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Simone Pianigiani: “L’Italbasket non hai tempo per allenarla davvero. Vi dico cosa deve fare un CT”

Simone Pianigiani è uno dei tecnici più vincenti e influenti del basket italiano: a Fanpage.it ha ripercorso la sua prestigiosa carriera e ha toccato temi di stretta attualità, dalla nomina di Banchi come CT della Nazionale alla Serie A appena iniziata.
A cura di Vito Lamorte
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Simone Pianigiani è uno dei tecnici più vincenti e influenti della storia del basket italiano. Ha legato indissolubilmente il suo nome alla Mens Sana Siena, con cui ha conquistato sei Scudetti consecutivi tra il 2007 e il 2012, aprendo un’era di dominio assoluto in Italia. Dopo l’esperienza con la Nazionale Italiana, dove ha guidato gli azzurri dal 2009 al 2015, il coach toscano ha intrapreso una carriera internazionale, allenando squadre di prestigio come il Fenerbahçe, l’Hapoel Gerusalemme e l’Olimpia Milano, con cui ha vinto la Supercoppa Italiana nel 2018.

Conosciuto per la sua meticolosità tattica e la capacità di valorizzare i giocatori nel sistema, Pianigiani è considerato un innovatore, capace di coniugare rigore difensivo e fluidità offensiva, oltre ad essere un punto riferimento per chi studia la leadership e la costruzione di mentalità vincenti nello sport. A Fanpage.it l'allenatore toscano ha analizzato i concetti fondamentali attorno a cui ruota il suo primo libro, "ESSERE COACH Il viaggio dell’allenare tra sport e azienda" edito da Roi Edizioni, ripercorrendo la sua prestigiosa carriera con oltre 20 titoli conquistati in quattro nazioni diverse.

‘Più azienda nello sport e più sport nelle aziende' è solo uno slogan o è un punto fondamentale da cui partire per la gestione di uno staff?
"Le società sportive moderne sono vere e proprie aziende, che richiedono competenze manageriali, tecnologiche e comunicative sempre più ampie per gestire eventi, staff numerosi, performance e l'esposizione mediatica continua. Le aziende operano in mercati in rapida evoluzione e necessitano di flessibilità, duttilità, capacità di adattamento e di pianificazione multipla (piani A, B, C, D), tutte caratteristiche sviluppate nel mondo sportivo. Entrambi i mondi prosperano quando si riesce a far lavorare insieme persone diverse per età, cultura e competenze verso un obiettivo comune".

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Si parla spesso di leadership, in campo sportivo e aziendale, ma come si riconosce un leader?
"Un vero leader facilita il lavoro altrui, stimola l'espressione dei talenti e crea un clima di fiducia, partecipazione e miglioramento. La leadership efficace si basa su empatia e la capacità di costruire un rapporto di fiducia, anche in contesti lavorativi che richiedono durezza e orientamento all'obiettivo, evitando che la pressione si trasformi in stress tossico".

Pianigiani è uno degli allenatori italiani più vincenti di sempre. Partiamo dal principio: quando ha capito che la sua strada sarebbe stata quella dell’allenatore e non del giocatore?
"Ho iniziato ad allenare giovanissimo dopo un infortunio. Tutto è partito per rimanere in palestra e a contatto con il basket, poi c'è stata un'accelerazione molto forte perché ho allenato tutte le categorie giovanili e da lì chiamato anche a fare da assistentato in prima squadra. È diventata la mia professione in maniera quasi naturale nel giro di pochi anni ma direi anche di più dire che è un po' la mia vita, perché è un lavoro di abbastanza totalizzante: ci metti molta emozione dentro e non stacchi mai perché ti fa piacere approfondire, analizzare, studiare".

In una carriera così lunga, qual è stata la lezione più importante che ha imparato dal basket?
"La lezione più importante è che la conoscenza tecnica è meno efficace della capacità di trasmetterla. È fondamentale ‘entrare nella pelle delle persone’, adattare i metodi comunicativi alle diverse generazioni e culture, e mantenere la lucidità nonostante l'emotività che circonda lo sport".

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La sua esperienza a Siena è stata leggendaria: in quegli anni siete stati capaci di dominare in Italia e farvi rispettare in Europa. Qual era il segreto di quella squadra?
"Il ciclo vincente di Siena è stato un mix di professionalità elevate, lo spirito da "underdog" di una piccola città che sfidava le corazzate europee e una convergenza di motivazioni personali e del supporto cittadino".

C’è una stagione o una vittoria in particolare che considera il simbolo di quel ciclo vincente?
"Sicuramente il primo anno, perché nessuno si aspettava di vederci così in alto, ma posso dire che, allo stesso tempo, è più difficile mantenere un programma vincente che crearlo. Richiede innovazione costante, ricerca di nuovi stimoli, cambiamento delle metodologie e delega allo staff per evitare la routine".

Quanto ha fatto male la revoca di alcuni titoli?
"I titoli revocati per questioni extra-campo non cancellano il ricordo delle vittorie sul campo. L'orgoglio e la consapevolezza dei successi rimangono, così come l'eredità di professionalità di alto livello emerse da quel contesto".

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Pianigiani è stato coach della Nazionale Italiana: che esperienza è stata quella alla guida dell’Italbasket?
"Venni chiamato per rilanciare il movimento, che viveva un periodo di difficoltà con pochi italiani protagonisti in Europa: fui chiamato dopo che la Nazionale non si qualificò per il girone finale degli europei e quindi c'era la volontà di ricreare un percorso partendo da capo, senza magari l'obbligo del risultato ma di ritornare a crescere con una generazione. Senza entrare troppo nei particolari posso dire che sono orgoglioso di quel percorso perché siamo ritornati nelle prime otto e addirittura nel nostro ultimo Europeo potevamo entrare nelle prime quattro, visto che perdemmo al supplementare con la Lituania e probabilmente saremmo riusciti anche andare a medaglia. Un altro aspetto fondamentale di quell’esperienza a tempo pieno è stato il contatto profondo con il territorio e la base del movimento, perché sono stato in città e palazzetti che mai avrei visto e visitato proprio per ricreare quel legame tra territorio e Nazionale che si era un po’ perso".

La sfuriata (‘Un po’ di dignità’) durante Italia-Israele agli Europei del 2011 diventò virale prima della viralità: cosa la fece più arrabbiare in quel momento?
"Non si trattava di richiamare all'impegno una squadra svogliata, ma di sbloccare giocatori bloccati dalla pressione e dalla frustrazione dell'eliminazione già certa e ricordare loro il duro lavoro svolto e la loro dignità".

L’ultimo Europeo ha lasciato un po’ l’amaro in bocca e dopo l’addio di Pozzecco è stato nominato Luca Banchi come nuovo selezionatore: lei lo conosce bene, avendolo avuto come vice. Cosa può dare all’Italbasket?
"È una buona scelta per l’Italbasket. Secondo me è un buon momento per iniziare un ciclo perché Luca può dedicarsi a tempo pieno alla Nazionale, che ha in questo momento dei giocatori in crescita e alcuni con un potenziale atletico molto interessanti. Niang, Diouf che insieme a Fontecchio e Melli, ma ce ne sono altri, sono giocatori che hanno un atletismo che non avevamo probabilmente mai avuto prima. C’è un gruppo che ha una potenzialità e in questo Luca è molto bravo, ha fatto esperienza non solo nelle coppe ma anche allenando la Lettonia. Sa riconoscere nuovi talenti in giro per il territorio e quelli che hanno voglia fare di un salto di qualità: non c'è molto tempo di allenarli, non li puoi allenare con il calendario fitto che c'è, ma dargli le indicazioni giuste e metterli nel ruolo giusto, questo sì. È un gruppo che ha dimostrato di star bene insieme, di avere un bell'atteggiamento per la maglia azzurra e questo è una cosa importante. Potranno solo migliorare".

Dopo la Supercoppa vinta Milano, è appena iniziata la Serie A di basket: che torneo si aspetta?
"Milano e Bologna sono le squadre più forti e attrezzate, costruite per l'Eurolega, e partono come favorite per il campionato italiano ma proprio il calendario intenso europeo può logorare le favorite, creando opportunità per altre squadre di emergere nella Regular Season e ambire a posizioni di vantaggio nei playoff".

Ultima battuta. Il ruolo dell’allenatore è cambiato negli ultimi anni perché è cambiato il mondo: quanto contano oggi la comunicazione, interna ed esterna, oltre alla gestione del gruppo e tecnica?
"La comunicazione interna ed esterna è diventata uno dei pilastri fondamentali per un coach, pari alla tecnica e alla gestione del gruppo. In questo momento il coach è costantemente esposto ai media, e le sue parole influenzano giocatori, tifosi, sponsor e dirigenti. La comunicazione deve essere estremamente efficace, sintetica e frequente, soprattutto in un contesto sportivo accelerato. Ogni riunione o colloquio individuale è cruciale per mantenere i rapporti e le performance".

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