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Il Patriarca, Antonia Liskova si racconta: “Mio padre si tolse la vita, non sapevamo fosse depresso. Farsi aiutare è importante”

Antonia Liskova è Serena Bandera nella seconda stagione de Il Patriarca, la serie diretta e interpretata da Claudio Amendola su Canale 5. L’attrice racconta come il dolore cambierà il suo personaggio e in questa intervista sviscera paure e dubbi su come, oggi, siamo abituati a vivere i sentimenti sempre più sfiduciati nei confronti di chi circonda.
A cura di Ilaria Costabile
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Quando ci sentiamo al telefono, Antonia Liskova è in pausa dal set della nuova fiction I casi dell'avvocato Guerrieri, con Alessandro Gassman. Da anni, ormai, è uno dei volti più noti del piccolo schermo, sebbene non manchino apparizioni anche al cinema, dove ha preso parte nel corso della sua carriera, ormai ventennale, a titoli più che noti, oltre che a film di carattere più intimistico e impegnato. Dal 15 novembre è tornata su Canale 5, nei panni di Serena Bandera, nella nuova stagione de Il Patriarca con Claudio Amendola. Un personaggio la cui sofferenza si è tramutata in determinazione e in certi casi scaltrezza. Anche Antonia nella sua vita è stata determinata, è andata via dal suo Paese d'origine e ha cercato in tutti i modi di costruirsi una vita di cui potesse dirsi soddisfatta. "Sono molto testarda, è difficile togliermi una cosa dalla testa" ci racconta, parlando del suo passato, della sua vita da mamma e anche di quei dolori che l'hanno segnata per sempre.

Partiamo dalla fine della prima stagione. Serena deve affrontare la malattia di Nemo e anche la morte di suo figlio Carlo. Come la cambieranno questi eventi?

La cambieranno molto. La perdita del figlio, uno dei dolori più grandi che possano capitare nella vita, è una ferita che non si chiuderà mai. Serena è diventata molto più fragile in relazione ai suoi affetti, si rende conto di cosa significhi perderli. Fuori dal contesto familiare, invece, diventa più combattiva, agguerrita.

La sofferenza, in questo caso, diventa motore anche di una vendetta?

Credo sia il primo pensiero che affiora quando fanno del male a qualcuno che ami, Serena è distrutta e vorrebbe punire allo stesso modo chi ha ucciso suo figlio. È un sentimento molto forte e il marito, infatti, le ha promesso che pagheranno per quello che è accaduto.

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Dopo la fine della prima stagione, il pubblico ha lamentato il fatto che un secondo capitolo tardasse ad arrivare. Cos'è piaciuto, secondo te, della serie?

La realtà con cui è raccontata questa storia. È molto cruda, vera, lo si percepisce anche sul set. Nel nostro lavoro è la cosa più difficile rendere credibile quello che facciamo, se non riusciamo a far immedesimare le persone che ci guardano nei nostri personaggi, allora abbiamo perso, per quanto si possa essere brillanti e bravi.

D'altra parte si racconta uno spaccato delicato, come quello di chi soffre di Alzheimer. 

È una malattia molto particolare, tantissime persone ne soffrono o stanno accanto a qualcuno che ne soffre. Emerge la fragilità di una persona che prima era forte, d'un tratto diventa indifesa, bisognosa e chiedere aiuto è diventato difficile.

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Cos'è che rende difficile il chiedere aiuto?

Ho la sensazione che abbiamo paura di farlo, di appoggiarci all'altro, non crediamo più nella capacità di abbandonarci. È una cosa che mi spezza il cuore, senza fiducia nell'altro non riesco a parlare nemmeno con il mio macellaio, la capacità di fidarsi si sta perdendo. Quando ero ragazza si faceva quel gioco in cui si cadeva all'indietro, certi del fatto che qualcuno ci avrebbe preso al volo; ho provato a farlo con gli amici di mia figlia, non ci riescono, non si lasciano andare. Hanno troppa paura, è diventata troppo grande, perché forse si sono persi valori importanti.

È la paura a bloccarci, quindi?

Confrontarsi con chi ci sta intorno è difficile, però se continuiamo a diffidare dell'altro abbiamo proprio perso. La paura di essere feriti è più forte di tutto, anche della voglia di provare emozioni belle, forti, come l'amore incondizionato. Abbiamo paura dei nostri sentimenti perché è l'unica cosa che non riusciamo a controllare, ma temo che pian piano inizieremo a controllare anche quelli. A pensarci mi fa un male incredibile.

Da attrice hai imparato a relazionarti con le emozioni degli altri? 

Fare l'attrice mi ha aiutato, però credo che in generale manchi la capacità di soffermarsi, di ascoltare l'altro. Non ci accorgiamo di quello che succede attorno a noi. Mio papà si è tolto la vita, ma nessuno di noi si è reso conto del fatto che fosse depresso. Accanto a noi c'era un uomo che faceva battute, sorrideva, ma era profondamente malato, non voleva pesare sugli altri, ammettere di avere un problema. È una cosa che mi ha segnato per sempre, quindi ora sono diventata iper attenta.

Immagino che poi, inconsciamente, siano emersi anche sensi di colpa.

Non te ne fai una ragione, ma bisogna lavorarci su, altrimenti diventerebbe una condanna a morte. Dopo aver metabolizzato i sensi di colpa, capendo che non avrei potuto costruirci nulla e sarei rimasta incastrata, ho cercato di imparare, di aspettare la risposta al "come stai" e fare più attenzione alle cose importanti.

Sei mamma di Liliana, 19 anni. Che madre sei o pensi di essere?

Quando cresci e vedi il mondo con gli occhi dei grandi, capisci che i tuoi genitori hanno fatto le cose in un certo modo e tu le avresti fatte diversamente. Cerco di farle capire che tutto quello che ha vissuto finora è stata una prova generale per quando lei diventerà mamma. Allo stesso tempo non si può stare a giudicare certi meccanismi, da madre, ma da essere umano ho sbagliato, però probabilmente se potessi tornare indietro rifarei tutto esattamente come l'ho fatto. Ho cresciuto una persona perbene, educata, sensibile generosa, con tutti i miei sbagli. E lei lo riconosce.

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Com'è il vostro legame?

Ho un rapporto con mia figlia bellissimo. Non sono una madre tenera, ma sono una mamma materiale, stiamo sempre insieme. Andiamo al cinema, a cena, viviamo insieme, ma facciamo anche tante cose con piacere. Mi dice spesso che con me ci sta bene, ma io la spingo a fare le sue esperienze. Infatti, poi, capita che per settimane intere non ci becchiamo quasi mai.

Sono ormai vent'anni che lavori tra cinema e tv, credi sia vero che per le donne la possibilità di scegliere ruoli significativi, sia sempre minore rispetto agli uomini?

Non ci possiamo lamentare secondo me. Ci sono molte fiction con protagoniste donne, forse manca il lavoro, si assiste ad una crisi del settore, col Tax Credit, il Mibac, i fondi che mancano, i finanziamenti, la burocrazia e i tempi lunghissimi, si è giunti ad un arresto del lavoro. Ad ogni modo io credo che siamo riuscite a sfatare il mito che i ruoli maschili funzionino meglio.

Cosa ti ha fatto appassionare a questo lavoro?

Il mettermi nei panni degli altri, soprattutto capire come si fa. Mi sono sempre domandata da bambina "come mi vedi tu, mi vedi come io mi vedo nello specchio o in maniera diversa? Vedere le cose da prospettive sempre nuove è stata un po' la mia filosofia di vita.

La persona che ti ha dato la possibilità di mostrare il tuo talento.

Una svolta molto importante nella mia carriera è stato un film di Marco Simon Puccioni che si chiama Riparo. Lì sono riuscita a toccare proprio i punti più profondi della della mia persona, del mio passato, delle mie radici, della mia sessualità, dei rapporti con le altre persone. È stato un film che mi ha insegnato ad aprire e chiudere i cassetti delle mie emozioni e per il mio lavoro è stato fondamentale.

E cos'è più importante: fortuna o talento?

Se non ci fosse stato di base un talento, con la fortuna ci avrei fatto ben poco, ma sono convinta che nella vita essere nel posto giusto al momento giusto sia molto importante. Spesso è più importante di quello che realmente sai fare, perché si può sempre imparare. A volte bisogna buttarsi, lo dico anche a mia figlia, non pensare che ci sia una prossima volta, perché ci sono delle cose che accadono una volta e basta.

Hai raccontato spesso di aver avuto un'infanzia non semplice, in cui ti sei sobbarcata di tante responsabilità. Oggi riesci a goderti un po' di quella spensieratezza che pensi di aver perso?

Sono una persona con un grandissimo senso di responsabilità. Avevo sei anni quando è nata mia sorella e  ho fatto un po' da mamma dove una mamma, magari mancava, ed è una cosa che ti forma, plasma il tuo carattere. Oggi, anche se con grande fatica, sapendo che mia figlia è grande, potrei provare a capire cosa piace ad Antonia, cosa vorrebbe fare, magari senza pensarci troppo. Anche se, una volta diventata madre, la spensieratezza si perde, però è vero che adesso il tempo libero che dedicavo a mia figlia potrei spenderlo per capire cosa fare per me. È un percorso difficile, sono molto più brava ad immaginare cosa vogliono gli altri.

A quando, allora, questo tempo solo per te?

La verità è che avrei bisogno di una vacanza da me stessa (ride ndr.)

Se dovessi dirmi una caratteristica che pensi ti definisca?

Sono molto testarda e mi rendo conto che per il mondo che mi circonda è difficile da mandare giù. Se mi metto in testa una cosa posso diventare davvero fastidiosa. Poi sono anche permalosa, è una cosa che negli anni non sono riuscita a smussare, ci rimango male per molte cose. Per questo dico che dovrei prendermi una vacanza da me, non è mica una battuta (ride ndr.)

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