Perché il Lazio è passato da zona gialla ad area ad alto rischio contagio da coronavirus
Perché il Lazio è passato da regione sempre in ‘zona gialla’ ad area ad alto rischio da contagio da coronavirus. L’indice Rt è tornato sopra quota 1 (seppure leggermente) e l’Istituto Superiore di Sanità classifica la regione guidata da Nicola Zingaretti a ‘rischio alto’ insieme al Veneto e alla Liguria.
Le nuove tabelle con i dati dei 21 indicatori scelti dall'Istituto Superiore di Sanità per valutare l'andamento dell'epidemia in Italia, pubblicate ieri sul sito dell'Istituto Superiore di Sanità, preoccupano la Regione Lazio. Da regione virtuosa, sempre inserita in ‘zona gialla' e mai in ‘zona arancione' o ‘rossa', ora il Lazio è una delle due regioni, insieme al Veneto, che preoccupa di più. Le misure meno rigide imposte ai cittadini laziali hanno consentito di abbassare la curva dei contagi, ma non così tanto come si sperava. E, proprio alla vigilia di Natale, l'andamento dei contagi torna a peggiorare e l'indice Rt ritorna sopra la soglia sicurezzatanto da far classificare il Lazio come regione a "rischio elevato".
Dopo le feste il Lazio rischia la zona arancione
"L'Rt è il primo indicatore a muoversi, poi viene seguito dall'aumento dei nuovi casi e poi dai ricoveri. Quindi un Rt in crescita, anche minima, è un elemento di grave preoccupazione, perché vuol dire che la trasmissione dell'infezione sta riprendendo. Nelle regioni a rischio alto si è in uno scenario di tipo 2, quindi di ricrescita della circolazione, e per questo bisogna essere tempestivi nell'adozione delle misure restrittive", ha dichiarato ieri il presidente dell'Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, durante la consueta conferenza stampa per spiegare i dati del nuovo monitoraggio. Nella sintesi si legge: "In particolare, 3 Regioni (Lazio, Liguria e Veneto) sono classificate a rischio Alto. Nessuna di queste è stata classificata a rischio Alto per 3 o più settimane consecutive". Lazio e Veneto, ricordiamo, sono le due grandi regioni ad essere rimaste sempre in ‘zona gialla' e ad aver beneficiato, quindi, di misure restrittive meno dure rispetto a quelle imposte ai cittadini delle altre regioni.
Il governo ieri ha varato le nuove regole per le feste di Natale e saranno valide per tutte le regioni dal 21 dicembre al 6 gennaio. Dopo quella data, tuttavia, il Lazio rischia seriamente di cambiare ‘colorazione' e di passare ufficialmente da ‘zona gialla' a ‘zona arancione' se l'indice Rt non dovesse tornare sotto la soglia di guardia. In questo senso non hanno aiutato, certamente, gli affollamenti degli scorsi weekend nelle vie dello shopping e certamente non aiuteranno i pranzi (seppure limitati a poche persone) durante le festività natalizie.
Quali sono i dati che preoccupano il Lazio: indice Rt sopra 1, ma non solo
Come è evidente nelle tabelle fornite dall'Istituto Superiore di Sanità i dati che fanno preoccupare in merito alla situazione del Lazio sono essenzialmente tre: l'indice Rt, in crescita e tornato sopra a 1 (leggermente, poiché si attesta a 1,04), il trend dei focolai in crescita e i parametri sull'impatto dell'epidemia sui servizi sanitari, il fatto cioè che i posti letto occupati nei reparti ospedalieri siano ancora sopra la soglia critica. Per questi motivi la classificazione complessiva del rischio del Lazio è "alta", con la regione che entra in uno scenario di tipo 2, cioè:
SCENARIO 2. Situazione di trasmissibilità sostenuta e diffusa ma gestibile dal sistema sanitario nel brevemedio periodo, con valori di Rt regionali sistematicamente e significativamente compresi tra Rt=1 e Rt=1,25, nel caso in cui non si riesca a tenere completamente traccia dei nuovi focolai, inclusi quelli scolastici, ma si riesca comunque a limitare di molto il potenziale di trasmissione di SARS-CoV-2 con misure di contenimento/mitigazione ordinarie e straordinarie. Un’epidemia con queste caratteristiche di trasmissibilità potrebbe essere caratterizzata, oltre che dalla evidente impossibilità di contenere tutti i focolai, da una costante crescita dell’incidenza di casi (almeno quelli sintomatici; è infatti possibile che si osservi una riduzione della percentuale di casi asintomatici individuati rispetto al totale vista l’impossibilità di svolgere l’investigazione epidemiologica per tutti i nuovi focolai) e corrispondente aumento dei tassi di ospedalizzazione e dei ricoveri in terapia intensiva. La crescita del numero di casi potrebbe però essere relativamente lenta, senza comportare un rilevante sovraccarico dei servizi assistenziali per almeno 2-4 mesi.