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Elena Di Cioccio: “Sono sieropositiva da 21 anni, ho vissuto l’HIV come fosse una colpa”

Elena Di Cioccio, conduttrice ed ex inviata de Le Iene, racconta per la prima volta pubblicamente la sua sieropositività. “Per 21 anni ho nascosto la malattia e vissuto una doppia vita. Oggi non mi vergogno più”, ammette finalmente libera di parlarne.
A cura di Stefania Rocco
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Arriva inaspettato il monologo di Elena Di Cioccio, conduttrice ed ex inviata de Le Iene che proprio nella trasmissione di Davide Parenti racconta, per la prima volta pubblicamente, di essere sieropositiva. Lo ha fatto con un’intervista seguita da un monologo che l’ha finalmente resa libera di parlare pubblicamente di quella diagnosi ricevuta oltre 20 anni, una diagnosi che grazie alla scienza non è più una sentenza di morte ma che resta avvolta dalla più oscura ignoranza. Tanto da ghettizzare chi la riceve. È anche per questo che Elena ha trovato il coraggio di parlarne pubblicamente e lo ha fatto utilizzando un mezzo potente come la televisione.

Il monologo di Elena Di Cioccio a Le Iene

Ciao sono Elena Di Cioccio,  ho 48 anni e da 21 sono sieropositiva”, comincia così il monologo di Elena Di Cioccio a Le Iene: “Ho l’Hiv, sono una di quelli con l’alone viola. Ero molto giovane quando questa diagnosi stravolse completamente la mia vita. All’inizio ho avuto paura di morire, poi di poter fare del male al prossimo. ‘E se contagi qualcuno?’, mi dicevo, ‘Non me lo perdonerei mai’.  Non è mai successo, non ho mai contagiato nessuno e non sono morta".

Elena Di Cioccio sieropositiva: “Mi ha ucciso la vergogna di me stessa”

Elena Di Cioccio durante il suo monologo a Le Iene
Elena Di Cioccio durante il suo monologo a Le Iene

Elena, come moltissimi altri sieropositivi, ha sperimentato la vergogna pur essendo incolpevole: “Invece in questi  21 anni, mentre le terapie mi consentivano via via di vivere una vita sempre più normale, ad uccidermi è stata una smisurata vergogna di me stessa. Ho vissuto la malattia come se fosse una colpa. Pensavo che tra me e l’altro, la persona peggiore fossi sempre io. Mi sentivo sporca, difettosa. Avevo timore di essere derisa, insultata, squalificata dal pregiudizio che ancora esiste nei confronti di noi sieropositivi. Così per difendermi, ho nascosto la malattia iniziando a vivere una doppia vita. Una sotto le luci della ribalta e un'altra distruttiva e depressa”. Poi, lentamente, la consapevolezza si è fatta lentamente strada, schiacciando la vergogna:

Ma una vita a metà non è vita, e ho capito che ne sarei morta se non avessi fatto pace con quella parte di me. Io sono tante cose e sono anche la mia malattia. Oggi sono fiera di me, non mi vergogno più, e l’Hiv che è molto diversa da come ve la immaginate. Io non sono pericolosa, sono negativizzata e finché mi curo io non posso infettare nessuno. Potete toccarmi, abbracciarmi, baciarmi e tutto il resto. Se volete continuare ad avere paura, io lo accetto, però girate lo sguardo verso il vostro vero nemico. L’ignoranza.

L'intervista di Elena Di Cioccio a Le Iene

Elena ha approfondito l'argomento nell'intervista rilasciata a Le Iene, trasmessa subito dopo il suo monologo. "Non sono più pericolosa", racconta Di Cioccio senza riuscire a trattenere le lacrime, "Sono molto libera. È strano parlarne, sento questa esplosione di emozioni e faccio un po' fatica. Dentro al mio corpo c'è un virus pronto a esplodere, il virus dell'HIV che nel peggiore dei casi può trasformarsi in AIDS, che era quello che succedeva all'inizio. Dagli anni 2000, un sieropositivo sotto terapia farmacologica poteva avere una vita". Elena passa quindi a raccontare la sua vicenda personale:

Sarò in trattamento per sempre. La malattia è cronicizzata. Non posso permettermi di non prendere i farmaci. Quelli di oggi sono molto migliori, quelli del 2002 erano molto diversi. Dal punto di vista personale, è stato come perdere un colore. Non ero più quella di prima. I primi mesi avevo queste foto di me al mare con un costume rosso. Guardavo quelle foto e pensavo di non essere più quella persona. I primi anni ho negato la malattia con me stessa. Il giorno in cui l'ho saputo, mi sono disintegrata in mille pezzi. Ero un po' integralista sul preservativo. Sono una rompica***. Questa roba non mi è arrivata perché me la sono andata a cercare, è arrivata per caso. Mi ricordo che era come se avessi letto la data di scadenza. Uscivamo dagli anni '90. Era morto Freddie Mercury, era morto Mureyev. Uscivano queste immagini di questi scheletri a letto che morivano tra le braccia dei propri cari. Questa sindrome era legata alla tossicodipendenza, all'omosessualità e alla promiscuità. Se lo hai preso, hai fatto qualcosa di male. Negli anni in cui lavoravo a Le Iene mi sono sdoppiata in due. Inizialmente, la malattia mi ha fatto pensare che avrei voluto fare tutto quello che sognavo di fare, tra cui fare Le Iene. Ma il fantoccio che mandavo fuori era talmente diverso dalla persona vera che il danno è diventato maggiore. Quando torni a casa c'è la persona vera che sta male. È diventata una stratificazione del disastro. Adesso ho fatto pace con quel pezzo di me. Per me era imprescindibile dirlo ai compagni che ho avuto. Non è sempre andata benissimo. Sei sempre dalla parte del perdente, perché l'altro può giudicarti. Non c'è scritto da nessuna parte che dovevo farlo, c'è il profilattico. Ma a me non è stata data la possibilità di scegliere. Non me l'ha detto quello che me l'ha trasmessa, credo che neanche lo sapesse. Ma se ho la necessità di dirti che puoi scegliere perché mi assumo il peso di essere scartata, tu non mi puoi giudicare. Solo da movimento del sopracciglio delle persone capisco il giudizio. Due anni fa ho capito che dovevo mettere insieme i pezzi. Adesso è certo: una persona sieropositivo in trattamento con antiretrovirali negativizzata da oltre sei mesi non è infettiva, neanche se ti tiro il sangue negli occhi. È il mio caso. Questo significa libertà, perché è certificata, non è un'opinione. C'è stato un momento in cui mi sentivo investita dallo stoca***smo, perché ho sofferto. Se mi chiedi se sono una sopravvissuta, sono passata attraverso psicologi, psicoterapeuti, guri, sciamani. Oggi prendo una pillola sola. Una al giorno. E non sono più infettiva.

Elena Di Cioccio era stata testimonial della Lega italiana contro la lotta all’Aids

Nel 2012, quando ancora non aveva raccontato pubblicamente la sua storia, Elena Di Cioccio era stata testimonial di Progetto Donna, una campagna lanciata in occasione del 25esimo anniversario della Lila, la lega italiana contro la lotta all’Aids. Quel progetto aveva come obiettivo quello di sensibilizzare le donne sui modi per prevenire o curare l’infezione da HIV. “Sono andata all'ospedale Spallanzani di Roma e lì ho scoperto di un mondo non raccontato, migliaia di persone sieropositive, che sanno di esserlo e conducono una vita normale, si proteggono e proteggono gli altri e cercano di sfondare la barriera del pregiudizio che tende a ghettizzare i sieropositivi”, aveva dichiarato Elena all’epoca in qualità di testimonial, “C’era gente di ogni età, razza e estrazione sociale. Ragazzi molto giovani e signore di sessant'anni il cui marito ha fatto un ‘viaggiò di troppo: perché il fatto è anche questo: molti casi si verificano all'interno di coppie stabili, basta che per una volta il compagno sia andato con un'altra donna, e il danno è fatto”. Dichiarazione cui era seguito un appello rivolto alle donne:

Il profilattico esiste, è un modo per difendersi, è facile da trovare, perché non usarlo? Noi donne dobbiamo chiederlo sempre. Perché siamo molto più esposte al rischio di quanto non lo siano gli uomini

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