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Quel pasticcio del Teatro di Roma: così il Campidoglio si è fregato da solo

Come si è arrivati alla nomina di Luca De Fusco a voler essere buoni è stata disattenzione, sciatteria. A voler essere meno buoni un disastro frutto di un governo delle istituzioni culturali della città disattento da parte del Campidoglio.
A cura di Valerio Renzi
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A voler essere buoni è stata disattenzione, sciatteria. A voler essere meno buoni un disastro frutto di un governo delle istituzioni culturali della città disattento da parte dell'amministrazione di Roberto Gualtieri. E ora che il danno è fatto, che l'accordo con il Mibact che avrebbe condotto lo stesso prima cittadino è andato a carte e quarantotto, per l'intervento del potente luogotenente di Fratelli d'Italia Federico Mollicone, che stufo del tergiversare ha imposto il voto e la chiusura della partita, è ora di guardare a come si è arrivati fino a qui.

Una storia, quella di come si è arrivati alla nomina di Luca De Fusco a direttore di Teatro di Roma nel passaggio da associazione a fondazione, che vale la pena approfondire, a partire dallo statuto della fondazione e dal disegno della sua governance.

Prima di tutto: in molti si chiedono come mai, visto che Roma Capitale è proprietaria degli immobili e mette la maggior parte dei soldi nelle casse del Teatro, non abbia la maggioranza nel cda. Una scelta che appare in effetti incomprensibile: Roma Capitale mette circa 7 milioni all'anno nelle casse del Teatro, la Regione circa un decimo.

Nel dicembre del 2022 il consiglio comunale approva una bozza di statuto della Fondazione che prevede tre membri del consiglio d'amministrazione, in rappresentanza del Comune (che esprime il presidente), della Regione Lazio e del Mibact. Il decreto FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo) indica che il ministero sieda nel cda di tutti teatri nazionale o d'interesse finanziati. È prevista inoltre la possibilità poi di nominare altri due membri nel caso intervengano nuovi soci.

Una volta nominati i membri del cda da parte di tutti i soci, sorpresa, nessuno si è consultato con nessuno e tutti hanno nominato un uomo. Peccato che la legge lo vieti. Cosa si fa allora? Visto che nessuno vuole cambiare la propria nomina, si rimette mano allo statuto, e si arriva a un cda a cinque, in cui un consigliere in più viene attribuito al comune e uno in più alla regione, nonostante contribuiscano in modo molto diverso al sostegno dell'ente come abbiamo visto.

Arriviamo così al settembre 2023, quando Miguel Gotor si presenta in aula Giulio Cesare e presenta il nuovo statuto che viene approvato e entra così in vigore a seguito della ratifica dell'assemblea dei soci.

E questa è la prima leggerezza: il governo della città di Roma, nonostante finanzi i propri teatri, potrebbe essere scippato della loro governance qualora le altre istituzioni coinvolte di un altro segno politico, non si comportino secondo galateo istituzionale (e anche buon senso), intervenendo nell'orientare politicamente le scelte del cda. Esattamente come accaduto e come ricostruito a caldo su Fanpage.it da Christian Raimo e Graziano Graziani.

Un altra delle cose che viene rimproverata a De Fusco è quella di non essere un manager, ma un regista. Tutto vero: il Teatro di Roma, che è una macchina che ha molti problemi amministrativi che vengono da lontano, ha bisogno di una guida in grado di mettere i conti in ordine, ma anche solo banalmente di tenere i conti. Eppure si è voluto sommare le due figure, quella del Direttore Generale e quella del Direttore Artistico, in una sola carica.

Torniamo sempre allo statuto: “Il Direttore Generale riveste l'incarico di direttore del teatro ai sensi dell'articolo 12 Decreto del MiC (già MiBACT) del 27 luglio 2017 e s.m.i. e cura, pertanto, la direzione artistica e tecnico-amministrativa della Fondazione.”. Parliamo sempre del decreto del 2017 che regola il FUS, che all’articolo 12 specifica che “il direttore/direttrice del teatro può effettuare presso le sale direttamente gestite una sola nuova prestazione artistica all’anno ”. Una modifica del 2021 alza questo numero a tre.

De Fusco già ha detto che non intende rinunciare ad andare in scena come regista, anzi che non ci pensa propria farlo, e che si avvarrà anche di un team di consulenti. Ma non si tratta certo di un obbligo, ma di una facoltà nel caso in cui la persona del direttore sia anche un artista teatrale. Insomma, la scelta di sommare direttore amministrativo e direttore artistico in una sola figura non è un obbligo, tanto che il direttore si può avvalere di “curatori artistici della programmazione".

Lo statuto dell'associazione Teatro di Roma sommava sempre le due figure di direzione artistica e amministrativa, una scelta che aveva portato a non pochi problemi, tanto che negli ultimi anni prima del commissariamento ci si affida a due curatele distinte per l'Argentina e per il Teatro India inaugurando di fatto un nuovo corso, con da una parte Giorgio Barberio Corsetti curatore dell’Argentina, e Francesca Corna per la programmazione del Teatro India. Il periodo più felice di questi anni difficili.

Chi è causa del suo male pianga se stesso? Non direi. Il Teatro di Roma non è affare di qualcuno, ma di tutti, prima di tutto del suo pubblico. Un pubblico sempre più ridotto, per un teatro che guadagnerà una nuova sala con la riapertura del Valle, ma chiuso nella ridotta del centro storico, mentre i teatri di cintura di Quarticciolo, Ostia e Tor Bella Monaca sono passati a Zetèma. E poi il Globe Theatre che cade letteralmente a pezzi. Un teatro che con l'India ha saputo guardare al futuro, ma la cui sperimentazione oggi rischia di essere messa a forte rischio.

Gualtieri ieri ha ottenuto il mandato da parte del consiglio comunale per arrivare a sciogliere la Fondazione. C'è da augurarsi che, da questo scontro, ne venga qualcosa di buono: una cura maggiore per le istituzioni culturali di Roma, e che magari coinvolga la città e gli artisti.

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Giornalista pubblicista e capo area della cronaca romana di Fanpage.it. Prima di arrivare a Fanpage.it ho collaborato su il manifesto, MicroMega, Europa, l'Espresso, il Fatto Quotidiano. Oltre che di fatti e politica romana mi occupo di culture di destra e neofascismi. Ho scritto per i tipi di Edizione Alegre "La politica della ruspa. La Lega di Salvini e le nuove destre europee" (2015) e per Fandango Libri "Fascismo Mainstream" (2021).
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