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Mourinho e il Triplete: “Materazzi fu messo lì da Dio, abbracciando lui abbracciai tutti”

“Subito dopo aver vinto, Moratti mi abbracciò e mi disse che mi ero conquistato il diritto di andare. Era il diritto di fare quello che volevo, non di essere felice: e infatti sono stato più felice a Milano che a Madrid”. Così a dieci anni di distanza, Josè Mpurinho ricorda il suo Triplete in uno dei momenti più combattuti, quello di lasciare l’Inter nel momento del trionfo.
A cura di Alessio Pediglieri
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Nel giorno della celebrazione del Triplete nerazzurro arrivato il 22 maggio di dieci anni fa, tra i mille ricordi, i tanti racconti, i sempreverdi aneddoti non poteva mancare lui, lo Special One, Josè Mourinho. Colui che il presidente Moratti ha senza mezzi termini definito il reale artefice del successo, senza il quale nulla sarebbe potuto accadere. E così, ‘Mou' è tornato a parlare di quella stagione divenuta memorabile di cui oggi si festeggia il decennale, dalle pagine della Gazzetta, dove tra i mille rivissuti, torna anche sul momento tra i più particolari in assoluto, l'addio immediato all'Inter e a Milano.

E' lì che si cela la chiave di un successo trasformatosi in leggenda: non essere tornato sul luogo del ‘delitto', Milano. Perché se dopo la notte di Madrid Josè Mourinho avesse preso il viaggio di rientro con la squadra sarebbe crollato e non avrebbe più trovato il coraggio di proseguire il proprio cammino, chiudendo un ciclo senza strascichi. Ed è dalla frase pronunciata da Materazzi ("sei uno str…o!") piangente, che abbracciava il tecnico che è il Triplete e la sua leggenda hanno avuto compimento.

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Il diritto di fare ciò che si vuole, non di essere felice. Il passaggio centrale della storia tra Mourinho, il Triplete e l'Inter, nasce da un addio. Quello della notte del 22 maggio a poche ore dal trionfo. A raccontarne la genesi è lo stesso Special One che aveva avvisato Massimo Moratti in tempi non sospetti, dopo essere usciti indenni dal Camp Nou contro Messi e Guardiola: "Sapevo che avremmo vinto la Champions League e preparai il presidente al futuro. Avevo già detto no al Real Madrid due volte, non puoi rifiutare la terza. Ma no, non avevo firmato alcun contratto. Lo feci dopo, giocai la finale da interista. Non fu una scelta di cuore, fu più una scelta di testa. Quando mi abbracciai al presidente al Bernabeu lui capì subito e mi disse che mi ero conquistato il diritto di andare. Era il diritto di fare quello che volevo, non di essere felice: e infatti sono stato più felice a Milano che a Madrid

Materazzi, messaggero del dio nerazzurro. L'addio venne consumato di sfuggita, vissuto dai media e dai tifosi quasi come una fuga ma non fu così. Mourinho dieci anni più tardi torna ad analizzare il momento e a spiegarne l'evoluzione: "Sapevo che se fossi tornato a Milano con la squadra non me ne sarei più andato via. Davanti ai tifosi, davanti a quei cori non l'avrei fatto. Mi sono ripromesso di tornare solo nel momento in cui non avrei più potuto tornare indietro e così ho fatto. Tradimento? No, quando ho abbracciato Materazzi, che era il simbolo di quel mondo, ho abbracciato l'Inter. Forse lo aveva messo Dio appoggiato a quel muro perché io prima di andare salutassi lui e tutti i nerazzurri"

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