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Carmine Recano: “Anch’io ero un ragazzo del Rione Sanità. Invecchiando sono diventato il buono delle serie tv”

Intervista a Carmine Recano, il Don Giuseppe della fiction di Rai1 Noi del Rione Sanità. L’attore napoletano racconta di aver vissuto in prima persona la rivoluzione di Don Antonio Loffredo: “Lo conosco da vent’anni”. Finite le riprese della sesta stagione di Mare Fuori, negli anni ha ormai cambiato pelle, diventando il nuovo volto da “buono” delle serie tv.
A cura di Ilaria Costabile
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Quando ci sentiamo al telefono Carmine Recano è a casa, reduce da settimane intense di riprese, si gode il tempo con i suoi bambini, che vede crescere tra un set e l'altro. Dal 23 ottobre è Don Giuseppe nella serie di Rai1 Noi del Rione Sanità, ispirata all'omonimo libro scritto da Don Antonio Loffredo, il parroco che coinvolgendo i ragazzi del quartiere è riuscito a risollevare le sorti non solo dei giovani, ma di un'intera zona di Napoli, minata dalla criminalità e dalla delinquenza. L'attore napoletano quella realtà l'ha vissuta sulla sua pelle e forse anche per questo ha saputo portare in scena quegli aspetti più profondi e umani in cui si intrecciano finzione e realtà.

Il suo volto è ormai associato a Mare Fuori, dove da sei stagioni – presto gireranno anche la settima- interpreta il ruolo del Comandante Massimo Esposito. Un personaggio che gli ha dato la notorietà del mainstream, sebbene di esperienze ne abbia maturate e non poche, in circa trent'anni di esperienza tra cinema, televisione e teatro, ed è proprio partendo dal suo vissuto lavorativo che in merito ai tagli in manovra sul cinema è piuttosto netto: "I fondi pubblici sono necessari, il cinema è cultura, è identità, chi ne pagherà le conseguenze sono quei lavoratori che non si vedono". 

Carmine, nuovo ruolo da protagonista: una storia vera stavolta. 

Ho fatto la scelta di raccontare questa storia perché un po' mi appartiene, la conosco fin da bambino, la struttura narrativa, i valori, sono sempre simili a Mare Fuori, con uno sguardo diverso, ed è questo il motivo per cui ho deciso di farla.

La storia di Don Antonio la conoscevi, ma lui hai avuto modo di incontrarlo?

Don Antonio lo conosco da quando avevo vent'anni. Quando lui arrivò al Rione Sanità decise di aprire dei laboratori di musica, teatro e i corsi di teatro furono affidati a Enzo Pirozzi, un regista con cui sono cresciuto, si può dire che siamo cresciuti insieme. Andavo anche io lì ad assistere quei ragazzi. Quando mi è arrivata questa proposta ho pensato che la vita fosse proprio strana, mai avrei pensato di portare in scena una cosa che avevo vissuto così da vicino.

Il fatto di aver toccato con mano questa realtà è stata una fonte di preoccupazione nel doverla riportare in scena?

Ovviamente ho avvertito subito il peso, la responsabilità della storia. All'inizio ho avuto delle difficoltà nell'accettare, ma quelle stesse paure mi hanno guidato, non bloccato.

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Quanto c'è del Don Antonio che hai conosciuto nel tuo Don Antonio?

Quello che mi ha sempre colpito di Don Antonio, qualcosa che probabilmente mi appartiene, è la sua empatia. È magnetico. Nel momento in cui ti siedi davanti a lui sai di avere a che fare con l'uomo, non solo con un parroco. Spero di aver restituito questo aspetto al personaggio.

È bello poter scorgere l'uomo dietro l'abito talare, soprattutto quando si parla d'amore. 

L'abbiamo riproposto proprio perché è una parte bella della sua storia, lo rende umano. È un amore adolescenziale, ma si evolverà, sebbene lei non abbia mai accettato fino in fondo la scelta di Don Antonio di diventare prete. C'è un sentimento, una carica emotiva che servirà per affrontare un tema importante, come quello delle violenze domestiche. In Don Antonio lei troverà un rifugio.

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Hai temuto che il successo del Comandante in Mare Fuori potesse offuscare questo nuovo personaggio?

Le carriere dei grandi attori, penso a Mastroianni, come anche altri, sono segnate spesso da un certo personaggio, è normale che accada. Poi, sta al singolo cercare dei progetti che abbiano protagonisti differenti. Massimo e Don Antonio sono anche personaggi che si muovono in uno spazio e un tempo completamente diverso. Il primo agisce sullo sbaglio commesso, il secondo cerca di prevenirlo, togliendo terreno fertile alla criminalità.

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Paolo Siani (fratello del giornalista Giancarlo Siani ndr.) vedendo le prime due puntate in anteprima ha scritto: "Guardatela, è necessario, dà speranza, indica un modello. Vorrei tanto diventasse l'anti Gomorra in termini di ascolti". 

È un racconto che lascia uno sguardo positivo, di speranza, è confezionato in modo quasi fiabesco, il fulcro non è la denuncia. Detto questo, Gomorra è ovvio che attiri un certo tipo di pubblico, ma sono prodotti che non possono essere paragonati. Questa serie spezza il cliché di una Napoli che negli ultimi anni è stata raccontata affrontando solo certi temi, invece noi toccheremo la bellezza della città, le catacombe di San Gennaro, Poggio dei Cristallini, il Cimitero delle Fontanelle.

Ma dall'altro lato resta la Napoli di Gomorra. 

Il punto è che Gomorra sarà sempre un grande prodotto per come è stato realizzato, sebbene si sia deciso di raccontare il male. Condivido l'idea di spingere su quei prodotti che raccontino qualcosa di positivo, ed è per questo che ho deciso di raccontare questa storia, come ho deciso di accettare Mare Fuori, perché mi piacciono personaggi che promuovono valori di legalità, onestà.

In passato, però, di cattivi ne hai interpretati tanti. 

Tantissimi. Nel film Certi bambini, il Clan dei camorristi, ho interpretato un brigatista negli Anni di piombo. A volte me le dimentico le cose che ho fatto.

Ormai in questi anni Carmine Recano è diventato il buono delle serie tv.

Con l'età si cambia (ride ndr.). Sto invecchiando, a fine novembre sono 45, sono nato tre giorni dopo il terremoto.

A proposito di serie, sono terminate le riprese della sesta stagione di Mare Fuori, ma non vi siete ancora fermati: c'è in cantiere la settima. 

La serie continua a macinare numeri, soprattutto su Rai Play e ad avere un mercato estero. Mare Fuori rappresenta il 70, se non l'80% degli ascolti di tutta la piattaforma streaming.

La regia cambierà anche il prossimo anno?

Non è chiaro. Quest'anno abbiamo avuto Beniamino Catena e poi è tornata Francesca Mitrano, la nostra direttrice della fotografia, che quest'anno firma nuovamente alcuni episodi.

Dopo ormai sei anni, sei soddisfatto dell'evoluzione del tuo Massimo?

Sì, cambia moltissimo. La sua situazione sentimentale si evolve, l'incontro con Maria (Antonia Truppo ndr.) è quello che avviene due adulti segnati dal dolore per esperienze diverse, in un certo modo si riconoscono e tentano di ricostruirsi. È un rapporto che, però, va al servizio di Rosa, che continua ad essere al centro del racconto.

Nuova stagione, nuove trame, dobbiamo aspettarci molti cambiamenti?

Ci saranno molti nuovi ingressi, come uscite importanti. C'è sicuramente uno sguardo diverso, anche a livello di ritmo.

Come avete reagito a quello che è accaduto ad Artem?

Umanamente parlando ci è dispiaciuto tantissimo. È uno dei ragazzi più buoni che abbia conosciuto, davvero. Sicuramente stava attraversando un periodo non facile in cui ha dovuto fare i conti con la sua sofferenza.

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Noi del Rione Sanità e Mare Fuori per certi aspetti raccontano Napoli da un punto di vista simile, quello del riscatto dall'oscurità. Tu che racconto vorresti vedere?

Mi piace la Napoli più umana, più accogliente, solidale. Ma sappiamo che Napoli è tante cose, piuttosto credo ci siano aspetti che vadano raccontati in profondità perché solo così si può accendere un faro su temi che esistono. Poi aggiungerei anche una cosa.

Dimmi.

Il cinema mondiale ha subito negli anni il fascino dei cattivi, questo non credo che abbia contribuito ad alimentare una generazione cattiva, è sempre una questione di cultura. Il punto non è tanto cosa si racconta, ma come veicoli quel messaggio e il come passa attraverso la preparazione del singolo, la sua cultura personale, è quello che ti permette di scindere la realtà dalla finzione. È vero che Napoli è stata segnata da un certo tipo di racconto e da napoletano a guardarlo fa anche male, perché è una realtà che non hai scelto, però sai che è vero. A volte ho l'impressione che è come se non volessimo sentirci dire la verità.

È notizia delle ultime settimane che il Ministro della Cultura ha portato in manovra consistenti tagli al cinema. Da attore, come pensi debba e possa reagire il settore?

Alla discontinuità lavorativa ci sono abituato, fa parte del percorso, è qualcosa che accetti e con la quale impari a convivere. Il problema non sarà degli artisti, del regista, dell'attore che in un modo o nell'altro, magari affacciandosi all'estero, possono sopperire a questa mancanza, il problema vero sarà degli addetti ai lavori. Il cinema è un comparto che conta almeno 200mila lavoratori, tra i più grandi contribuenti del nostro Paese. Il problema sarà dare risposte a 200mila persone.

Quindi è una questione che, qualora dovesse presentarsi, toccherà solo successivamente attori, registi?

Il loro problema sarà di riflesso anche il nostro. Molte persone potrebbero essere costrette a cambiare lavoro, ma ci sono famiglie dietro a quelle 200mila persone. Rispetto ad un euro investito in quel settore, allo Stato ne ritornano tre. Il cinema non è solo industria, è identità, cultura. Ma poi è un controsenso.

Ovvero?

L'audiovisivo ha sempre vissuto di finanziamenti pubblici, non solo adesso. Quando ho iniziato nel 96-97, c'era l'articolo 8, erano sovvenzioni statali senza le quali molti registi non avrebbero nemmeno potuto iniziare a fare film. Non esistono i produttori di un tempo, questo è vero, probabilmente vanno riviste delle regole, c'è bisogno di maggiori controlli, però il finanziamento pubblico è vitale.

Parlavamo delle possibilità all'estero, è qualcosa a cui pensi? Ti piacerebbe?

L'ho fatto già, sempre per prodotti italiani mi è capitato in passato di allontanarmi, ho toccato diverse realtà, sono stato in Francia, in Serbia, in Bulgaria, Romania, ho fatto esperienze in Germania, ma non era mai una produzione completamente straniera.

Magari ora hai meno smania di accettare e ti permetti di scegliere. 

Il mio lavoro è fatto di opportunità, quando ti vengono date e ne hai diverse allora inizi a scegliere. Ad esempio ho rifiutato due proposte, mi sento un po' svuotato, ho bisogno di ricaricarmi un po'.

Sei stato più bravo o fortunato?

Fortunato. In base alla mia esperienza quasi trentennale tra teatro, cinema, televisione, mondo pubblicitario, ho visto tantissimi bravi attori, ma proprio bravi che non hanno avuto la mia stessa fortuna. Quindi, sì, sono stato molto fortunato.

C'è qualcosa che pensi ti manchi ancora nel tuo lavoro?

Ho sempre cercato e continuerò a cercare qualcosa che mi emozioni, al di là delle storie che si raccontano. Voglio sentire l'umanità dei personaggi, le fragilità, i conflitti, se quella roba non c'è vado avanti.

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