
Con la scena di Meloni collegata che ricorda nostalgicamente le pastarelle come simbolo delle sue domeniche, si è aperta la nuova stagione di Domenica In. La cinquantesima, per l'esattezza.
Difficile immaginare un avvio più sgrammaticato, per un programma che tornava già sospinto da forti dubbi sulla nuova formazione, dopo che nell'estate Venier è riuscita a ribaltare i piani dell'azienda e, come era stato anticipato su Fanpage, fare in modo da spingere fuori dal progetto Gabriele Corsi per imbarcare Tommaso Cerno, a cui si sono poi aggiunti Enzo Miccio e Teo Mammucari.
L'impatto della trasmissione in questa domenica inaugurale è il frutto di una forzatura, quella con cui Venier ha deciso di rimanere al timone di un programma che ha meritevolmente riportato ai suoi fasti negli anni scorsi, trovando un nuovo linguaggio e una capacità di farsi ponte generazionale, dal quale si era più volte congedata annunciando la sua ultima stagione per poi fare un passo indietro, esattamente come l'anno scorso. La conduttrice per l'ennesima ultima edizione di Domenica In ha messo a punto un nuovo assetto che nasce scarico e demotivato, se non dal lato di chi la fa, almeno da quello di chi la guarda.
In questa prima puntata il senso di accumulo e forzature è palpabile ed è la stessa conduttrice a riconoscerlo nel finale di puntata, sottolineando che c'è stata un po' di confusione, di cui il momento gioco con Mammucari è stato emblema.
Nello scenario decritto, l'immagine di Meloni collegata a distanza ha un effetto disturbante. Non tanto perché una premier non possa intervenire in una trasmissione nazional popolare, quanto per ciò che l'immagine in sé trasmette, ovvero la facilità con cui la premier si serva del servizio pubblico. Le opposizioni, impotenti, si ribellano a questa telepromozione, ma il problema resta la Rai, le fisiologiche ingerenze del potere a cui è esposta, la genuflessione all'esecutivo risalente alla riforma del 2015. Ogni governo, da allora, ha rimodulato la Rai secondo le proprie esigenze, chi con maggiore senso delle istituzioni, chi con un approccio più irruento, come sta accadendo con l'attuale maggioranza, che ad esempio tiene bloccato l'organo di commissione di Vigilanza da mesi, disertando puntualmente le sedute e impedendo l'elezione di un presidente della Rai.
Meloni, che paradossalmente aveva contestato l'intervento a Domenica In dell'allora presidente del Consiglio Conte in piena pandemia, a proposito dei tempi che cambiano, dà così vita a un siparietto con Venier sulle tipicità culinarie nostrane direttamente dal Colosseo, nell'ambito di una campagna per proporre la cucina italiana come patrimonio immateriale Unesco. Lo fa in tutta libertà e impunità, senza che la commissione stessa possa chiederne conto, svolgendo il minimo delle proprie funzioni.
Tra il normale e l'assurdo non c'è più differenza, forse il problema sta proprio qui. La Rai è un animale malato e circostanze come queste non fanno che provarlo.
