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Gino Paoli: “Il suicidio di Tenco fu un colpo di teatro finito male, voleva spararsi e restare vivo”

Gino Paoli ricorda il suicidio dell’amico Luigi Tenco, morto a Sanremo nel 1967 dopo essersi sparato alla testa. “Voleva imitare me: spararsi e restare vivo. Fu un colpo di teatro finito male”, è la convinzione del cantautore.
A cura di Stefania Rocco
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Gino Paoli ricorda la morte dell’amico Luigi Tenco, trovato senza vita a Sanremo nel 1967 dopo essersi sparato un colpo alla testa. Intervistato dal Corriere della Sera, il cantautore ricorda la lunga amicizia con il collega la cui morte sostiene sia stata il gruppo di un colpo di teatro riuscito male, pensato allo scopo di imitare proprio Paoli. L’artista genovese, l’11 luglio 1963, aveva tentato di suicidarsi sparandosi un colpo di pistola al cuore. “Avevo tutto, e non sentivo più niente. Le due donne più belle d’Italia, Ornella Vanoni e Stefania Sandrelli, erano innamorate di me. In garage avevo una Porsche, una Ferrari e una Flaminia Touring. Cos’altro potevo avere? Volevo vedere cosa c’era dall’altra parte”, dichiara oggi Paoli, ricordando quel momento:

Provo con i barbiturici, il Nembutal, annaffiati con il calvados, ma non mi fanno niente. Penso di gettarmi di sotto; ma non voglio dare a mia madre il dolore di vedere un figlio straziato. Mi ricordo di avere due pistole. Faccio le prove sparando con la Derringer calibro 5 dentro un libro bello spesso, e vedo che il proiettile entra in profondità. Così mi corico sul letto, e mi sparo. Non alla testa, sempre per non dare quel dolore a mia madre. Al cuore. Il proiettile si fermò nel pericardio. È ancora là, e mi tiene compagnia; ha anche smesso di suonare al metal detector. Meglio così. Ogni volta spiegavo: ho una pallottola nel cuore. E nessuno mi credeva. Ho una foto con Rita Pavone e Teddy Reno al mio capezzale. Ornella passò di notte, per non dare nell’occhio. Nel corridoio Luigi Tenco ripeteva sconsolato: non si fanno queste cose…

Il suicidio di Luigi Tenco: “Come se volesse imitare me”

Tre anni più tardo fu Tenco a provare, riuscendoci, a togliersi la vita. I due cantautori sono stati legati a lungo da una profonda amicizia, interrottasi quando Paoli scoprì il tradimento del collega con Stefania Sandrelli. Per anni, numerose fonti hanno sostenuto che fosse proprio la relazione tra i due ad avere convinto Paoli a tentare il suicidio. “Quello accadde dopo”, smentisce il cantante, “Luigi mi telefonò: ‘Sono a letto con Stefania’. La presi malissimo e ruppi con entrambi. Se non l’avessi fatto, lui sarebbe ancora vivo. Quella sua telefonata non nasceva da una vanteria maschile, ma da un senso di protezione. Tenco era legatissimo alla mia prima moglie, Anna. Era il suo modo di dirmi che Stefania non era la donna giusta per me”. Così, invece, racconta l’artista scomparso: “Lui e io ci siamo fatti l’immagine di poeti maledetti perché nei locali, anziché corteggiare le ragazze, ci mettevamo in un angolo immusoniti e tenebrosi, alla James Dean, con il pugno sulla tempia. Così le ragazze arrivavano. Non ho mai corteggiato una donna; erano loro a venire da me. In realtà Luigi Tenco era un gigantesco cazzone. Divertentissimo. Adorava gli scherzi. Il suo preferito era quello della cravatta: si avvicinava sorridendo, ti poggiava una mano sulla spalla, ti faceva parlare, e intanto con le forbici ti tagliava la cravatta. Una volta, dopo aver visto un film su un suicidio, rifacemmo la scena madre su un tetto di Genova: io fingevo di volermi gettare di sotto, lui di trattenermi. Dovemmo smettere perché si era creata una folla in attesa…”. E sul suicidio dell’amico, rende nota la sua ipotesi:

Un colpo di teatro non riuscito. Come se avesse voluto imitare me: spararsi, e restare vivo. Andava molto una droga arrivata dalla Svezia, il Pronox, che ti dava un senso di sdoppiamento, come se non fossi più responsabile di te stesso… Appena arrivò la notizia mi precipitai a Sanremo. Il festival andava fermato; e se fossi stato in gara sarei riuscito a fermarlo. Incontrai Lucio Dalla, e lo attaccai al muro. Avrebbe dovuto ritirarsi. Tanto più che la sua canzone si intitolava “Bisogna saper perdere”. E tanto più che tutti collegavano Lucio a me.

L’incontro con Ornella Vanoni: “Mi affrontò insieme a mia moglie”

Gino Paoli e Ornella Vanoni
Gino Paoli e Ornella Vanoni

Nel 1960, Paoli avrebbe conosciuto un’altra delle donne più importanti della sua vita: Ornella Vanoni. “Primavera 1960. Avevo già scritto ‘La gatta’. Sono alla Ricordi, al pianoforte. Alzo lo sguardo e vedo questa splendida donna, la voce sensuale, le mani grandi, che mi chiede di comporre una canzone per lei”, ricorda Paoli, “Io le ho insegnato a cantare: senza di me avrebbe continuato con le canzoni della mala con cui lei, di famiglia borghese, non c’entrava nulla. Ornella mi ha insegnato il sesso. Ero pieno di sensi di colpa. Con lei ho imparato a parlare facendo l’amore. Prima andavo a letto con chiunque respirasse; con Ornella ho scoperto la libertà e la naturalezza”. Ma all’epoca del loro incontro e della storia d’amore, il cantautore era già sposato:

Eravamo in un bar di Milano. Un bar brutto, camerieri scortesi. Glielo chiedo con il cuore in gola: ma a te piacciono le donne? Ornella trema, mi risponde di no, e mi chiede: ma a te piacciono gli uomini? Ci baciamo con passione, la porto in un albergo che frequentavo, pieno di prostitute, e ci chiudiamo in camera. Io ero già sposato con Anna. Ero alla Bussola con mia moglie, e arriva Ornella, che la vede, si intristisce, e balla per tutta la sera con Sergio Bernardini, piangendogli sulla spalla. Poi vado in albergo a Viareggio, e scopro che pure Ornella ha preso una camera lì. Presagisco il disastro e chiedo al portiere di svegliarmi alle 7, per tenere la situazione sotto controllo. Ma quel disgraziato non mi sveglia, e quando scendo in giardino per colazione le trovo tutte e due, Ornella e Anna, sedute su un dondolo che mi dicono: “Adesso devi scegliere. O una o l’altra”. Le ho mandate tutte e due al diavolo, e me ne sono andato.

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