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Premi Oscar 2024

Cosa ha di speciale Everything Everywhere all at Once e perché è un film che meriterebbe l’Oscar

Pioggia di nomination agli Oscar 2023 per Everything Everywhere all at Once che se ne porta a casa ben undici, tra cui quella per il Miglior Film. Di ritorno in sala da giovedì 2 febbraio, andiamo a indagare questa anomalia del sistema cinematografico mondiale che l’Academy mette nello stesso campionato di blockbuster pigliatutto come Avatar 2 e Top Gun: Maverick.
A cura di Grazia Sambruna
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C'è uno chef con un procione sulla testa, un bagel-buco nero che rischia di risucchiare il mondo intero (e sue infinite versioni alternative), il kung fu che potrebbe essere anche un biscotto, un'agenzia dell'entrate grigia e particolarmente pedante, una famiglia cinese in grossa crisi che gestisce una lavanderia a gettoni sull'orlo della bancarotta alla vigilia del Capodanno. E questo solo per accennare qualche scampolo di ciò che contiene Everything Everywhere all at Once, il lungometraggio scritto e diretto dai fratelli Daniels, candidato a ben 11 Oscar, tra cui Miglior Film, insieme a colossi del calibro di Elvis, Top Gun: Maverick e Avatar: La Via dell'Acqua.

L'Academy ci sta forse invitando a giocare a "Trova l'intruso"? Assolutamente no. Everything Everywhere all at Once è ovunque e contemporaneamente un capolavoro. Ancora non si sa quando e se approderà in streaming (in America è visibile su Amazon, Apple TV, e Hulu) ma, nel caso ve lo foste persi, tornerà nelle sale italiane da oggi, giovedì 2 febbraio. Tasse, lavatrici, wurstel e locura. Finalmente, qualcosa di completamente diverso.

Prodotto dai Fratelli Russo, registi dei più amati blockbuster Marvel tra cui Avengers: Endgame, Everything Everywhere all at Once ha una trama incentrata sul Multiverso. A cui fa costantemente il verso. Tanto per cominciare, qui non ci sono supereroi che la sanno lunga. La protagonista Evelyn Wang (Michelle Yeoh) è una donna sulla cinquantina, rude, frustrata e profondamente insoddisfatta dalla vita. Come se non bastasse l'imminente fallimento della lavanderia a gettoni a conduzione famigliare di cui è sciagurata proprietaria, ci si mette pure il marito Waymond (Jonathan Ke Quan) a stressarla: un perdigiorno senza spina dorsale, ben diverso dal giovane coraggioso di cui un tempo si era innamorata tanto da dare il benservito ai genitori, contrari all'unione, e convolare a nozze con lui.

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La figlia Joy (Stephanie Hsu) è marcia ciliegina su questa torta disastrosa: le due non riescono a comunicare e la ragazza detesta la madre per i suoi modi burberi e l'affetto brutale che la donna le dimostra frettolosamente solo nei giorni dispari degli anni bisestili. Ci sono tutte le premesse per un intenso drammone famigliare come ne abbiamo già visti e ancora ne vedremo. Solo che, proprio qui, Everything Everywhere all at Once fa il salto, trasformando una storia déjà-vu nella più vibrante, inaspettata e bizzarra delle avventure cinematografiche che siano mai state intraprese.

"Come si torna indietro?", questa la domanda da cui prende le mosse l'intero film e le soluzioni vanno oltre qualsiasi immaginazione. Evelyn avrà infatti ben presto modo di scoprire come la vita spenta e priva di stimoli che sta conducendo non sia l'unica possibile. L'artificio del Multiverso, qui arriverà a mostrarle le pressoché infinite alternative rispetto al tedio tristanzuolo in cui si è costretta in seguito a una serie di scelte che, per quanto sulla carta sembrassero giuste, si sono poi rivelate, nel tempo, ai limiti del disastroso, rendendola sempre più arida e annoiata. È la fine? No. Perché le scelte si fanno ogni giorno. E ogni giorno può mettere un primo tassello per andare a costruire quella che poi sarà la testa d'ariete con cui sabotare, sovvertire lo status quo della propria esistenza.

Gli universi paralleli e alternativi, anche quelli più bizzarri in cui le persone hanno wurstel al posto delle dita, non erano mai stati usati prima, non così a fondo, come strumento per indagare i sentimenti, i bivi, la carta esci di prigione e riparti dal via. Evelyn, "incapace a tutto", saltella da un universo all'altro con lo scopo di salvare se stessa, il mondo intero e, specialmente, chi le sta a cuore, anche se non pensava di averlo, un cuore. "In un'altra vita, credo che mi sarebbe proprio piaciuto occuparmi di tasse e lavatrici con te" è una delle frasi, qui fuori contesto, più romantiche mai scritte e proiettate su grande schermo.

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Anche perché Everything Everywhere all at Once è un film da grande schermo. Recuperarlo in streaming sarà di certo un giorno possibile, ma questa pellicola è tanto magnificente da meritare il buio della sala per poter risplendere di tutta la luce che emana. Divertente, sconveniente, sopra le righe, i Daniels strappano via il freno a mano e regalano al mondo un film che è un viaggio nei nostri personali Multiversi. Funziona, anche, proprio per questo. Seguendo le avventure di Evelyn, è impossibile non riconoscersi in lei. Per tutte le volte in cui ci siamo ritrovati a inserire il pilota automatico perché invischiati in conversazioni di cui nulla ci importava realmente, per ogni momento in cui lo facciamo ancora, a casa come sul lavoro. Eppure, c'è molto di più.

Everything Everywhere all at Once nel suo tono bizzarro e oltraggioso riesce quasi a convincere, almeno per i suoi folli 140 minuti, che dopotutto non sia troppo tardi per imparare il kung fu, recuperare quel rapporto importante senza per forza scomodare C'è Posta per Te, in poche parole: per cavarsela da soli.  Reinventarsi una, due, cento, mille volte e riconquistare ciò di cui ci importa davvero, quello che ci tiene in vita realmente. In un mondo in cui tutto sembra essere il risultato di una "semplice ineluttabilità statistica", esiste ancora l'imprevedibilità, il momento zero, anzi i momenti zero, in cui si smette di rispondere ai comandi per scommettere su di sé, per quanto impertinente e fuori luogo possa sembrare a chi preferisce rimanere in gabbia perché ci si trova comodo comodo. Niente è davvero importante, come sostiene Joy dall'alto della sua devastante depressione, ed è proprio così: per questo è possibile tutto, ovunque, in qualsiasi momento.

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Sto scrivendo. Perennemente in attesa che il sollevamento di questioni venga riconosciuto come disciplina olimpica.
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