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C’era una volta la Confederations Cup: storia di un lento declino e il fascino inarrivabile del Tournoi de France

Fino al 2017 nell’anno precedente alla Coppa del Mondo si giocava la Confederations Cup: un torneo la FIFA ha sostituito con il Mondiale per Club. Le edizioni più belle della manifestazione nel 2005 e nel 2013 ma non ha mai avuto il fascino del Torneo delle Nazioni del 1997.
A cura di Vito Lamorte
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La Confederations Cup vinta dal Brasile nel 2005 in Germania.
La Confederations Cup vinta dal Brasile nel 2005 in Germania.
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Mentre assistiamo alle fasi finali del primo Mondiale per Club FIFA è inevitabile pensare a quello che accadeva fino a poco tempo fa l’anno prima della Coppa del Mondo di calcio, ovvero la Confederations Cup. I più giovani magari non la ricorderanno ma per oltre due decenni, tra gli anni ’90 e gli anni 2010, è stata una competizione che metteva su un unico palcoscenico le regine del calcio di ogni continente in un torneo breve ma intenso.

L’ultima edizione si è disputata nel 2017 in Russia e successivamente la manifestazione è sparita senza troppo clamore, abbandonata dalla FIFA e quasi dimenticata dai tifosi.

Dalle origini saudite al controllo FIFA. La storia della Confederations Cup comincia lontano dai riflettori. Nel 1992, in Arabia Saudita, fu organizzata una competizione chiamata "King Fahd Cup", voluta dalla monarchia saudita per ospitare alcune delle migliori nazionali del mondo. La prima edizione vide la partecipazione di Argentina, Arabia Saudita, Stati Uniti e Costa d’Avorio: un quadrangolare che fu vinto dall’Argentina di Gabriel Batistuta. La formula fu ripetuta nel 1995, quando fu la Danimarca a imporsi.

Il vero salto di qualità avvenne nel 1997, quando la FIFA assunse il controllo ufficiale del torneo e lo trasformò nella Confederations Cup. Da quel momento, divenne una competizione con cadenza regolare, prima biennale, poi quadriennale, e con una formula precisa: partecipavano otto squadre, ovvero le vincitrici dei sei tornei continentali, la nazionale campione del mondo in carica e quella del paese ospitante.

I giocatori del Camerun con la foto di Marc–Vivien Foé.
I giocatori del Camerun con la foto di Marc–Vivien Foé.

Il dominio del Brasile e la tragedia di Foé. Nel corso degli anni Duemila, la Confederations Cup si è imposta come una sorta di ‘mini-Mondiale', spesso utilizzata dalla FIFA come banco di prova per i paesi che avrebbero ospitato la Coppa del Mondo l’anno successivo. Si trattava di un test fondamentale per impianti, sicurezza, logistica e, ovviamente, organizzazione generale.

Dal punto di vista sportivo, il torneo ha spesso offerto un calcio brillante, libero dalle pressioni estreme dei Mondiali. Le partite erano divertenti e ricche di gol. Il Brasile, in particolare, fece della Confederations Cup quasi un feudo personale: vinse quattro edizioni (1997, 2005, 2009, 2013), spesso dominando in modo netto. Memorabile fu l’edizione del 2005, giocata in Germania, culminata con il 4–1 rifilato dalla Seleçao all’Argentina in quello che sembrava il preludio alla cavalcata dei brasiliani in vista dell’anno successivo. Sappiamo tutti come andò nel 2006.

Non mancarono le sorprese nelle dieci edizioni di questo torneo. Nel 1999, il Messico batté il Brasile in una finale rocambolesca, vincendo davanti al proprio pubblico; e nel 2009 gli Stati Uniti eliminarono la Spagna andando in vantaggio 2-0 contro il Brasile in finale e sfiorando un’impresa clamorosa. Il momento più brutto si è verificato nel 2003, quando perse la vita il centrocampista camerunense Marc-Vivien Foé, collassato in campo durante la semifinale.

L’Italia e una storia a metà. La Nazionale Italiana ha preso parte alla Confederations Cup solo due volte. La prima nel 2009, in Sudafrica, con un'eliminazione ai gironi e prestazioni deludenti. Andò meglio nel 2013, quando l’Italia di Prandelli raggiunse le semifinali, costringendo la Spagna ai rigori in una partita combattutissima, prima di battere l’Uruguay nella finale per il terzo posto. Anche se non fu un trionfo, quell’edizione rappresentò uno dei momenti migliori degli Azzurri tra il 2006 e il 2021.

Un torneo stanco e destinato a sparire: nel 2017 in Russia l’ultima edizione. Negli ultimi anni, però, la Confederations Cup aveva perso smalto e interesse. Il crescente affollamento del calendario internazionale, le pressioni dei club, la crescente disaffezione delle grandi nazionali europee e il limitato interesse mediatico portarono la FIFA a rivalutare il senso stesso del torneo. Nel 2019, la decisione: la Confederations Cup veniva ufficialmente cancellata, sostituita idealmente dal nuovo Mondiale per Club allargato.

La Confederations Cup vinta dalla Germania in Russia nel 2017.
La Confederations Cup vinta dalla Germania in Russia nel 2017.

Il fascino del Torneo delle Nazioni del 1997 è inarrivabile per la Confederations Cup

La Confederations Cup, come già anticipato, veniva organizzata spesso nei paesi che dovevano ospitare i Mondiali l’anno successivo ma nel 1997 si giocò l’ultima edizione in Arabia Saudita, dal 12 al 21 dicembre 1997. La Coppa del Mondo, però, qualche mese dopo avrebbe fatto tappa in Francia e per questo motivo nel giugno del 1997 il paese transalpino decise di fare le prove generali con una manifestazione che è rimasto un piccolo e indimenticato gioiello: il Tournoi de France, che in Italia molti ricordano semplicemente come il Torneo delle Nazioni del 1997.

In campo Francia, Brasile, Italia e Inghilterra: non c’era un trofeo di valore in palio e nemmeno una lunga lista di partite, ma tre gare per ciascuna squadra, disputate in dieci giorni tra Parigi, Nantes, Montpellier e Lione; e nessuna pressione particolare. Quelle partite offrirono un calcio tecnico, emozionante, e in alcuni casi spettacolare con giocate che ancora oggi vengono ricordate.

La punizione che sfidò la fisica di Roberto Carlos e la foto più bella della storia del calcio. Il primo segnale che questo non sarebbe stato un torneo qualsiasi arrivò il 3 giugno, a Lione, quando il Brasile affrontò la Francia. In quel match, Roberto Carlos disegnò una delle punizioni più incredibili mai viste su un campo da calcio: un tiro da oltre 30 metri che partì larghissimo, quasi in curva d’autobus, e rientrò all’ultimo secondo, lasciando Barthez immobile. Quel gol, destinato a diventare virale prima ancora dell’era dei social, fu l’emblema di quel torneo: spettacolare, imprevedibile, magico. Il match finì 1-1, ma il ricordo di quella traiettoria ancora oggi sfida le leggi della fisica e vive nei video YouTube visti milioni di volte.

Un altro momento incredibile di quel torneo fu la foto iconica che ritrae Ronaldo stoppato nello stesso istante da Paolo Maldini e Fabio Cannavaro durante Italia‑Brasile, giocata l’8 giugno 1997 allo Stade de Gerland di Lione. Il ragazzo prodigio che stava stregando aveva appena preso palla a centrocampo, l’erba volava sotto i suoi scarpini e partì in progressione, con passo felpato ma devastante. Ogni tocco è magnetico. Sta puntando dritto verso l’area e sembra inarrestabile ma di fronte a lui arrivano due colonne del calcio mondiale si stringono come una morsa per impedirgli di passare. Nell’esatto istante in cui le tre figure si incontrano, lo scatto immortala l’essenza del calcio.

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Inghilterra, la regina a sorpresa. L’Inghilterra non partiva certo da favorita. Aveva molto talento in squadra da Paul Scholes a David Beckham, da Ian Wright a Paul Gascoigne; ma nei tornei c'era sempre qualcosa che non funzionava. La squadra di Glenn Hoddle mise in mostra un calcio concretezza e con principi molto saldi: batté 2-0 l’Italia a Nantes con una doppietta di un giovanissimo Scholes, e poi superò anche la Francia.

La sconfitta per 1-0 contro il Brasile nell’ultima giornata non cambiò le sorti del torneo: gli inglesi vinsero per la prima volta in un contesto internazionale dal 1966. Questa manifestazione alimentò le aspettative in vista dell'anno successivo ma non i Three Lions, un anno dopo, vennero eliminati dall'Argentina ai rigori.

In piedi: Alan Shearer, David Seaman, Paul Gascoigne, Gareth Southgate, Sol Campbell e David Batty. Accosciati: David Beckham, Gary Neville, Ian Wright, Phil Neville e Graeme Le Saux.
In piedi: Alan Shearer, David Seaman, Paul Gascoigne, Gareth Southgate, Sol Campbell e David Batty. Accosciati: David Beckham, Gary Neville, Ian Wright, Phil Neville e Graeme Le Saux.

L’Italia bella a metà. La Nazionale Italiana, allenata da Cesare Maldini, si presentò al torneo con molte aspettative, ma anche con diversi punti interrogativi. La prima partita, persa con l’Inghilterra, lasciò qualche perplessità ma quella contro il Brasile mostrò un’Italia diversa: una squadra capace di emozionare, di rimontare e di soffrire.

Alex Del Piero fu il grande protagonista. Il numero 10 della Juventus segnò una doppietta, uno dei suoi gol arrivò su rigore al 90’, che sancì il 3-3 finale dopo che Ronaldo e Romário avevano trascinato i verdeoro ad un passo dalla vittoria. Contro la Francia, nell’ultima giornata, fu ancora battaglia: un 2-2 che chiuse il torneo con dignità, ma lasciò gli Azzurri all’ultimo posto per differenza reti.

La Francia stava per sbocciare. La Francia, padrona di casa, era una squadra in divenire. Il talento c’era – Zidane, Deschamps, Djorkaeff, Blanc – ma l’armonia no. Marcello Lippi disse una volta che le grandi squadre "nascono dalle ferite". La Francia le sue ferite le stava curando, ma il torneo servì da rodaggio fondamentale. Zidane iniziava a prendersi le chiavi della nazionale, e Aimé Jacquet stava affinando il meccanismo che avrebbe condotto alla vittoria mondiale l’anno successivo.

Il pareggio con l’Italia, e la sconfitta con l’Inghilterra, non furono gravi battute d’arresto. Furono, piuttosto, il preludio a una crescita esplosiva che porta alla conquista della Coppa del Mondo l’anno successivo.

Tournoi de France, la grande eredità di un piccolo torneo. Il Torneo delle Nazioni del 1997 non ha avuto una seconda edizione perché aveva uno scopo ben preciso ma il suo fascino sta proprio lì: nella sua unicità. Fu una vetrina breve ma intensa, dove alcuni dei più grandi talenti del calcio mondiale si affrontarono senza la pressione del “dover vincere”. E proprio per questo motivo, giocarono con più libertà e lo spettacolo fu straordinario.

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