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L’autore Garramone: “Con Wanna Marchi ho anche litigato, lei e Stefania Nobile non sono state pagate”

Intervista ad Alessandro Garramone, autore di Wanna, docu-serie Netfliix: tutti i retroscena del progetto svelati da chi ci ha lavorato due anni tra indagini compulsive, litigi con la Marchi e le risposte alle critiche per aver subordinato il dolo delle vittime delle truffe al racconto della vita della teleimbonitrice.
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A cura di Grazia Sambruna
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Sembrava una cazzata”, dice Alessandro Garramone, autore della docu-serie Wanna, dal 21 settembre su Netflix prodotta da Gabriele Immirzi per Fremantle Italia, “non potevo credere che la Marchi avesse iniziato la sua attività in un garage come Steve Jobs. Siamo andati sul posto a verificare e ci abbiamo trovato… davvero un garage”. Ideato insieme al co-autore Davide Bandiera, per la regia di Nicola Prosatore, il progetto ha scatenato grosse polemiche fin dal rilascio del trailer.

Anche per via di quel “È giusto che i cogli*ni vengano inc*lati” urlato dalla ex regina delle televendite finita al gabbio. “Wanna è come un rapper, ha un incredibile talento naturale per le punchline, soprattutto quando cattivissime. Per quanto, a telecamere spente, sia sorprendentemente pacata”, svela Garramone orgoglioso di aver contribuito a portare questa bizzarra storia di true crime all’italiana nel mondo, nonostante la bufera di polemiche: Possono anche dirmi che ho realizzato la cosa peggiore dai tempi della sedia elettrica, risponde lui, “ma solo dopo aver visto la serie per intero”. Due anni di lavoro, indagini compulsive per riacciuffare testimoni e imputati che nel tempo si sono dati alla macchia, scavi archeologici nelle cantine delle tv private dei tempi che furono, improvvise illuminazioni e decine e decine di ore di girato. Wanna è anche tutto questo. E grazie ad Alessandro Garramone, possiamo svelarvene ogni retroscena. O quasi.  

Alessandro Garramone, co-autore della docu-serie Wanna su Netflix
Alessandro Garramone, co-autore della docu-serie Wanna su Netflix

Come vi siete approcciati al racconto della storia di Wanna Marchi per Netflix? 

Il punto di partenza è stato quello di non dare nulla per scontato. Anche perché un ventenne di oggi Wanna Marchi magari l’ha giusto sentita nominare, non è detto che conosca la storia… Allo stesso modo ci siamo mossi dal punto di vista dello scenario internazionale. Voglio dire: uno di Taiwan come può conoscere la vicenda?

E non dev’essere stato semplice spiegare anche Striscia la Notizia e  i Tapiri pensando a uno di Taiwan.

Ecco, sarei curioso di sapere come la prenderà (ride, ndr). L’apporto di Striscia la Notizia è stato fondamentale a livello giudiziario. Come anche su quello narrativo: l’arrivo del Tapiro è l’imprevisto bislacco, il plot twist folkloristico e surreale che rende la docu-serie su Wanna Marchi una sorta di nostra bizzarra Tiger King.

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Wanna è una nuova docu-serie italiana che arriva dopo il successo di Sanpa. 

Sanpa è un capolavoro. Se volessimo fare un confronto con Wanna potremmo dire che Sanpa è l’Iliade mentre Wanna vuole provare a essere l’Odissea. Come dicono gli americani, Wanna è completamente character-driven, Sanpa è un grande affresco mirabile grazie anche al ricco archivio a cui ha contribuito l'archeologo della tv Daniele Ongaro, insostituibile anche per Wanna.

Un dettaglio. Il “Mago” Do Nascimento ha il sottopancia “Maestro di vita”. È stata una sua richiesta?

No. l‘ho voluto io, non so nemmeno se gli piacerà.

Ma si è capito cosa faccia oggi?

Non me l'ha voluto dire. Del resto, è stato un mistero fin dall’inizio.

Come l'avete rintracciato?

“Dobbiamo trovarlo, se è vivo”, questo il nostro punto di partenza.

Quanto ci avete messo?

Nove mesi.

E come ci siete arrivati? 

In Italia nessuno aveva più contatti con lui da almeno 10 anni. Quindi, abbiamo provato tramite i ristoranti italiani nello stato di Bahia. Niente. Alla fine, Giuseppe Bentivegna, un redattore trentenne molto sveglio, ha scoperto che in Brasile tutti gli atti giudiziari vengono pubblicati online ed è possibile scaricarli a pagamento. Ha trovato una causa fatta da una persona di nome Mário Pacheco Do Nascimento contro un ente pubblico per non aver ricevuto un’utenza, forse la luce o qualcosa del genere. Trovato! Eravamo in tempi di pandemia non piena ma con molte limitazioni sugli spostamenti ancora in vigore. ”Io sono pronto a tutto per intervistarlo”, ho detto. Partito il venerdì per Salvador, il lunedì ero già a Roma. Un record quasi mondiale. E tutto ciò per parlarci un paio d’ore.

Solo?

Sì, ma non per questione di tempi. Su molte cose non sapeva che dire. Penso che tutto gli sia passato sopra la testa. Mi sembra la storia di un ragazzo arrivato in Italia per fare il cameriere che poi si è trovato a essere socio della palestra del Principe di Savoia di Milano. Non aveva un ruolo.

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È stato condannato a 4 anni di reclusione per associazione a delinquere finalizzata alla truffa e all’estorsione. In Wanna c’è molto spazio per "i cattivi" e i loro collaboratori ma meno per le vittime. Scelta voluta? 

Una delle parti più odiose che questa storia racconta è che nel reato di truffa, soprattutto in Italia dove abbiamo un po’ il culto del “furbacchione figo”, il truffato viene percepito quasi come più colpevole del truffatore. Perché se ti fai fregare cinquanta milioni di lire, lui è uno sveglio e tu un pirla. Di conseguenza, molte vittime non hanno voluto partecipare. In particolare, una ci ha detto: “Guardate, mio nipote ha 25 anni e non sospetta che in casa nostra sia successa questa cosa”. La forza delle loro testimonianze in aula, comunque, è innegabile.

Già dopo il rilascio del trailer, sono arrivate le prime critiche. La principale è di esservi appunto "dimenticati delle vittime".

Non prendo in considerazione critiche che arrivano prima della visione della serie. Poi mi si può anche dire: ‘Hai fatto la cosa peggiore dai tempi della sedia elettrica’.

E l'ha fatta?

Non ho per nulla la sensazione che ci siamo dimenticati delle vittime, anzi. La serie mira a far capire quanto ancora oggi sia facile essere truffati. E porta a interrogarsi sul confine della truffa. Siamo tutti convinti di saperlo nella misura in cui abbiamo sviluppato una visione etica e simpatetica nei confronti degli altri. Però sui social vedo di continuo prodotti improbabili venduti a costi spropositati. Qualcuno se li comprerà pure, no?

Wanna Marchi ha degli "eredi"? 

Uh, infiniti! Seguo tanti sui social che promettono grandi guadagni vendendo aria fritta.

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Di persona, è come la vediamo nella serie? 

A telecamere spente è una donna pacata. Parla a voce molto più bassa, dice pochissime parolacce. Si accende così solo quando sa di essere in video, a differenza della figlia che è più o meno come la vedete anche nel privato. Wanna Marchi l’ho trovata educatissima. E lo dico pur avendoci litigato.

Come mai?

All’inizio ci sono stati sbandamenti: non accettavano di non avere nessun controllo editoriale sulla serie. L'hanno vista quando è arrivata su Netflix come tutti. Non sapevano nemmeno chi saremmo andati a intervistare oltre loro. Altro elemento di attrito: non sono state pagate per partecipare al progetto.

Su qualcosa siete scesi a patti con Wanna?

Su suo figlio Maurizio Nobile.

Ha un figlio? 

Sì, fa l’antiquario. Wanna ci ha detto: “Non voglio parlare di lui, è già stato colpito abbastanza da tutta questa vicenda senza averne preso parte con noi”. Nemmeno da parte di Maurizio, poi, c’era interesse a partecipare.

Si è fatto l’idea che madre e figlio siano in buoni rapporti?

Non saprei dire.

Altri extra che non ci son nella serie?

Non posso fare nomi. Ma Wanna Marchi a un certo punto ci ha detto di aver ricevuto un’offerta da una grossa rete televisiva. Però l’ha rifiutata.

Come mai?

Perché aveva un’azienda di cento persone e avrebbe dovuto mollare tutto per andare a fare… la dipendente. Nemmeno per sogno.

In chiusura, lei è d’accordo con Wanna Marchi? 

Credo che la grande domanda alla fine della serie sia: “Quanto hai il coraggio di dire se sei in disaccordo con Wanna Marchi?”.

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