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LeBron James senza limiti: è l’uomo del momento in NBA

A 37 anni appena compiuti, il “Prescelto” sembra aggiungere sera dopo sera un pezzo al suo già completissimo Gioco. Nel discorso MVP oggi è difficile non includere il suo nome.
A cura di Luca Mazzella
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Un altro anno è passato, per tutti noi e per il soggetto in questione, fresco 37enne. Eppure, le vecchie abitudini sono dure da perdere e LeBron James, superati i problemi fisici, è rientrato in grande stile e nelle ultime settimane è tornato a fare quello che gli riesce meglio: dominare. Un ottimo segnale per lui, che da molti dato sul viale del tramonto ha reagito nella stessa, puntuale e devastante maniera con cui ha sempre risposto alle più feroci critiche, un segnale meno buono per i Los Angeles Lakers che oggi sembrano, nonostante tutto, dipendere ancora esclusivamente dalle sue prodezze e tremendamente in affanno nel trovare una chimica in una prima metà di stagione mediocre, col record attuale di 18 vittorie e 19 sconfitte e l'ottavo posto nella Western Conference.

L'impressionante statline della notte

43 punti, 14 rimbalzi, 4 assist, 2 stoppate, 2 palle recuperate e 5 triple, con 16/26 dal campo (che sarebbe stato 16/23 se a un certo punto non avesse sbagliato 3 layup in successione a rimbalzo) in appena 29 minuti. Con 5:35 da giocare nel secondo quarto il suo tabellino personale segnava già una doppia-doppia da 25 punti e 10 rimbalzi, in un inizio di partita che ha visto i Portland Trail Blazers, una delle peggiori squadre dell'ultimo mese e in assoluto tra i peggiori team difensivi da anni, incapaci di arginare in qualsiasi modo la totalità del gioco espresso da James, che tra conclusioni dall'arco e penetrazioni di potenza si è preso da subito la copertina di serata. E per una Portland difensivamente inadeguata che in qualche modo potrebbe contribuire a sminuire i numeri collezionati dal "Re", la striscia recente di LeBron non sembra lasciare margini per discutere molto sul suo stato di forma: settima partita di fila oltre i 30 punti (il massimo in carriera è di 10 consecutive), ultime 5 sfide chiuse a 37.4 di media con 11.2 rimbalzi, e 15 delle ultime 25 sopra i 30 punti.

Numeri paurosamente in crescendo che coincidono con l'utilizzo non più a singhiozzo ma ormai in pianta stabile da centro che i Lakers ne stanno facendo dall'infortunio di Anthony Davis: sia Dwight Howard che DeAndre Jordan non offrono infatti garanzie sulle due metà campo e anche a costo di perdere più di qualcosa a difesa del ferro (più di qualcosa in realtà e ci sarebbe da interrogarsi sulla tenuta difensiva a medio-lungo termine di lineup con il solo LeBron da "5") l'attacco sembra vivere di spaziature spaziature quantomeno decenti solo con questo assetto, che rende possibile la convivenza tra il nativo di Akron e Russell Westbrook.

Candidato MVP?

Nel frattempo, la pallacanestro espressa da James nell'ultimo mese ha evidentemente toccato le giuste corde degli appassionati NBA, che sognano e candidano a furor di popolo il numero 6 al premio di MVP, il quinto della carriera. Un qualcosa di impensabile se si pensa agli attuali favoriti Giannis Antetokounmpo, Kevin Durant e Steph Curry, lanciati anche dai record di squadra, e ai primissimi rivali tra cui DeMar DeRozan (che col buzzer della notte ha portato i Bulls al primo posto della Eastern Conference) e Nikola Jokic, che pur non forte dei numeri di squadra sta viaggiando a statistiche mai viste prima nella storia NBA. La prepotente risalita di LeBron però renderà sufficientemente calda la discussione e gli argomenti portati a favore del giocatore dei Lakers iniziano a diventare tanti, o comunque abbastanza per inserire il suo nome tra i candidati dato che nell'ultimo MVP ladder rilasciato da nba.com è addirittura fuori dai primi 10: secondo miglior marcatore della lega (28.6 punti) dietro Kevin Durant, massimo in carriera per stoppate e triple segnate; quarta media punti in 19 anni di NBA e terza miglior percentuale dall'arco: come il vino, invecchiare ha migliorato una macchina che di suo sembrava già vicina alla perfezione.

Ci sono anche sue responsabilità

Che un giocatore 37enne debba trascinare la propria squadra anche in partite decisamente a portata di mano come quelle contro gli Houston Rockets o i Portland Trail Blazers è, evidentemente, un campanello d'allarme per la squadra che in estate ha rivoluzionato tutto aggiungendo Russell Westbrook anche nell'ottica di alleggerire gli oneri di James in regular season e poter disporre della sua miglior versione ai Playoffs. La prima metà di stagione, a dire il vero, sembra essere andata in tutt'altra direzione: Los Angeles dipende ancora dalla vena di James e la convivenza tecnica di Westbrook col resto del roster è stata finora molto complessa e resa ulteriormente difficile dalla successione di infortuni patiti dai tanti role players firmati in estate. Quando sembrava ormai fatta la trade per il tiratore Buddy Hield in cambio del giovane e discontinuo Kyle Kuzma, la squadra campione del 2019 disponeva ancora di tutto il gruppo capace di vincere l'anello, con difensori perimetrali versatili, tiratori e portatori di palla capaci di offrire sul serio riposo a James.

Da quella mancata trade (data per fatta anche dagli analisti USA) alla cena che avrebbe sancito il patto tra due star della squadra, LeBron e Anthony Davis, e il poi nuovo acquisto Westbrook, la differenza è stata enorme. Il roster, anche per motivi salariali, è stato smembrato, la scelta della dirigenza è caduta sulla conferma di Talen Horton Tucker a scapito di Alex Caruso, oggi difensore da miglior quintetto NBA in quel di Chicago, sull'addio a Dennis Schroder, unico creator in grado di alternarsi con James in conduzione di palla, e sulla partenza di tanti specialisti difensivi e giocatori di energia dalla panchina, rimpiazzati da veterani all'ultima vera chiamata per un anello. Una forzatura, alla ricerca della terza star di nome, che ha troppo drasticamente cambiato una squadra con forte identità difensiva per consegnare a Frank Vogel un gruppo nuovo, zeppo di giocatori vecchi e injury-prone, e mal assortito, con al centro 2 stelle legate alla palla e abituate a condurre il gioco come James e Westbrook.

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Dalla possibile convivenza dividendone i minuti si è passati, complice l'infortunio di Davis, all'esperimento LeBron-5 per rendere compatibili i due. Quanto potrà durare però questo genere di quintetto, destinato a soccombere contro attacchi più organizzati dei modesti avversari incontrati nelle ultime settimane? Forzare la mano per il nome di impatto e rinunciare alla funzionalità di un roster che calzava perfettamente sul suo gioco è stata probabilmente una scelta sulla quale si è ragionato davvero troppo poco, e il doversi esprimere a certi livelli per tenere a galla la squadra e tirarla fuori dalle sabbie mobili degli ultimi posti utili per i Playoffs è diventato a questo punto un peso che LeBron ha contribuito a mettersi sulle spalle. Facendo in questo modo riemergere le tante perplessità per un giocatore senza eguali nella storia NBA in campo, ma che troppo spesso si è fidato delle sue doti manageriali portando le dirigenze delle sue squadre a scelte tecniche difficili da comprendere. Se però questo è il suo modo di farsi perdonare, non resta che stare comodi e goderselo…sperando duri ancora per molto.

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