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Così simili, così diversi: come Lukaku e Ibrahimovic possono vincere il derby

Milan-Inter sarà il derby che può decidere la Serie A e si giocherà tutta sulle spalle di due giganti. Ibrahimovic per il Milan dovrà gestire l’intero attacco e muoversi anche da regista, per sopperire alla mancanza di forma di Çalhanoğlu, Lukaku dovrà giocare molto di più con gli altri e cercare i punti deboli dei rossoneri. Una sfida nella sfida che darà un indirizzo all’intero campionato.
A cura di Jvan Sica
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Inutile girarci attorno con tattiche, previsioni, modelli, funzioni e ambiente. Milan-Inter di oggi pomeriggio sarà tutto questo, non può non esserlo, ma sarà soprattutto e per tutti il redde rationem tra Zlatan Ibrahimović e Romelu Lukaku.

Vogliamo un po’ tutti che sia così perché in questa sfida c’è davvero tanto: la possanza fisica di due giocatori enormi da un punto di vista fisico. C’è la sfida globale, perché i due sono facce note e apprezzate in tutto il mondo. C’è anche la partita che può indirizzare il campionato, perché la Juve non è ancora squadra e vincere questo match per l’Inter vorrebbe dire concentrarsi con attenzione maniacale sull’unica competizione che ha, mentre per il Milan dirsi ancora una volta che allora davvero è possibile, se ha battuto la migliore squadra del campionato in questo momento. Già saporito di suo il duello, dopo quello che è successo in Coppa Italia fa del cozzare dei due un’attesa nell’attesa.

I due omoni sono simili non solo per la loro presenza scenica, assicurata e forte in tutte le partite che disputano. Hanno il cento dell’attacco delle loro squadre e lo tengono a tutti i costi, allontanando dalla zona di influenza gli altri che amano girargli attorno e satelitizzare il loro gioco. Lukaku e Ibra hanno esperienza, forza e conoscenza del gioco, specificatamente quello che il proprio allenatore chiede ai due e alla squadra e in senso più generale. Una contezza delle cose di campo che ne fanno due uomini di cui fidarsi in ogni attimo della partita, con e senza palla.

L’attacco si basa espressamente sulle loro scelte fisiche e gli avversari cercano di adeguarsi a una loro idea. Se scendono per prendere palla li segue un centrale, con i laterali che stringono per occupare il buco creatosi, se si allargano la mezzala di competenza scala profonda, per non lasciare il laterale in uno contro uno, se invece giocano vertice alto, i due centrali sono molto vicini e il metodista si abbassa a schermare le linee di passaggio verso di loro, così da non fargli riceve palla troppo pulita con il corpo già orientato all’attacco dello spazio e della porta. Lukaku e Ibrahimović sono molto simili in questo senso e di sicuro le due difese continueranno a prendere queste contromosse per limitarli.

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Da tanti altri punti di vista sono diversi. Tatticamente Ibra svaria molto di più sugli esterni, vuole che lo spazio da lui lasciato venga occupato da un compagno in corsa perché così è più imprevedibile e anche perché sa che le sue doti tecniche gli permetteranno di servirlo alla perfezione. Per questo motivo chiede l’utilizzo combinato di Rafael Leão, mai stato così in forma al Milan e Ante Rebić. Ama i guastatori dalle cento e più accelerazioni, così lui può fare il regista e guardare il gioco, oltre che indirizzarlo.

Lukaku cerca meno la costruzione globale dell’attacco per scegliere schemi più semplici, che si basano su scambi stretti con la seconda punta, Lautaro Martinez o con gli esterni. Guarda poco le mezzali in appoggio ed è molto più verticale in tutte le idee che mette in campo, da quando si smarca da solo giocando con il corpo del difensore, agli scambi che chiede ai compagni quando cerca il triangolo.

Anche l’uso del corpo è molto dissimile fra i due. Entrambi enormi, Ibrahimović usa il suo corpo come molla elastica per l’accelerazione del gioco. Si fa dare la palla solo per muoverla con rapidità in traiettorie di gioco immaginate. Lukaku invece usa il corpo come gomma assorbente, sospendendo per un attimo il ritmo ma senza frenarlo. Si fa dare la palla per creare un vortice intorno che serve a liberare gli spazi per se stesso o per gli altri.

Una terza differenza si può riscontrare anche nella personalità messa in scena sul campo. Ibrahimović è il capo branco, difende, attacca, protegge, esclude. La sua visione di calcio è personale ma in questa fase della carriera ha grande voglia di condividerla, un po’ come quegli insegnanti riflessivi che analizzano il loro operato per agire poi sul contesto didattico in cui lavorano. Lukaku invece si muove e parla da primus inter pares, emergendo per bravura, talento e forza, ma cercando lo scambio alla base della relazione e mai un’imposizione anche se appunto riflessiva. Se restiamo nel campo della didattica, il suo approccio va di più verso il cooperative learning, in cui tutti sviluppano il loro sapere nello scambio continuo.

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La sfida c’è. Ci sono anche le similitudini e le differenze. Come possono vincerla?

L’Inter è la squadra migliore per forma attuale, uomini e potenziale. Per batterla Ibrahimović deve fare anche il Çalhanoğlu se il turco, l’uomo chiave del Milan di Pioli fino al Covid che lo ha colpito, non è ancora al meglio. Dovrà essere lui a coordinare la fase di passaggio della manovra tra la difesa e l’attacco, diventando il fulcro dell’assetto. Non è una cosa che Ibra può fare per un campionato, ma per una partita sì. Lukaku invece la vince se svaria di più rispetto al solito, perché al centro il Milan ha le armi per contrastarlo fisicamente (Kjaer-Romagnoli con il sostegno di Kessie) mentre sugli esterni sia Calabria o Dalot che Hernandez potrebbero soffrire tanto la sua presenza.

Sono entrambi i grandi campioni delle due squadre, grazie alla loro identità specifica le hanno marchiate a fuoco, eppure potrebbe essere decisivo un nuovo modo di interpretare il loro gioco per vincere la partita più importante.

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