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Il padre di Anna Safroncik fuggito da Kiev: “I teatri hanno riaperto, la cultura ci salverà”

A casa di Anna Safronick ci sono il padre Ievgen Safronchyk, tenore, e la moglie Olha Marchenko, mezzo soprano, fuggiti da Kiev a inizio marzo. “Mi manca il mio lavoro, la mia vita, vorrei tornare al più presto”, racconta il tenore a Fanpage. “La gente a Kiev è tornata a teatro, ma la paura non è finita: al suono delle sirene ci si rifugia sotto terra”.
A cura di Giulia Turco
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(Olha Marchenko, Ievgen Safronchyk e Anna Safroncik. Foto di Piergiorgio Pirrone, grafica Fanpage.it).
(Olha Marchenko, Ievgen Safronchyk e Anna Safroncik. Foto di Piergiorgio Pirrone, grafica Fanpage.it).

Gli ultimi quattro mesi per Anna Safroncik hanno il sapore di un viaggio indietro nel tempo. Da quando suo padre ha lasciato Kiev per raggiungerla a Roma insieme alla moglie Olha, la sua vita frenetica ha lasciato spazio ad un ritmo diverso. Le ore a casa sono scandite dai telegiornali ucraini che passano alla tv, dalle videochiamate con gli amici che rassicurano da Kiev: "Stiamo bene". Si guarda il calendario, pianificando una data, sperando di tornare presto da dove il viaggio è iniziato.

Ma nel tragico susseguirsi di notizie, è anche il tempo degli affetti. La quotidianità ha di nuovo l'odore del tè che Anna sorseggiava da bambina, appena sveglia, mentre il padre, tenore ed insegnante di canto Ievgen Safronchyk, scaldava la voce al piano. "È esattamente quello che faremo non appena concludiamo questa intervista", mi racconta Anna al telefono. A casa si parla di nuovo ucraino, si ascolta musica ucraina, a tavola si riscoprono i sapori che sembrava di aver dimenticato. Improvvisamente l'appartamento romano è di nuovo la sua casa di Kiev.

Signor Ievgen, il prossimo 24 giugno lei e sua moglie Olha vi esibirete in un concerto di solidarietà per il popolo ucraino a Roma. Nel frattempo ha mantenuto i contatti con i suoi studenti di Kiev. Nonostante tutto, si può dire che è rimasto fortemente aggrappato alla cultura.

Il nostro pensiero è sempre stato questo: l'umanità sarà salvata dalla cultura, è l'unico mezzo che ci renderà immortali. È proprio in un momento come questo che c'è bisogno di investire sulla conoscenza e sullo sviluppo emotivo delle persone. Personalmente sento il bisogno di esserci, di dare il mio contributo in ogni modo possibile. C'è necessità di bellezza.

L'Università le ha permesso di insegnare canto a distanza. Qual è stata la risposta dei suoi studenti ucraini? 

I corsi non sono stati interrotti, abbiamo fatto lezione online e ora sono in corso gli esami. I ragazzi sono riusciti a preparare il concerto finale: mandano i video a noi insegnanti e noi li passiamo alla commissione universitaria. Ci sono già state diverse adesioni anche per il prossimo anno scolastico: non solo studenti ucraini, ma anche italiani e studiosi da tutto il mondo. Pensi che quando è scoppiata la guerra, buona parte degli studenti erano cinesi: c'è un grande interscambio culturale. (Per lezioni di canto online e iscrizioni all’Università: kievvoices@ukr.net).

Tutto questo dà un messaggio di speranza molto positivo. 

Lo è. La guerra è ancora in corso, ma la situazione sta migliorando, Kiev sta tornando lentamente e ripopolarsi. I mezzi funzionano, quindi la gente si sposta all'interno delle città. Nei negozi ci sono provviste. Certo, c'è una costante paura degli attacchi aerei, ma la vita sta pian piano riprendendo. I cittadini cercano in tutti i modi di tenersi vivi, anche mentalmente.

Il suo futuro lo immagina ancora a Kiev?

Assolutamente. Desidero tornare al più presto, nonostante mia figlia mi trattenga con tutte le sue forze perché si preoccupa. Ma c'è tanta voglia di tornare a casa. Mi manca la mia vita, la mia quotidianità, più di tutto il mio lavoro. Vediamo se sarà possibile a settembre, vorrei ricominciare l'anno scolastico in presenza.

(Ievgen Safronchyk e Anna Safroncik, foto di Piergiorgio Pirrone)
(Ievgen Safronchyk e Anna Safroncik, foto di Piergiorgio Pirrone)

Dunque si può dire che anche la vita culturale sia in fase di ripresa?

I teatri hanno riaperto e gli spettacoli di repertorio hanno ricominciato ad andare in scena. Ai cittadini è concesso tornare a vivere di cultura. Non in tutti i teatri chiaramente, soltanto in quelli collocati negli edifici che al di sotto hanno rifugi anti bombardamento. In caso partano le sirene, ci si torna a rifugiare sotto terra. Naturalmente le programmazioni sono limitate, per rispettare il coprifuoco della sera.

Olha, so che lei insegna a suonare la Bandura, strumento nazionale ucraino. Con la Kalush Orchestra all'Eurovision abbiamo avuto un assaggio della musica ucraina, che ha tratti molto folkloristici…

Il folklore è il pilastro della nostra cultura. Nella musica, soprattutto ultimamente, gli elementi tradizionali vengono spesso rimaneggiati con caratteri di modernità, come abbiamo visto all'Eurovision, ma restano componenti centrali i costumi, la danza. La nostra musica è molto densa di significato, rispecchia un forte senso di appartenenza, uno spirito patriottico. È piena di grandi armonie, di colori e toni nostalgici. È il risultato delle influenze che i grandi compositori hanno raccolto studiando in giro per l'Europa.

Anna, tu che ricordi hai della tua infanzia a Kiev? 

Sono cresciuta in mezzo all'arte, mio nonno Hryhoriy Chapkis era un ballerino di fama mondiale, mia mamma Lilia è stata ballerina del Teatro Nazionale di Kiev. Io stessa porto con me una fortissima influenza del mio paese, dal portamento al mio modo di recitare. In questi mesi poi, qui a casa a Roma è come essere tornata alla vita di quando ero bambina. Ogni volta che rientro da lavoro, è come essere catapultata nel passato. Invitiamo amici ucraini qui in Italia, ogni sera finisce in tavola un piatto diverso. È una situazione molto forte, ma è bellissimo. La guerra non è finita, ma celebriamo la gioia di poterci abbracciare ancora.

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