Bruno Barbieri: “Da chef sacrifichi la tua vita e in tv oggi ci sei, domani chissà. Con 4Hotel valorizziamo l’Italia”

Bruno Barbieri è un nome che non ha bisogno di presentazioni, un'icona della cucina, ma anche di stile, uno chef pluristellato, ma anche uno dei protagonisti più amati della televisione. Da domenica 7 settembre torna su Sky e in streaming su NOW, in prima serata, con una nuova stagione di 4 Hotel, il programma prodotto da Banijay che lo vede testare gli alberghi di alcuni borghi italiani, attraversando l'Italia da Nord a Sud, scovando realtà locali sconosciute, valorizzando il territorio, ma anche i protagonisti di ogni puntata. E, poi, è il volto del cooking show più amato del piccolo schermo, ovvero Masterchef, in cui è al fianco di Antonino Cannavacciuolo e Giorgio Locatelli. Il mestiere da chef gli ha consentito di abbracciare quella vita nomade che ha desiderato fin da bambino. Il mondo l'ha girato in lungo e largo, nei suoi viaggi ha capito che il valore più importante che si possa avere è il rispetto dell'altro, in qualsiasi luogo ci si trovi, ma se c'è qualcosa che non deve mai mancare è avere un sogno: "Alla mia età potrei non averne più, ma senza sogni la vita rischia di diventare banale".
Sono già otto stagioni che va in onda 4 Hotel, trova ci siano stati dei cambiamenti nel settore?
C'è stato un enorme cambiamento, direi sociale, negli albergatori e soprattutto nei clienti. Si sta facendo un grande battage, anche grazie al programma, che ha aiutato a far capire che è necessaria una rivoluzione radicale, anche nello stile di vita.
C'è un obiettivo che vi siete posti?
In questi anni abbiamo voluto, e ci stiamo riuscendo, far capire ai giovani albergatori che l'hotelleria italiana è il biglietto da visita del nostro paese. Molte cose sono indirizzate agli alberghi a gestione familiare, quelli che si trovano più in difficoltà, in termini di investimenti. Queste piccole realtà, prima di spendere due quattrini, ci pensano un po' in più rispetto alle grandi catene. C'è da dire che lo Stato sta sostenendo gli albergatori.
Un programma come 4 Hotel invoglia al turismo italiano, non crede che spesso si osanni l'estero senza accorgerci di quanta bellezza c'è nel nostro Paese?
Assolutamente. 4 Hotel entra nelle case degli italiani e abbiamo cercato di uscire da certi circuiti, ci sarà sempre chi va in centro a Venezia o Firenze, ma esiste anche l'hinterland. Noi permettiamo a chi non ha potenza economica di approdare a un certo mercato. L'Italia ha dei borghi nascosti dal Nord al Sud e guardando il programma, anche fuori dall'Italia, si accende come una lampadina e arrivano anche stranieri. Poi, ovviamente, si tratta di valorizzare non solo il borgo sconosciuto, ma anche chi ci lavora, quindi piccoli imprenditori, produttori. Puntiamo su quello che l'albergatore offre al turista, magari scopriamo che in un posto sperduto, in cui nessuno se lo aspetta, c'è un campo per giocare a golf.
Negli anni si è lasciato ampio margine al racconto personale degli albergatori. Crede che conoscere la loro storia contribuisca al successo del programma?
Lo dico da sempre, ai ristoratori, ai miei chef, alla gente che lavora con me "in cucina e nel piatto deve esserci il tuo io". Vale lo stesso per l'hotel, quindi all'albergatore dico sempre "raccontati". È così che, magari, parlando delle proprie idee, del vissuto, si capisce perché un tappeto è messo in un certo modo, o perché l'accoglienza si fa in un altro. Le persone vogliono raccontarsi, ed è estremamente interessante.

Ormai ha ascoltato le storie di tanti concorrenti, qual è il tratto che li accomuna ed emerge?
Bisogna uscire dalla propria comfort zone, il mondo va avanti a mille all'ora e bisogna stargli dietro. In giro per il mondo accadono cose meravigliose e se vuoi essere all'avanguardia, se vuoi essere e diventare il numero uno, se vuoi diventare protagonista di un mercato enorme devi uscire, capire che cosa succede fuori.
Bruno, se la ricorda la sua prima vacanza?
La mia prima vacanza è stata incredibile. Ero un bambino, piccolo piccolo, è stata in Spagna con mia madre e mia sorella, solo una perché l'altra non era ancora nata. Avevo 5 o 6 anni. Prendere un aereo, arrivare in Spagna, senza aver mai visto il mare, un porto, un mercato. È stato un impatto incredibile. Andavamo a trovare mio padre, lavorava lì, ma per me era una vacanza. Non sapevo cosa volesse dire fare un castello di sabbia sulla spiaggia, vivevo in un piccolo paese sulle colline bolognesi. Superati i 60 anni, ricordo ancora oggi quei momenti bellissimi, ti restano dentro, e quell'emozione mi ha fatto scattare l'idea che dovevo trovare un lavoro che fosse un po' nomade. Da lì è cominciato tutto e oggi, a 60 anni, devo ancora tornare a casa.
Scegliendo la carriera da chef, ha trovato il suo lavoro da nomade.
Ne ho fatte di ogni. Ho dormito nei lodge in Africa, vicino il Congo. Ho dormito in una barca navigando il Rio delle Amazzoni, era un hotel che galleggiava, ho dormito nell'Amazzonia brasiliana. Ho fatto cose estremamente interessanti. Oggi viaggio senza valigie, ho imparato che non servono, l'importante è avere un telefono, una buona carta di credito, un'assicurazione e hai fatto tutto. Per il resto devi prenderla così, questo significa viaggiare in libertà.
E cosa ha imparato in questi anni di viaggi in libertà?
Ho imparato a rispettare il luogo che ti sta ospitando. Quarant'anni fa, per la prima volta, sono andato a Medelìn in Colombia, a casa mia erano già pronti a fare il funerale, mia madre che diceva "non tornerà più, in mezzo ai narcotrafficanti". E invece sono tornato e poi ci sono ritornato ancora. Se vai e rispetti il paese che ti ospita, le persone e vivi il loro quotidiano, hai fatto bingo. Poi, certo, bisogna stare attenti, perché ci sono paesi pericolosi e succede di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, ma credo che il rispetto della gente sia la cosa più importante.

Si parlava di zona di comfort, il mestiere dello chef richiede una certa tempra, per cui: come ha vissuto la competizione?
Sono sempre stato molto competitivo, ne ho girate di cucine in giro per il mondo, ma non ho dimenticato come si fa una bernese e ora faccio anche altre cose nella vita, questo per dire che bisogna sempre cercare il nuovo. Bisogna avere dei sogni, poi, non tutti possono prendere una stella Michelin, però ci si deve provare, devi andare dritto per la tua strada, le tue idee, sempre nel rispetto di chi ti sta intorno, del cliente, della ristorazione, di chi investe denaro nel tuo lavoro. La vita è fatta anche di sconfitte, da cui si imparano cose meravigliose, un sacco di storie, la sconfitta non è mai una sconfitta, è l'inizio di una partenza e probabilmente l'inizio di un nuovo successo.
La sua prima soddisfazione da chef quale è stata?
Quella di aver visto i miei clienti andar via dai ristoranti dove lavoravo con la felicità di aver mangiato bene. Ma, se devo dire, un'altra grande vittoria per me, è quella di incontrare ragazzi che hanno lavorato con me e che oggi, magari, sono chef in giro per il mondo, a Londra, negli Stati Uniti, in Australia e raccontano nella loro storia un pezzo di Bruno Barbieri. È quello che mi appaga di più, del resto non me ne frega niente.
Leggo un certo disincanto in questa affermazione.
Viviamo in un mondo dove il successo, soprattutto qua in Italia, non è visto da chi ti sta accanto in maniera esaltante. Un po' dispiace. Se vedo che uno chef ha un successo planetario sono felice per lui, anzi, sai che c'è? Magari cerco di stargli vicino, capire cosa sta facendo.
Crede ci sia poca collaborazione tra chef?
Oggi ci sono meno gelosie. Una volta lo chef cercava di tenere nascosto il menù, le idee. Non sono mai stato così, nelle mie cucine anche il lava pentole diceva la sua, perché magari aveva visto una cosa alla quale io non ero arrivato.
C'è qualcosa in cui la cucina ritiene sia cambiata dai suoi inizi?
Ci sono un sacco di talenti e nel mondo femminile le chef donne si stanno affermando, dicono la loro con coraggio, con grinta, anni fa le donne non erano quasi mai in cucina, ma ho sempre pensato che avessero quel quid in più che rendeva galattico un piatto. Oggi ci sono donne che hanno un successo clamoroso, lo vedo con la Pavan a Masterchef. Credo sia giusto, come è giusto che anche le vecchie guardie lascino spazio ai giovani, anch'io andando fuori dalle cucine ho iniziato a fare altre cose, è giusto che i giovani abbiano la possibilità come l'ho avuta io quando è stato il mio momento.

Si parlava di Masterchef e alcuni concorrenti lamentavano il fatto di non aver avuto opportunità in grandi cucine dopo la trasmissione. Secondo lei avevano aspettative troppo alte?
Non raccontiamoci balle, se c'hai la stoffa, se hai quella manualità, quella voglia, quei sogni, le cucine italiane sono aperte. Il problema è averli. Chi arriva a Masterchef ha talento, ma poi deve avere la forza di non farsi travolgere, bisogna fare dei sacrifici, tirarsi su le maniche. Se vai a lavorare da Antonino Cannavacciuolo, nella sua cucina, non ti regala niente, anche se sei uscito da Masterchef, anche se l'hai vinto. Devi comunque dimostrare chi sei e farlo veramente, perché la cucina è sacrificare la propria vita, la vita degli altri, della tua famiglia. Ci vuole tempo, non ti regala niente nessuno, non ti entra il talento dalla finestra. Devi avere pazienza, se non ce l'hai non vai da nessuna parte.
"La cucina è sacrificare la propria vita" mi dice, ma molti giovani lavoratori del settore lamentano un forte stress. Cosa ne pensa?
Quando avevo 17 anni sono andato a lavorare sulle navi da crociera negli Stati Uniti, senza mamma, senza papà, famiglia, nessuno. Quando sono andato avevo nella testa quale sarebbe stato il mio percorso. Non è che sono arrivato a Masterchef così, perché un bel giorno un autore, un regista o qualcuno ha detto "Oh ma chiamiamo Bruno Barbieri". C'è una storia dietro, un lavoro, un modo di fare cucina. È facile oggi criticare, ma fai dei fatti, lavora, se lavori 40 anni in cucina, nel bene e nel male, le cose le sai fare, ma bisogna stare lì.
Tornando a Masterchef, quindi, crede che il programma possa essere stato fuorviante per i partecipanti?
Chi arriva in un programma come Masterchef fa il suo percorso, però deve capire che è all'inizio della carriera, si pensa di saper fare tutto, ma non è così. Poi sei condizionato dal fatto che stai facendo televisione, ci sono le copertine dei giornali, che c'è un mondo televisivo, ma devi capire cos'è che vuoi fare. Devi farti delle domande, perché la televisione è una di quelle cose che oggi ci sei e domani chissà, sei diventato vecchio e non servi più. Bisogna essere attenti a sapere cosa si vuole fare nella vita.

Però il talento c'è sempre qualcuno che deve riconoscerlo, non trova?
Senza ombra di dubbio. Ma devi comunque saper dimostrare chi c'è dietro quel talento. Ancora oggi, alla mia età, tralasciando quello che faccio e le trasmissioni TV, i ristoranti, ancora oggi ho dei sogni nel cassetto, potrei dire "sto bene, sto per cavoli miei, vado in giro per il mondo".
E invece?
E invece ho ancora dei sogni, è la vita ad essere un sogno e se non ne hai è finita. È finita a vent'anni, è finita a 30, è finita a 50 e a 60, lo dico sempre ai miei nipoti, se avete dei sogni andrete avanti, non se non li avrete la vita rischia di diventare una cosa banale.