Daniele Resconi: “Dopo The Traitors il cast mi ha chiesto scusa. Le lacrime non erano finte, c’era molto stress”

Chef, food content creator e primo Leale eliminato al Conclave di The Traitors: nel reality targato Amazon Prime Video, Daniele Resconi ha avuto un percorso breve, ma sicuramente intenso. Venticinque anni, milanese, è riuscito a conquistare il pubblico regalando uno dei momenti più toccanti, quando ha raccontato le difficoltà avute in passato nel relazionarsi con gli altri, frutto di insicurezze che si porta dietro fin da bambino. Nemmeno questo, però, è riuscito a salvarlo dall'eliminazione. In quest'intervista a Fanpage.it ripercorre la sua esperienza nel game-show, il legame con i compagni d'avventura e la carriera sui social.
Durante il Conclave, hai detto di aver avuto difficoltà a relazionarti con le altre persone, in passato. Vuoi parlarcene meglio?
Da piccolo ero un ragazzino molto silenzioso, più portato ad ascoltare che a parlare. Col tempo sono cambiato, viaggio spesso da solo ma amo anche fare nuove conoscenze. Non sono però abituato a dovermi giustificare quando so di avere ragione. Sapevo di non essere un Traditore e ho cercato di difendermi parlando con il cuore, tirando fuori emozioni e sentimenti. Ho pensato: "Se arriva, bene. Altrimenti fa nulla". E infatti alcune persone, come Aurora Ramazzotti e Yoko Yamada, hanno cambiato idea all’ultimo su di me. Altre erano già decise a votarmi e niente avrebbe potuto smuoverle.
Filippo Bisciglia ti ha difeso con forza, accusando Paola Barale di non essere riuscita a percepire la tua sincerità. Ti saresti aspettato più comprensione?
Sono stati in quattro a votarmi, ho pensato: "Almeno due di loro devono essere traditori, altrimenti non si spiega”. Mi è dispiaciuto che alcune persone non abbiano colto quello che stavo cercando di trasmettere, non abbiano saputo leggere i miei occhi, le mie parole. Con qualcuno di loro avevo legato particolarmente. Avrei preferito si facessero un’idea loro, senza farsi influenzare dagli altri.
Con chi hai legato di più?
Con Alessandro Ormei, ad esempio. È un ragazzo d'oro, con cui si può parlare di tutto. Era chiaramente inserito nelle dinamiche di gioco, ma mi ha mostrato anche tanti lati personali, non cercava le telecamere, era lì per conoscere, per capire. Di lui porto un bel ricordo.
Dopo la tua eliminazione in molti si sono commossi, come Yoko o Giancarlo Commare. Hai creduto a quelle lacrime?
Sì, assolutamente. Da casa forse non si percepisce, ma lì dentro c’è stato tanto stress, anche psicologico. Non credo che Giancarlo stesse recitando, credo che la maggior parte delle reazioni siano state sincere, soprattutto il dispiacere.
Sui social, invece, molti spettatori hanno riferito di aver avuto la sensazione che certe scene fossero “da copione”.
Durante le giornate di riprese avevamo anche dei momenti liberi, durante i quali abbiamo avuto occasione di conoscerci e instaurare dei legami. Da casa è facile pensare che le reazioni di gioia e dolore siano state amplificate, per esempio quando veniva "assassinato" qualcuno di insospettabile, ma quando ci sei dentro è diverso. È un gioco, sì, ma lo vivi in modo molto intenso. Ti immergi completamente nel ruolo, come un attore nel suo personaggio. Quello che si vede non è finzione: era un gruppo vero, molto unito. La scelta del cast è stata perfetta.
Molti avrebbero voluto che gli eliminati ricomparissero almeno una volta, sei d'accordo?
Sinceramente, no. Una volta finito il mio percorso è stato giusto lasciar continuare gli altri. Poi ci siamo risentiti tutti fuori, ci siamo cercati su Instagram, diverse persone del gruppo mi hanno scritto per chiedermi scusa. Ora abbiamo creato un gruppo su Whatsapp, ci invitiamo ai rispettivi progetti, a teatro, al cinema. Credo sia giusto così, non serviva rientrare nella puntata finale.

Avevi intuito chi fossero i traditori?
Avevo percepito qualcosa in Maria Sole Pollio, l’avevo intercettata osservando i suoi sguardi e il suo modo di fare. Giuseppe Giofrè, che poi ha vinto, lo sospettavo, ma sono stato un po' ingenuo: mi stava troppo simpatico e non volevo pensare fosse un traditore. Rocco Tanica, invece, non l’avevo proprio capito.
Nel programma hai raccontato di essere stato un bambino un po’ in sovrappeso, preso di mira per questo. È curioso che poi proprio il cibo sia diventato il centro della tua carriera.
Sì, da piccolo ero grassottello, mi piaceva mangiare più che cucinare. Poi mi sono chiesto: “Ma come si fanno queste cose?”. Ho iniziato a cucinare, a sperimentare, a metterci del mio.
Per me la cucina è arte, con cui si crea qualcosa che nasce nella mente e si trasforma quando arriva nel piatto. Da un video fatto per scherzo è poi nata la mia professione.
Quando hai cominciato a pubblicare sui social?
A luglio del 2022. Lavoravo già in cucina, avevo fatto l’alberghiero.
E hai superato il milione di follower in pochissimo tempo.
Sì, è successo tutto molto in fretta. All’inizio non ci capivo niente, vedevo solo numeri che salivano e mi dicevo: “Ma è così facile?”. Ovviamente no. La vera sfida è fidelizzare le persone, stare dietro alla community, rispondere alle richieste. Puoi avere anche cinque milioni di follower, ma se non trasmetti empatia, se non comunichi qualcosa di vero, i numeri da soli non servono a niente.
Quindi hai lasciato il tuo lavoro nei ristoranti per dedicarti ai social?
Sì, ho fatto un passaggio graduale, da un full time decisi di passare a un part time. Vivevo da solo, dovevo mantenermi, quindi all’inizio facevo entrambe le cose. Quando ho visto che il digitale poteva diventare un lavoro vero, ho deciso di puntarci tutto.
Sono molti i giovani chef che scelgono di virare sulla carriera da food content creator. Secondo te è anche per via di stipendi troppo bassi nel settore?
Dipende molto dal contesto. A Milano, ad esempio, la ristorazione offre ancora tante opportunità. Ma in generale non credo sia un problema solo di questo settore, è qualcosa di più profondo e radicato. E comunque, se scegli di fare l’influencer solo per guadagnare di più, allora forse quella della cucina non è la strada giusta. Servono competenze, come in qualsiasi altro lavoro.
Pensi di tornare un giorno a lavorare in una cucina professionale?
Io in realtà ci lavoro già, in una cucina, che è quella di casa mia. Non serve per forza un ristorante per sentirsi cuoco, così come un pittore non ha bisogno di uno studio per dipingere. Lo puoi fare ovunque.
Progetti futuri?
Sì, sto portando avanti un progetto a cui tengo molto: il mio libro di ricette completamente gluten free. È già uscito in digitale e stiamo lavorando alla versione cartacea. Voglio rendere la cucina più inclusiva, riportare le merendine e i dolci dell’infanzia in versione senza glutine, per far riscoprire quei sapori anche a chi ha intolleranze. L’ho fatto tutto in modo indipendente, senza casa editrice, e ne vado molto fiero.