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Opinioni

Antonia, la recensione: dall’endometriosi alla psicoterapia, finalmente una serie che parla ai 30enni

Su Prime Video arriva dal 4 marzo Antonia, serie ideata e interpretata da Chiara Martegiani che, finalmente, riesce a parlare ad una generazione poco raccontata: i trentenni. Dalla scoperta dell’endometriosi che mette insieme i tasselli di un passato a tratti doloroso, all’approccio con la terapia, la serie con ironia parla dell’incompiutezza e anche della confusione nel capire chi si vuole essere davvero.
A cura di Ilaria Costabile
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Tu donna partorirai con gran dolore” recita uno dei versi più noti della Bibbia e in effetti il dolore è un qualcosa che nell’immaginario comune sembra che le donne siano costrette a sopportare, da sempre. Donne che aspettano, donne che convivono ogni mese con sbalzi ormonali, donne che devono scegliere se diventare madri o esseri femminili senza prole, oppure come direbbe Antonia, “polli o galline”. E forse è arrivato il momento di scardinare questa credenza dicotomica per cui bisogna essere una cosa o il suo esatto opposto.

L’Antonia di cui sopra, è la protagonista dell’omonima serie di Prime Video, prodotta da Fidelio e Groenlandia, a cui presta il suo volto Chiara Martegiani, attrice nonché ideatrice della serie stessa. Partendo da quella che è stata una sua crisi all’età di trent’anni, ha deciso di condensare in un unico brillante racconto, le conseguenze di una malattia difficile tanto da diagnosticare quanto da affrontare come l’endometriosi, lo spaesamento che molte trentenni vivono, combattute tra chi sono e quello che le società impone loro di essere e, infine, la necessità di scavare dentro sé stessi per provare a capire chi vogliamo essere davvero.

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Sei episodi, leggeri, divertenti, dal ritmo incalzante mettono in fila, uno dietro l’altro, piccoli drammi esistenziali che, però, hanno un peso specifico in una fase della vita di estremo cambiamento, come può essere di una donna superati i 30. Antonia, attrice in cerca del ruolo della vita, è una trentatreenne che, dopo anni di sofferenze liquidate con “una soglia del dolore troppo bassa”, scopre di avere l’endometriosi e si ritrova a dover compiere una scelta tra l’essere donna, l’essere madre, o nessuna delle due cose. Una decisione che non si può prendere su due piedi, che ha bisogno di tempo, di introspezione, ha bisogno di scavare nel passato, ma anche nel presente, per capire se si è davvero pronti ad imboccare una strada, probabilmente senza possibilità di ritorno.

Per prendere quella che sembra essere una scelta definitiva, Antonia prende la sua vita e come quando si cercano freneticamente le chiavi in borsa, la agita, finché non riesce a trovare la soluzione giusta ai suoi problemi. Cambia casa, prende le distanze dal suo compagno Manfredi (Valerio Mastandrea), si scontra con la migliore amica Radiosa (Barbara Chichiarelli) appena diventata madre, conosce persone che diventano nuove ancore di salvezza. Si imbatte, poi, nella psicoterapia, da Freud alle sedute sciamaniche, fino agli psicodrammi, Antonia risveglia il suo inconscio che, piano piano, inizia a parlare e farle notare che il sentirsi sopraffatta dal mondo che la circonda è la risposta ad un avvenimento ben preciso: “Succede perché se non riempi lo spazio con i tuoi desideri, gli altri ci mettono i loro”, le dice la psico-regista.

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Cosa vuole Antonia? È una domanda difficile, un quesito al quale la generazione dei trentenni spesso pensa di saper rispondere, ma non sempre è così. E in fin dei conti, dopo anni in cui ci è stato detto chi essere, è giusto sentirsi smarriti, soprattutto quando la vita sembra non sorriderti.

La malattia di Antonia diventa il pretesto per accendere un faro, non solo su una patologia che non si conosce quanto e come si dovrebbe, ma anche per aprire un sipario calato da troppo tempo sulle vite dei trentenni, poco raccontati, poco ascoltati, quella generazione di mezzo che dovrebbe essere qualcosa e forse, proprio per quella sensazione di dovere, si trova a fare i conti con quell’indefinita certezza del non saperlo.

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È forse questo l’aspetto più bello di una serie come Antonia, –definita da alcuni la nuova Fleabag, ma per chi scrive sarebbe solo un voler associare delle similitudini, senza guardare al cuore della serie– quello di essere riuscita a raccontare l’incompiutezza che fa sentire molti insicuri, impauriti, quando poi, con tutta la fatica del caso, è solo guardandosi dentro che si può scoprire quanto, come ha detto qualcuno di recente su un noto palco tv, sia liberatorio essere se stessi. Dobbiamo solo darci l’opportunità di scoprirlo, proprio come Antonia che ancora in pigiama corre verso la sua nuova e frastagliata consapevolezza di sé.

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Nata nel 1992, giornalista dal 2016. Ho sempre scritto di cultura e spettacolo spaziando dal teatro al cinema, alla televisione. Lavoro nell’area Spettacolo di Fanpage.it dal 2019.
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