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Rolando Ravello: “Ero con Pietro Taricone quando è morto in paracadute. Dopo nove anni in analisi”

L’attore si racconta in un’intervista al Fatto, ripercorrendo la sua carriera. Tra i momenti più difficili la morte di Pietro Taricone: “Dopo quel giorno non mi lancio più”.
A cura di Andrea Parrella
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Rolando Ravello si racconta in una lunga intervista al Fatto Quotidiano, ripercorrendo una carriera che gli ha consentito di attraversare ere geologiche del cinema e lavorare con alcuni dei registi e attori più illustri in Italia, da Ettore Scola a Alberto Sordi.

La beffa della Coppa Volpi assegnata a lui e poi ritirata

Una carriera fatta di grandi soddisfazioni, ma anche di dispiaceri che Ravello racconta con spirito e ironia. Come quando gli annunciarono che aveva vinto la Coppa Volpi a Venezia, per poi tirarsi indietro: "Chiamo amici e fidanzata e pago il viaggio a tutti: passiamo la notte in giro a festeggiare. La mattina dopo, dal Festival, mi convocano: ‘Ci dispiace, niente Coppa: non è mai stata assegnata a un esordiente‘. E poi: ‘Devi tornare a Roma perché la stanza d'albergo non è pagata'". Una beffa di cui non nega di avere avvertito il peso, soprattutto per ciò che quel premio avrebbe potuto portare alla sua carriera, ma che ha sopportato con altre soddisfazioni, come il riconoscimento dei colleghi, tra cui lo stesso Sordi, che lo omaggiò dallo stesso palco a Venezia, e Vittorio Gassman.

La morte di Pietro Taricone

Tra le esperienze più dolorose per Ravello c'è quella legata alla scomparsa di Pietro Taricone, che conobbe sul set de La Nuova Squadra, in cui entrambi avevano dei ruoli di primo piano. Ad accomunarli, oltre all'amicizia, la passione per il paracadutismo, che per Taricone si rivelò fatale, l'attore morì infatti in un incidente in paracadute il 29 giugno del 2010. Ravello racconta: "Sono andato dallo psicologo dopo la morte di Pietro Taricone, quel giorno ero con lui e ci lanciavamo insieme. Nove anni di analisi". Di Taricone racconta: "Aveva il gusto della verità, lui ti diceva in faccia tutto, nonostante fosse di un'umiltà clamorosa". Infine non nasconde il peso del trauma: "Dopo quell'evento per due volte sono arrivato al campo, ma non sono mai sceso dalla macchina. Non mi lancio più".

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