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Gerri, Giulio Beranek: “Vivevo in un luna park, non so cosa sia la diversità. Anch’io ho dovuto fare ordine nella mia vita”

Giulio Beranek è il protagonista di Gerri, la fiction in onda su Rai1 in cui interpreta l’ispettore Gregorio Esposito. L’attore in questa intervista a Fanpage racconta la sua infanzia: “Vivevo in un luna park” con cui ha fatto i conti da adulto e ringrazia chi l’ha spronato sostenendo il suo talento: “Non volevo fare questo lavoro, ma hanno creduto in me “.
A cura di Ilaria Costabile
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Dall'altra parte del telefono la voce di Giulio Beranek è tranquilla, pacata, scivola nel corso di questa chiacchierata nella quale l'attore si intreccia con il personaggio e la vita sul set si mescola un po' con quella lontano dalla macchina da presa. Gerri, o per meglio dire, l'ispettore Gregorio Esposito, è il primo ruolo da protagonista per l'attore 38enne, pugliese, che in passato ha raccontato la sua vita nel libro Il figlio delle rane e nel documentario su Sky I Re del Luna Park. Figlio di giostrai, ha vissuto la sua infanzia spostandosi da un paese all'altro: "Non avevo nulla di fisso attorno a me, quando mi sono fermato, ho avuto il tempo riordinare la mia vita". Un po' come il personaggio che interpreta nella fiction di Rai1 accanto a Valentina Romani, un ispettore di origine rom alla ricerca di sé stesso e delle sue origini: "È un uomo irrisolto, come lo sono stato io" racconta l'attore in questa intervista.

Giulio, interpreti Gregorio Esposito, un altro ispettore tra i tanti presenti in tv. Conoscendo il prodotto sei curioso di conoscere il riscontro del pubblico? 

Non soffro lo stress dalla messa in onda, sono uno di quelli che fa una cosa, ne è contento e la lascia andare, ora spero solo vada bene. Poi l'attesa è l'attesa, ma l'ansia si è smorzata un po' perché Gerri esce due anni dopo la fine delle riprese. Quasi non ci credevamo più.

A cosa è dovuto questo ritardo?

Una questione legata ai palinsesti, hanno riposizionato un po' di contenuti e Gerri è slittato.

Perché il pubblico dovrebbe essere incuriosito da un personaggio come Gerri?

Innanzitutto per la provenienza rom che lo rende un unicum, poi per la sua spigolosità. Già nei romanzi di Giorgia Lepore si tracciava il profilo di un personaggio che non aveva alcun interesse nel far sì che si empatizzasse con lui. Gerri non è un un ispettore che ammicca, non è un adulatore, è uno che piace o non piace. Il proporsi nel panorama della fiction Rai, in prima serata, in questo modo è quasi una forma di cazzimma. E mi piace (ride ndr.)

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E anche tu hai quell'impostazione, un po' insolente, del "sono fatto così o piaccio o non piaccio"?

Sì, l'ho sempre avuta, però io mi reputo molto più umile e insicuro di Gerri, meno spavaldo. Ho sempre cercato il consenso delle persone, non per adeguarmi, ma per sentirmi a mio agio nel mondo, cosa che non sono mai riuscito a fare.

Gerri è di origine rom, ma è una realtà che non ha mai vissuto pienamente. Più che una consapevolezza sembra più una ricerca di chi sia davvero.

Sì, perché di fatto Gerri, il cui vero nome è Goran, è un bambino che viene abbandonato a 3 anni dalla madre rom, ma lui vive in una casa famiglia a Napoli. Poi studia, diventa poliziotto e grazie all'aiuto di Marinetti, il suo capo che nella serie è interpretato da Fabrizio Ferracane diventa ispettore. Le sue origini sono in realtà la ricerca della propria identità, che è il caso verticale di tutta la serie.

La questione identitaria è un aspetto cardine della serie. Quanto pensi sia importante conoscere il proprio passato per assestarsi nel presente?

Per me è importantissimo, ho dovuto fare un lavoro di sbobinatura  della mia vita. È così che ho scritto Il figlio della rane, in 15 giorni, vomitando tutto quello che avevo in testa, ricordi confusi, sbiaditi, avevo bisogno di mettere in ordine perché non riuscivo ad andare avanti. Era diventata un'esigenza fisica, avevo un tremendo bisogno di raccontarmi, raccontare la mia storia. La mia vicenda umana era particolare, vivevo in un luna park, mi spostavo di continuo, non avevo nulla intorno di fisso, stabile. Trasferitomi a Roma, ho iniziato a fare l'attore e una volta entrato in confidenza con lo stile di vita sedentario, mi son detto "Beh, vediamo un po' chi siamo, quanti siamo".

C'è stato un momento nella tua vita, magari durante la tua infanzia, in cui avresti voluto essere più simile ai tuoi coetanei?

Mentre vivevo la mia vita no, per me era fantastica, fatta di un mondo di ferro e lampadine che si smontava e rimontava ogni giorno in un paese diverso. Era tutto così veloce, non avevo tempo di capire le mancanze. Quando sono cresciuto, poi, vedevo i miei amici di 14-15 anni che magari avevano già avuto delle ragazze, uscivano in comitiva, avevano un amico storico, lì ho pensato che avrei voluto avere quello che avevano loro. La camera con le proprie cose, i compleanni con gli amici di scuola, tutte cose che non ho mai avuto, però mi dicevo "vabbè vado a fare i giri gratis, che me ne frega".

Ma? Avverto un ma.

Sì, arrivato a 21 anni, mi sono reso conto che avevo imparato la vita pratica, vivere in mezzo alla strada, rapportarsi in una certa maniera con persone più grandi, però mi era mancata quell'educazione sentimentale, educazione all'amicizia che tutti i miei compagni avevano e io l'ho acquisita dopo, dai 20 anni in poi. Come uomo mi sono formato tardi.

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C'è qualcosa di quegli anni della tua infanzia e adolescenza che è diventato un insegnamento per te?

Pochi ma buoni, questo è uno degli insegnamenti più grandi. Ho pochissimi amici, ma non perché io sia particolarmente selettivo, perché c'è una selezione naturale, si eliminano da soli. Quando arrivavo a Bitetto, che è un paese in provincia di Bari, ogni anno a gennaio, c'era Gianni Belviso, un ragazzo che per tre giorni mi aspettava sempre lì col pallone, era il mio migliore amico, ci vedevamo solo quei tre giorni l'anno. Ma quando ho avuto bisogno di lui, una volta cresciuto, lui c'era. Gli amici veri puoi non sentirli per mesi, ma se ti serve qualcosa ci sono. E poi, ho imparato a non riconoscere il diverso da nessuna parte.

In che contesto?

Noi eravamo un microcosmo che si spostava in giro per la Puglia, all'interno del quale convivevano in tutta serenità tunisini, marocchini, indiani, albanesi, croati, polacchi, persone omosessuali, c'era di tutto. Finito di montare il parco, stavamo tutti in mezzo alle giostre a mangiare insieme. Non ho mai visto nulla che possa essere diverso da me.

A questo proposito, c'è una frase che la moglie del suo capo dice a Gerri, dicendogli: "La normalità non è uguale per tutti, tu devi trovare la tua". Cos'è per Giulio la normalità?

È legata all'idea di tranquillità, di felicità. Per me la felicità è davvero un concetto molto semplice, la mia compagna, i miei bambini, il mare, viaggiare.

Provieni da una famiglia in cui la creatività è pane quotidiano, ma cos'è che ti ha spinto ad abbracciare il mondo della recitazione?

Non l'ho scelto è capitato. Andavo a scuola, non avevo alcun interesse nel fare questo mestiere, mi assillarono per fare il provino di Mar Piccolo e quando mi sono trovato a farlo, mi piaceva. Dicevano che ero bravo, poi il lavoro portava soldi, quindi ho accettato.

E dopo qualche anno, deduco ti piaccia ancora.

(Ride ndr.) Mi sono trovato subito a mio agio, vedevo lo stupore negli occhi di chi mi vedeva recitare. Ricordo esattamente il giorno in cui ho incontrato quello che è diventato il mio agente, Stefano Chiappi, sul set di Mar Piccolo, mi disse "A te serve un agente". Anche il regista Alessandro Di Robilant mi disse "Vivrai di questo" e io che avevo appena conosciuto Michele Riondino sul set del film gli dissi in tarantino stretto "Mi vogliono far entrare in un'agenzia, mi dicono che devo venire a Roma, secondo te lo posso fa, sono bravo?". Lui mi guardò e mi disse "Ma tu veramente sei bravo, fallo".

Un esempio di quando qualcuno riconosce il talento e lo esalta. 

Mi sono sempre sentito una persona molto fortunata da quel punto di vista. Ho avuto persone che realmente credo mi abbiano salvato e la riconoscenza per me è un sentimento che ha tanto valore. Le porto sempre con me queste persone, sempre.

Un altro tema affrontato nella serie riguarda le relazioni. Gerri è descritto come un seduttore, una persona che non riesce ad impegnarsi, aspetto quest'ultimo che non è affatto lontano da quello di cui sentiamo parlare oggigiorno. Perché tutta questa difficoltà secondo te?

Gerri è mangiato dalle donne, ha un'incapacità nel restare nelle relazioni, proprio non ci riesce. Per quanto cerca di fermarsi in una storia non ha gli strumenti, non ce la fa. Non è un donnaiolo che se la va a cercare. Per quanto mi riguarda, ho 38 anni e ho avuto tre grandi storie nella mia vita, tutte lunghe ed è stato molto difficile capire cosa mi facesse stare realmente bene e cosa fosse giusto per me.

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E come l'hai capito?

L'ho capito buttandomi di testa in diverse relazioni, poche, spesso anche trascinandole più del dovuto. Credo di essere arrivato oggi ad avere una compagna, Claudia, che riconosco come la persona che voglio al mio fianco, con la quale voglio invecchiare e spero che la cosa sia reciproca, ci vado con i piedi di piombo, ma penso di aver trovato la mia pace. Siamo felici, innamorati, siamo arrivati in un punto della nostra vita in cui crediamo di avere gli strumenti per riconoscerci.

Si parlava dell'indagine di Gerri nel suo passato, ma il lavoro dell'attore ti mette nella condizione di scoprire qualcosa di ignoto di sé, cosa hai scoperto?

Pensavo di essere molto meno paziente. Ho girato 112 giorni, quasi ogni giorno, sono in ogni frame della serie, c'erano tantissimi tempi morti, tanti cambi, cose che farebbero impazzire, ma è un lavoro privilegiato e Gerri è stato un momento di grande crescita per me. Il suo entrate e toccare la parte più bassa di sé stesso, la malinconia, la tristezza, cose che sentivo e con cui avevo fatto i conti, ma alle quali sono tornato per poterle rivivere di pancia e portarle in scena.

È prematuro per dirlo, ma ti piacerebbe continuare a vestire i panni di Gerri?

Certamente. Giorgia Lepore sta scrivendo ancora, quindi ce ne sarebbero di cose da raccontare, è per questo che speriamo vada bene.

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