Nino D’Angelo si commuove a Venezia: “La depressione mi ha salvato, il caschetto mi stava uccidendo”

Lacrime sincere e un racconto senza filtri quello di Nino D'Angelo alla Mostra del Cinema di Venezia 82, dove ha presentato il documentario che ripercorre la sua straordinaria carriera, "18 giorni", diretto proprio da suo figlio, Toni D'Angelo. Il cantante napoletano, visibilmente emozionato, ha aperto il suo cuore davanti ai giornalisti, rivelando i momenti più bui della sua vita e il difficile percorso verso la rinascita artistica.
Il tunnel della depressione negli anni Novanta
"Ho avuto una depressione negli anni 90", ha confessato D'Angelo nel video catturato dalla redazione di PopCorn Club. "Non c'erano i social all'epoca. Non riuscivo a uscire dal personaggio." Una dichiarazione che getta una luce nuova su uno dei periodi più complessi della sua carriera, quando il successo travolgente del "Nino col caschetto" aveva finito per diventare una prigione dorata.
L'artista partenopeo ha spiegato come ogni tentativo di evoluzione artistica si scontrasse con l'immagine stereotipata che il pubblico aveva di lui: "Qualsiasi cosa facevo, diversa dalla musica che avevo sempre fatto, le persone parlavano sempre e solo di Nino col caschetto."
L'incontro che ha cambiato tutto
La svolta è arrivata grazie all'intervento di Goffredo Fofi, il critico cinematografico che per primo ha riconosciuto il valore artistico nascosto dietro la maschera del personaggio: "Solo quando Goffredo Fofi ha scoperto me e ha divulgato quello che facevo, si sono avvicinati", ha raccontato D'Angelo, sottolineando l'importanza di avere qualcuno che sappia guardare oltre le apparenze.
L'addio doloroso al caschetto simbolo
"A me piaceva il Nino col caschetto, ma l'ho tolto perché reprimeva tutto quello che facevo", ha proseguito l'artista, rivelando quanto sia stata sofferta la decisione di abbandonare quel look iconico che lo aveva reso celebre. "Il caschetto, però, reprimeva tutto. Non mi faceva uscire. Non è stato facile."
La scelta di cambiare immagine è coincisa con uno dei momenti più dolorosi della sua vita: "Questa cosa mi è arrivata anche in concomitanza con la morte di mia madre." Un doppio lutto, quello per la perdita della figura materna e per l'abbandono di un'identità artistica che, pur limitante, rappresentava la sua comfort zone.
La depressione come chiave di rinascita
In una riflessione che ha colpito profondamente i presenti, D'Angelo ha rivelato il paradosso della sua rinascita: "La depressione, stranamente, mi ha dato la chiave per diventare quello che sono oggi. Mi ha dato il coraggio di osare, la stima della gente. Non mi hanno più visto con la puzza sotto al naso."
Una lezione di vita che dimostra come anche i momenti più bui possano trasformarsi in opportunità di crescita e cambiamento, permettendo all'artista di conquistare un rispetto che andava oltre il semplice successo commerciale.
L'ingiustizia mai dimenticata di "Tano da morire"
Durante la conferenza stampa, D'Angelo ha anche ricordato un episodio che considera un'ingiustizia mai sanata: la mancata partecipazione alla presentazione veneziana di "Tano da morire", film per cui aveva composto le musiche. "Dovevo esserci per le musiche di Tano da morire. All'epoca non mi invitarono, perché il mio nome copriva quello di tutti gli altri."
Io ero a casa di Peppe Lanzetta a mangiare, mi telefonò Fofi e mi disse: dove sei? qui tutti parlano di te. Oggi ho capito di aver subito un'ingiustizia.
 
		 
  