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Laura Pausini – Piacere di conoscerti: più che un docufilm, un’agiografia

Piacere di conoscerti, il film su Laura Pausini da oggi su Prime Video non racconta nulla di nuovo sull’artista perdendosi nell’auto-celebrazione, indorando la sua già iridescente vita in una coltre di melassa disneyana. Che peccato.
A cura di Grazia Sambruna
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La carica dei biopic. Ovvero, andiamo a farci i fatti di quelli famosissimi. Prime Video, dopo averci disvelato luci e ombre di Tiziano Ferro nonché dei Ferragnez, ora punta tutto su Laura Pausini e il suo Piacere di conoscerti, a piede libero sulla piattaforma da giovedì 7 aprile. Per la regia di Ivan Cotroneo, il film sulla ragazza che partendo da un paesino dell’Emilia Romagna ha conquistato il mondo intero, è un titolo di sicuro appeal per tutti i fan della cantante sparsi nel nostro globo terracqueo. E, per fortuna, sono moltissimi.

Perché “Piacere di conoscerti” è rivolto solo ed esclusivamente a loro. Se in casa non conservate un altarino dedicato a Santa Pausini da Solarolo, se non avete tutti i suoi dischi autografati e non vi recate annualmente ai raduni dei Lausiners, questo film non fa per voi. Ed è un peccato. Perché 30 anni di carriera, 70 milioni di dischi venduti, una schiera di Grammy nel salotto di casa oltre al Golden Globe e la nomination all’Oscar, fanno sicuramente parte di una storia che sarebbe stata interessante da approfondire anche per un ateo pausiniano. E invece no.

Certo, non sono mica tutti Kanye West: di recente su Netflix è sbarcato il documentario in tre “atti” perché guai a chiamarli “episodi” che l’ex marito di Kim Kardashian ha voluto girare su se stesso ancora prima di diventare famoso. Lo vediamo, complice un amico video maker, a diciassette anni nella sua cameretta, già immerso nei beat e con la schietta arroganza che l’avrebbe contraddistinto, nel bene e nel male, per tutta la sua carriera: Non vedo come io possa fallire”, dice tronfio quando ancora nessuna etichetta aveva accettato di produrgli il primo EP. Ora, se Jeen-Yuhs, questo il titolo del doc, è un unicum nel campo dei biopic in streaming perché oggettivamente contiene materiale di repertorio inedito ed è frutto di un progetto sì megalomane ma preziosissimo, visti i risultati raggiunti dal suo protagonista, Piacere di conoscerti è talmente loffio da aver bisogno di una sceneggiatura di rinforzo per trovare senso di esistere. Ed eccoci al temutissimo, già dal trailer, espediente narrativo dello Sliding Doors.

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La voce narrante di Laura accompagna l’intero film, sin dalla domanda iniziale: Cosa sarebbe successo se non avessi vinto Sanremo?”. In effetti, la sua strepitosa carriera è nata proprio da quel momento e non ha subito mai battute d’arresto, anzi le proporzioni del successo sono state fin da subito almeno almeno internazionali con l’Olanda che sceglie di inserire immediatamente La solitudine in alta rotazione radiofonica al primo ascolto, ancora prima che quello storico brano andasse a vincere il Festival. Nel 1993 Laura era appena diciottenne e si è vista catapultata dai banchi delle superiori e i canti della messa domenicale alla fama mondiale. “Porca vacca!”, esclamerebbe lei.

Ecco, a Piacere di conoscerti manca proprio questo effetto “Porca vacca!”. Il percorso dell’artista è raccontato in modo così monocorde, sempre fedele alla linea del successo, senza mai un ripensamento, un passo falso, la benché minima gaffe, che la Pausini assume via via i contorni di una specie di Neo, l’Eletta dal Matrix, una predestinata. Eh, però la storia di una “predestinata” non è avvincente. Mancano i momenti in cui la nostra inciampa, non prende una nota, non volesse il Cielo sbaglia. È davvero difficile, se non si è fan di un’artista, entrare in empatia con una persona che è raccontata solo tramite la propria pagina Wikipedia, nello specifico dalla voce “Riconoscimenti”.

Proprio per questo, dicevamo, viene innestato un ulteriore scalpo di sceneggiatura in cui Laura, dopo la mancata vittoria a Sanremo, cresce a Faenza dove apre un negozio di ceramiche, diventa mamma single e non abbandona la passione per il canto, riuscendo a dare sostegno alle amiche tramite la sua ugola d’oro. Praticamente, questa seconda ipotetica vita di Laura Pausini “nip” ci viene raccontata solo per dimostrare che lei sarebbe stata straordinaria lo stesso, famosa o no. Posto che non possiamo certo escluderlo, registriamo però una certa spossatezza della palpebra destra nel continuare la visione. Proseguendo, anche di quella sinistra.

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Sarebbe bastato poco di più per rendere questa storia affascinante (come, del resto, sicuramente sarà stata): se in Ferro abbiamo visto Tiziano sbroccare nei camerini di Sanremo subito dopo aver stonato Mia Martini sul palco dell’Ariston ed è questo uno dei momenti più memorabili dell’intero doc perché ce l’ha reso ancora più “umano”, in Piacere di conoscerti non vediamo nessun tipo di cedimento. Possibile non ci sia stato un periodo di rivalità verso un’altra cantante, il giusto quantitativo di ansie corrosive prima o dopo l’uscita di un qualsiasi disco, un po’ di strizza pre-perfomance live?

Nemmeno il celebre “La tengo como todas”, ovvero l’episodio in cui Santa Pausini da Solarolo rimase smutandata sul palco, viene citato. E non è che lo avremmo voluto vedere per vile cattiveria, è solo che un errore nel Matrix, anche solo una piccola falla dissonante è ciò che normalizza la vita di una celebrità agli occhi dei comuni mortali che la guardano. Perché fa empatia, o per meglio dire: renderebbe più facile riconoscersi in lei. Manco a dirlo, neanche un accenno alla sua celebre arringa live: "Sono una contadina, vengo da Solarolo. Ma mi piace cantare, caz*o!", con cui pensiamo chiunque si sarebbe aspettato di veder principiare o concludersi il film.

Fateci caso: siamo davanti a un documentario sui 30 anni di carriera di Laura Pausini e non c’è nemmeno un secondo in cui vi verrà da esclamare: “Oddio, non lo sapevo!”, nel bene o nel male. Tutto già visto, già instagrammato e/o metabolizzato, Piacere di conoscerti indora la già iridescente vita della “più umile” tra le dive nostrane in una coltre di melassa disneyana in cui ciò che conta per essere felici è avere un sogno, pazienza se poi venga realizzato grazie a milioni di fan adoranti o dalle amiche del nuoto sincronizzato alla piscina del paesello. Ed è su questa retorica wannabe motivational che si incentra l’intero film, spossando mortalmente chi ha avuto l'ardire di pigiar play.

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Sto scrivendo. Perennemente in attesa che il sollevamento di questioni venga riconosciuto come disciplina olimpica.
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