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Eterno Ronaldinho, l’uomo che ci ha mostrato che per giocare bene bisogna essere felici

Ronaldinho, che oggi compie 41 anni, ha segnato un’epoca del Barcellona, del Brasile e del calcio in generale, vincendo tanto e sempre con il sorriso sulle labbra. Alcune sue frasi bene descrivono quello che pensa della vita e del calcio, potendo essere riassunte nella frase: “Senza la felicità nel cuore, nessuno mai può giocare bene”.
A cura di Jvan Sica
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Vedi Ronaldinho oggi su Youtube, in maglia Barcellona o con quella verdeoro del Brasile, e pensi che con quell’onnipotenza tecnica doveva essere per forza di cose anche un accentratore totale, uno che chiedeva agli altri di essere al suo livello (venendo terribilmente e costantemente deluso). Ne scorri la carriera e pensi che abbia sempre voluto tutto sulle sue spalle, una specie di tiranno meraviglioso che non poteva fidarsi di alcun calciatore che non fosse al suo livello (quindi, appunto, di nessun altro al mondo). Lo si guarda svitare il suo corpo per seguire immaginazioni tecniche senza senso e lo si pensa lontano dal mondo, per non dire dalla squadra, in cui doveva “sopportare” i compagni.

Niente di tutto questo. Mentre era letteralmente venerato da chi giocava con lui, lo stesso Ronaldinho guardava agli altri calciatori senza sentirsi superiore, riuscendo a percepire grandezza anche negli altri.

Iniziamo con Messi, il campione generazionale che lo ha sostituito nel Barcellona e nel cuore dei tifosi di tutto il mondo. Senza un goccio di invidia per il calciatore che lo spodestò, Ronaldinho ha detto:

“Ricordo gli esordi di Messi, era un ragazzino. Fui io a dargli l'assist per il suo primo gol, in un match contro l’Albacete. Fece un gol straordinario e io pensai: questo è un fuoriclasse, è nato un “crack”. Non ha mai avuto bisogno di consigli, nemmeno da ragazzino, sapeva sempre che cosa fare. Lui è il migliore del suo tempo, come Maradona lo era del suo”.

Ma il brasiliano dai piedi di zucchero non amava solo chi gli ha mostrato il futuro, ma anche tanti suoi coetanei, come Alessandro Del Piero:

“Il mio idolo. Calcia le punizioni meglio di me. E non lo dico così per dire. Io sono bravo dal limite, soprattutto. Ale, anche da più lontano. Colpisce la palla in modo tale che ne escono traiettorie forti, strane. Penso a quella che rifilò allo Zenit. Calcia con un effetto “muy raro”, fossi un portiere non saprei dove piazzarmi”.

Ha parole deliziose anche per chi non te l’aspetti, come Gennaro Gattuso:

“Il suo cuore, il suo coraggio hanno contribuito a forgiare la leggenda del Milan. Di tipi così, in giro ne ho visti pochi”.

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Questa visione sempre sorridente, positiva e aperta della vita gli facevano vivere con leggerezza e grazia non solo il calcio e i suoi protagonisti, anche avversari duri, ma anche tutto quello che intorno vi girava. Come i giornalisti ad esempio, che lo hanno seguito e ne hanno raccontato storie anche di perdizione e dubbio, ma per i quali Ronaldinho ha sempre avuto rispetto, continuando a dire:

“I giornalisti sono tutti uguali, fanno pressing, non hanno mezze misure. Dipende da noi”.

Questo per sottolineare proprio come siano i nostri occhi spesso a interpretare la realtà. Questo concetto di, potremmo dire, relativismo esistenziale, Dinho lo spiega meglio in un’altra sua frase interessante. A un giornalista che gli chiedeva se in quel momento era felice o stesse passando un periodo di saudade, Ronaldinho rispose: “Saudade o non saudade, se non sei felice sono cavoli amari”, come per dire che le condizioni esterne possono anche giocare contro di te, ma poi alla fine dipende tutto da come le affronti. E Ronaldinho che gioca a pallone nel carcere di Asunción è la diapositiva perfetta per spiegare questo. Non serve essere sullo yacht al largo delle coste degli Emirati per essere felici (anche se un giro sullo yacht a Dubai magari Ronaldinho se lo è anche fatto, perché no).

L’ultima parola per cercare di descrivere chi è stato ed è Ronaldinho ancora oggi, è giusto lasciarla a un calciatore che lo conosce molto bene, per avergli giocato vicino per tanti anni a Barcellona. Stiamo parlando di Samuel Eto’o, che un giorno dichiarò:

“Dinho era un genio e non solo in campo. Il giorno in cui non si sentiva felice non giocava bene. Spesso però arrivava nello spogliatoio sorridente e felice mi diceva: ‘Samuel, come ti senti?'. Se gli rispondevo anch'io ‘bene', lui replicava: ‘Perfetto, andiamo a vincere'”.

Saremo anche milionari e con tutti i desideri realizzati o in fervente attesa di essere soddisfatti, ma non si è di sicuro macchine quando si gioca a pallone. Per giocare bene devi essere felice, la più grande legacy di Ronaldo de Assis Moreira.

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