato l'impatto. Era la prima volta che uscivo di casa, dalla mia zona di confort, però mi sono trovato bene: era un ambiente con grandi professionisti".
Magari si aspettava una carriera diversa per poi arrivò il Milan di Silvio Berlusconi, che era una delle squadre più forti d’Europa: più che chiederle di quella squadra mi vorrei soffermare sulla figura del presidente. Ha mai avuto contatti diretti con lui?
"Era molto presente a Milanello, pranzava con la squadra e trasmetteva il senso di appartenenza e l'importanza del club. Berlusconi parlava con tutti e aveva una battuta per ogni calciatore perché faceva sentire tutti importanti, dal capitano all'ultimo della rosa. Poi, chiaramente, aveva un rapporto diretto con i senatori dello spogliatoio rispetto agli altri, ma ti faceva sentire importante anche con una sola parola".
Il giocatore più forte con cui ha giocato?
"Roberto Baggio e Zvonimir Boban, a livello tecnico. Paolo Maldini perché è stato un leader assoluto, un esempio in tutto".

Dopo il ritiro Giunti ha scelto la strada della panchina e della direzione tecnica: com’è maturata questa decisione e quali difficoltà ha incontrato nel nuovo ruolo?
"Ho iniziato dal basso e ha avuto un'opportunità al Perugia in Serie B che non è andata bene. Poi ha trascorso quasi quattro anni nella Primavera del Milan, confrontandomi con allenatori di alto livello. La parte finale della mia esperienza di allenatore l'ho dedicata ai giovani. Dopo quelle esperienze ho deciso di accettare la sfida della Lube Academy, vedendola come un'opportunità di crescita professionale e personale".
Si parla spesso dei contratti dei calciatori di oggi: lei si ricorda come spese il suo primo stipendio?
"Non ha speso il primo stipendio immediatamente, ma ha accumulato un po’ di soldi: il mio primo acquisto significativo è stata una Golf GT, che che ho curato maniacalmente. Naturalmente ho dato una mano anche alla mia famiglia. Rispetto ad oggi è molto diverso, si ostentano secondo me troppe cose a volte non vale neanche la pena".