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Covid 19

Non hanno la cittadinanza italiana e sono bloccati in Bangladesh: “Mi mancano i compagni di scuola”

Rubel è un ragazzino di 14 anni. A settembre avrebbe dovuto iniziare a frequentare un istituto di Roma, ma è bloccato in Bangladesh a causa della pandemia. I voli sono bloccati e Rubel non può tornare: nonostante sia nato in Italia, il nostro ordinamento non lo considera un cittadino di questo paese.
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“Me manca da mori’ l’Italia, sette mesi so’ lunghi”. Parla romano Rubel, 14enne bengalese bloccato nel suo paese di origine fin dall’insorgere della pandemia. Per lui la scuola non è ancora iniziata ed essendosi iscritto quest’anno alla prima di un istituto di Roma non ha ancora conosciuto i suoi nuovi compagni di classe. Il motivo è semplice: nonostante viva al Pigneto da più di 10 anni, Rubel non è cittadino italiano e non ha alcun appiglio legale per tornare nel paese dove frequenta la scuola, con i voli tra Bangladesh e Italia ancora bloccati.

“Mio padre ha preso i biglietti per il 18 ottobre, in agenzia gli hanno detto che i voli riapriranno per quella data. Ma non siamo ancora sicuri di niente”, dice in una telefonata su Whatsapp, piuttosto disturbata. “Qua la connessione è uno schifo”, spiega, “sto tutto il giorno con i miei nonni e non ho neanche il wifi”. Rubel è tornato in Bangladesh con i genitori a inizio marzo, poco prima del lockdown nostrano. Un soggiorno che sarebbe dovuto durare un paio di settimane ma che, causa Covid, si è prolungato per sette lunghi mesi. Impossibilitato a tornare per le misure di sicurezza messe in atto in Italia, Rubel ha seguito online la fine dello scorso anno scolastico, nonostante il fuso orario. “L’esame di terza media poi è stato una farsa”, racconta. “Ho fatto una tesina, mi hanno tenuto 5 minuti su Zoom e mi hanno passato”.

A giugno Rubel sarebbe dovuto tornare ma l’esplosione dei contagi in Bangladesh, a inizio estate, ha complicato le cose. “Mi mancano gli amici, la pizza e anche la scuola. Adesso le lezioni sono solo in presenza, mi inviano dei file con i riferimenti di cosa studiare, mi hanno inserito nelle chat di classe ma con questa connessione riesco a fare poco e niente”, racconta. Finita l’epoca della didattica a distanza per tutti, i compagni di Rubel vanno infatti in classe, ormai da quasi un mese. L’istituto non ha previsto alcun percorso ad hoc e di fatto il ragazzo, regolarmente iscritto, non sta frequentando la scuola. E non è l’unico. “Conosco altri due ragazzi che sono nella mia situazione, due fratelli che frequentano la mia stessa scuola e che sono bloccati qua”.

Un problema, quello della frequenza scolastica di ragazzi di seconda generazione, e più in generale di contesti periferici, che riguarda, a vari livelli, tutto il mondo delle scuole. Già durante il lockdown, una volta avviata la didattica a distanza, sono stati numerosi i casi di ragazzi che non hanno frequentato le lezioni. Non tutti avevano una connessione che potesse garantire la frequenza, non tutte le famiglie sono state in grado di seguire i figli, in particolare in contesti di marginalità economica e sociale.

“Per questo noi abbiamo avviato subito una serie di progetti destinati a evitare l’abbandono scolastico: in particolare in questa scuola abbiamo tanti ragazzi che vivono nei campi rom. Li abbiamo seguiti e dotati di una strumentazione adatta”, racconta Luciana Cervati professoressa di matematica presso l’Istituto Palombini di Rebibbia. Una realtà che si è adoperata durante il lockdown per consegnare oltre 70 tablet a famiglie in difficoltà economica, con lo scopo di garantire la continuità di insegnamento.

“Abbiamo avuto tre ragazzi che si sono trasferiti in Romania, appena iniziato il lockdown, siamo riusciti a mantenere dei rapporti, scambio di informazioni, a volte solo un po’ di incoraggiamento. Sono ragazzi provati, catapultati in un paese che non conoscevano e messi in quarantena. Purtroppo con uno di loro abbiamo perso i contatti. Anche con un ragazzo del Bangladesh è successa la stessa cosa”. L’abbandono scolastico rischia di registrare numeri record, soprattutto tra ragazzi di origine straniera, tradizionalmente più difficili da trattenere sui banchi di scuola. Nel 2019 in Italia il 13,5% dei residenti tra i 18 e i 24 anni ha abbandonato la scuola con la sola licenzia media, un numero elevatissimo, superato in Europa solo da Spagna, Malta, Romania e Bulgaria. Già prima del virus il fenomeno interessava maggiormente le comunità straniere (abbandono al 36,5%), meno gli italiani (11,3%). Dati che subiranno un’impennata nel 2020, a causa del virus, e che rischiano di scavare un solco ancora più profondo tra futuri cittadini italiani di serie A e di serie B.

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