Don Alberto Ravagnani: “Come prete guadagno meno di mille euro al mese. Alcuni spendono l’8 per mille, io lavoro sui social”

Intervista a Don Alberto Ravagnani. Sacerdote dal 2018, oggi ha 32 anni e vive a Milano. È ormai stato ribattezzato come il "prete social" per il grande seguito di cui gode: 273mila follower sul suo profilo Instagram e 132mila sul suo profilo TikTok. Don Alberto manda in frantumi tutti i cliché sui sacerdoti, che da tradizione dovrebbero avere una vita ritirata e occuparsi solo della salvezza delle anime. Ravagnani va in palestra, si diverte, sostiene che la preghiera non sia la soluzione a tutto e sponsorizza integratori. I commenti si spaccano. C'è chi lo considera un rivoluzionario e chi lo accusa di narcisismo, chi lo ringrazia per avvicinare i giovani alla Chiesa e chi insinua che sia diventato prete solo per appropriarsi di un "ricco stipendio". Don Alberto Ravagnani, su Fanpage.it, risponde punto per punto alle critiche e rivendica il suo diritto di lavorare e guadagnare dei soldi dato che il contributo che ricevono i preti sarebbe "inferiore a mille euro al mese":
Anche Gesù lavorava. È come se un prete non potesse fare delle cose per sé. Poi è pieno di preti che hanno la bella macchina e il bel telefono. E con quali soldi li prendono? Con quelli dell'8 per mille. È lecito, non è un problema, ma io le attività di evangelizzazione extraparrocchiali sto provando a svolgerle senza pesare sul contributo che l'8 per mille mi dà. A me pareva di aver fatto qualcosa di buono provando a recuperare dei fondi – in modo non illecito, illegale, blasfemo o contrario alla morale cattolica – per portare avanti un'attività che in questi 5 anni sui social ha fatto tanto bene.
Sui social mostri un volto diverso della Chiesa. Non sei il prete polveroso che dal pulpito parla ai fedeli.
Sono diventato prete per seguire Gesù non per assumere un ruolo sociale ed ecclesiale. Gesù andava contro i ruoli precostituiti dalla religione, non per distruggerla ma per rinnovarla, riformarla, portarla fuori dal sacro. Andava in mezzo alla gente, a tavola con i peccatori, frequentava i ricchi e i poveri. E io sto provando sempre più a fare questo.
Nei giorni scorsi hai pubblicato un video in cui sponsorizzavi degli integratori e hai ricevuto numerose critiche. Come ti spieghi i commenti scandalizzati?
Un prete è visto come l'addetto al sacro. Nel momento in cui la sua vita e la sua figura sono associate a qualcosa che non riguarda direttamente la religione, allora fa scandalo. Oppure si crede che il sacerdote sia il rappresentante di Dio in terra, che abbia a che fare solo con lo spirito, che abbia in cura solo le anime della gente. Quindi se la sua figura si associa a qualcosa che riguarda il corpo, ad esempio gli integratori o la palestra, fa scandalo. Quindi credo che quei commenti siano dovuti al mio rompere un certo immaginario legato al sacerdozio.
Ho notato, in effetti, che a molti sembra non andare giù che tu ti prenda cura del tuo corpo, andando a correre e tenendoti in forma. La vedono come una forma di narcisismo.
Esattamente. Un prete fisicamente trascurato non dà problemi. Tranquillizza le persone perché diventa un cliché. Invece il prete che fisicamente è in forma, che ha un fisico prestante mette in allarme. Secondo me ci può essere narcisismo anche nei preti che ci tengono a celebrare le liturgie in maniera rigida e solenne, vestiti con paramenti super costosi. Oppure in un certo modo di predicare, di stare davanti alla comunità. Il problema dei social è che l'immagine passa per degli schermi. È facile fraintendere.
Hai rivendicato il tuo diritto di lavorare.
Gesù per 30 anni ha lavorato, ha fatto il carpentiere. Gesù non era un sacerdote. Quindi, se si prende sul serio il Vangelo, vediamo che la fede non può essere una proposta alternativa alla vita, come se fare esperienza della religione censurasse parti dell'esistenza. Siamo in un'epoca in cui la religione non è più il linguaggio comune attorno a cui le persone si riconoscono e interpretano la vita. Ecco allora che parole della fede cristiana come Gesù, Dio, Chiesa, diventano parole vuote di significato per tanti.
E questo cosa implica?
Occorre trovare un modo diverso di essere Chiesa, di essere ministri di Dio, di essere cristiani. Bisogna uscire per forza dai luoghi, dagli spazi che abbiamo costruito un tempo e che ci davano sicurezza. Io sono molto presente sui social, sono entrato nella rete di rapporti con persone del mondo secolarizzato – influencer, imprenditori, agenzie – e mi chiedo come essere come Gesù in questo contesto. Per me è una domanda aperta.
Hai spiegato che i guadagni ottenuti lavorando sui social, hai intenzione di usarli per finanziare la tua opera di evangelizzazione.
Certo. Però posso dire una cosa?
Prego.
È come se un prete non potesse fare delle cose per sé. Poi è pieno di preti che hanno la bella macchina e il bel telefono. E con quali soldi li prendono? Con quelli dell'8 per mille. È lecito, non è un problema, ma io le attività di evangelizzazione extraparrocchiali sto provando a svolgerle senza pesare sul contributo che l'8 per mille mi dà. Senza pesare sul contributo della mia parrocchia. A me pareva di aver fatto qualcosa di buono provando a trovare dei modi per recuperare dei fondi – modi non illeciti, illegali, blasfemi o contrari alla morale cattolica – per portare avanti un'attività che in questi 5 anni sui social ha fatto tanto bene.
I sacerdoti non sono tenuti alla povertà?
No, non abbiamo voti, noi abbiamo promesse. La povertà ci viene richiesta come consiglio evangelico, come stile di vita. A differenza dei monaci, che mettono i soldi in comune nella comunità religiosa a cui appartengono, per noi non funziona così.
Tra gli hater c'è chi sostiene che tu abbia deciso di fare il prete solo per il ricco "stipendio".
Non è uno stipendio, ma un contributo, perché non dipende dal numero di ore di lavoro che facciamo. È un fisso per tutti i preti che, ti assicuro, non arriva a 1000 euro mensili.

Nel video in cui sponsorizzi gli integratori dici "Pregare non basta". Con quella frase hai praticamente sfidato il sistema, visto il ruolo cruciale della preghiera nella religione cristiana.
Come vediamo nel Vangelo, però, Gesù non ha pregato e basta. Ha toccato gli ammalati per guarirli, ha moltiplicato pani e pesci. Prova a dire a una persona malata che basta la preghiera e non servono i dottori. Oppure vai a dire a un ragazzo che si deve laureare che basta pregare e non bisogna studiare. Io credo che sia una questione di onestà intellettuale. La frase che ho detto è oggettivamente vera, però alcuni cristiani che si sentono assediati rispetto a un mondo che disconosce il senso della preghiera, ha pensato che questa mia affermazione volesse minare alla base il rapporto con Dio. Ma tra dire che la preghiera non serve a niente e dire che la preghiera risolve ogni problema ci sono tante sfumature. Ribadisco, la preghiera non basta.
Da parte della Chiesa ci sono state critiche al tuo operato?
Quello che faccio è una pastorale nuova. Questa novità andava compresa, spiegata, metabolizzata, corretta. Quindi c'è stato un dialogo costante con l'istituzione. La Chiesa, da buona madre, mi aiuta, mi corregge, mi consiglia oppure mi dice: "Bravo hai fatto bene". Chiaramente abbiamo valutato insieme le critiche che sono arrivate, il bene che ne è derivato, il tema di fondo, quindi le questioni economiche rispetto a una pastorale come la mia. Il dialogo con la Chiesa c'è e sono contento che sia così.
È stato criticato anche un video in cui, partendo dalla convinzione generale che la vita di un prete sia piena di sacrifici, mostravi la tua vita "mondana".
Io conosco un sacco di sacerdoti che sono felici, che si divertono, che vivono il loro ministero con libertà, che non sono per niente persone sacrificate. Bisogna essere coinvolti negli oratori per vederlo. Bisogna essere adolescenti che vanno insieme ai preti a fare la vacanza estiva in montagna e vedono quanto è bella la vita di un prete. Bisogna fare i pellegrinaggi per vedere quanto un sacerdote, senza gli abiti liturgici, sia una persona normale. Io sto provando a dare un'immagine della vita della chiesa più autentica, meno sacrale e istituzionale.

Una domanda che ti fanno spesso è: "Perché non ti vesti da prete?".
In alcuni momenti lo faccio. Però ho capito che il vestito da prete viene percepito all'esterno come una divisa. Rimanda a un ruolo, al rapporto con un'istituzione. Ma non è quello che oggi voglio ricercare. Vorrei che le persone avessero innanzitutto un rapporto con la mia umanità che possa poi aiutarle a cercare un'esperienza di chiesa e di comunità. Un tempo anche gli atei, i non credenti, gli anticlericali avevano a che fare con i preti perché la Chiesa era dappertutto, adesso non è più così. L'abito viene percepito anche in base ai pregiudizi delle persone, a una certa propaganda anticristiana che viene fatta sui social, viene associato agli scandali che la Chiesa ha compiuto. Purtroppo non è un simbolo neutro. A volte non è neanche un simbolo positivo, è un simbolo che allontana. Io chiaramente credo sia un simbolo buono, ma se rischia di allontanarmi dalle persone, allora sono disposto a sacrificare questa divisa anziché sacrificare l'incontro con le persone.
Arriveresti a sacrificare il sacerdozio stesso se dovesse rivelarsi un ostacolo alla tua opera di evangelizzazione?
Fa parte di me. Io sarò prete per sempre. Però mi sto interrogando in maniera profonda sulle forme del mio ministero. Basta vedere l'evoluzione del mio personaggio negli ultimi 5 anni. Mi rendo conto di essere tanto cambiato. I cambiamenti esteriori riflettono quelli interiori e sono convinto che potrebbero essercene altri. Ma sono contento perché questo mi fa sentire vivo, non mi sento appiattito, schiacciato, mortificato. Quindi mi sto interrogando sul ruolo del prete oggi, che cosa significhi e come possa essere vissuto per fare davvero il bene delle persone. La mia vocazione non è cambiata.
Nei commenti ai tuoi post c'è anche chi scrive: "Lasciate che i preti possano sposarsi, che possano avere una famiglia". Cosa pensi del celibato ecclesiastico?
La chiesa sta riflettendo su questo da sempre. In giro per il mondo altre confessioni cristiane permettono di sposarsi. Il catechismo stesso dice che il celibato non è intrinsecamente necessario per esercitare il sacerdozio. Credo che sia bene riflettere sempre sulla vita della chiesa a partire dalle provocazioni, dalle sollecitazioni della realtà. La chiesa sceglie i preti tra i celibi. Se la condizione necessaria per essere prete è il celibato, mi chiedo se chi ha la vocazione poi scelga di essere celibe con libertà consapevole o lo faccia come sacrificio. In questo momento le due vocazioni – di prete e di padre – sono incompatibili, oppure un sacerdote può diventare padre della comunità, quindi in senso spirituale.