Davide Petrucci: “Israele da calciatore sembra New York. Ero a 30 minuti da Gaza, esperienza strana”

Davide Petrucci è uno degli ultimi italiani ad aver giocato in Israele. Nel suo viaggio calcistico, che lo ha portato a giocare in Inghilterra, Olanda, Romania e Turchia, ha vissuto un’esperienza anche nel calcio israeliano con l’Hapoel Be’er Sheva, club che ricorda una delle pagine più tristi della storia recente dell’Inter.
L’ex centrocampista, che prima di appendere gli scarpini al chiodo ha vestito le maglie di Brindisi e Messina in Serie C, ha raccontato la sua percezione della vita in Israele, spesso in contrasto con la narrazione mediatica prevalente, con qualche riflessione sul rapporto tra sport e politica nel paese in cui lui ha vissuto in vista della partita tra l’Italia e la nazionale israeliana che si giocherà a Udine questa sera. La tregua nella striscia di Gaza e il cessate il fuoco non hanno fatto calare il dibattito nell'opinione pubblica, con il match di qualificazione ai Mondiali 2026 che si giocherà in un clima surreale tra manifestazioni fuori dallo stadio e uno stadio semivuoto.
A Fanpage.it Daniele Petrucci ha raccontato la sua esperienza all’Hapoel Be’er Sheva e come viveva la vita di tutti i giorni abitando a pochi km da Gaza.
Petrucci, come descriverebbe la sua esperienza nel calcio israeliano dal punto di vista umano e professionale?
"Israele è un paese incredibile. Tutto quello che si sente nei telegiornali sui conflitti è molto relativo. Io ci ho vissuto due anni e non ho mai percepito reale tensione: la vita è tranquilla, le persone sono sempre al mare, nei locali, nei ristoranti. C’è un’atmosfera serena, molto più occidentale di quello che si pensa".

Ha mai vissuto momenti di paura o situazioni di pericolo?
"Ho vissuto a Be'er Sheva, a circa 30 minuti da Gaza, senza avvertire quasi nulla. In due anni mi è capitato di sentire qualche allarme, ma nulla di grave. Israele ha un sistema di difesa (Iron Dome) che intercetta quasi tutti i missili. Una volta ero a casa, mi è suonato l’allarme e mi sono rifugiato nel bunker: un’esperienza strana, ma loro la vivono con grande normalità. Sono abituati, continuano a bere il caffè anche se suona la sirena".
Dove abitava e com’era la sua quotidianità?
"Vivevo in un complesso di quattro grattacieli con 30 piani, centro commerciale collegato, palestra, jacuzzi, parco giochi, tutto gestito da app. Era super moderno: sembrava New York. Gli italiani pensano che Israele sia pericolosa, ma io vivevo nel comfort più totale. È un paese molto avanzato e innovativo".

Pensa che il calcio israeliano riesca comunque a mantenere una dimensione ‘normale' nonostante tutto?
"Normale no, perché conosciamo tutti benissimo la situazione che il paese vive. Mi è capitato di vedere alcuni giovani calciatori che si presentavano agli allenamenti in uniforme militare, si cambiavano e giocavano. Poi uscivano di nuovo in divisa e andavano via. Non è una cosa che da noi si potrebbe definire ‘normale’ ma lì lo è. Tuttavia, quello che c’è intorno è una percentuale minima della realtà quotidiana".
Le tifoserie israeliane sono tutte schierate e alcune sono anche molto estremiste, come lo dimostra anche il documentario di Netflix ‘Forever Pure’ sul Beitar Gerusalemme: le è mai capitato di essere protagonista o le hanno raccontato episodi di intolleranza?
"Personalmente no. Con la nostra squadra c’è sempre stato grande rispetto. In Israele ci sono molto tifoserie radicali, ma nella mia esperienza non ho mai avuto problemi. A Beer Sheva la gente era accogliente, unita e ci sosteneva tanto”.
Si sta parlando molto della possibilità di escludere Israele dalle competizioni internazionali, come accaduto con la Russia: cosa ne pensa?
"Io credo che lo sport debba restare sport. Il calcio unisce, non dovrebbe essere influenzato dai conflitti politici. Capisco che certe situazioni siano delicate, ma penalizzare i giocatori che non c’entrano nulla con la politica non mi sembra giusto. Lo sport dovrebbe portare leggerezza, non divisione".

Posso essere in parte d’accordo ma se in una conferenza stampa il CT d’Israele dice ’Gaza? Chi mi fa queste domande è contro di noi’ poi i piani si mischiano…
"Assolutamente, ma loro hanno una forte identità nazionale e la trasportano in ogni settore della società. Può essere giusto o sbagliato, ma è così".
È giusto che la Nazionale giochi contro Israele a Udine?
"Non sono io la persona giusta a dover indicare se sia giusto o sbagliato giocare ma credo che, come già detto, sia giusto che lo sport rimanga un'entità separata dalla politica. Dovrebbe essere un luogo di spensieratezza e unione, e sarebbe un peccato se i conflitti influenzassero le competizioni”.