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Gestiscono le visite mediche nel Lazio, ma sono precarie e sottopagate: “Non arriviamo a 600 euro”

“Il fatto che la stragrande maggioranza del personale è rappresentato da donne, la scelta di “recintarle”, per sempre negli appalti, impedendogli qualsiasi progressione di carriera futura, negando la loro professionalità, sottopagandole e condannandole ad un futuro di sicura indigenza”.
A cura di Enrico Tata
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Gestiscono e organizzano gli appuntamenti, le visite mediche, il calendario degli ambulatori in tutto il Lazio. Sono le operatrici, in larga maggioranza donne, dei Cup, degli uffici delle Asl e del servizio Recup della Regione Lazio. Non sono dipendenti, anche se svolgono a tutti gli effetti un lavoro di segreteria interno per le strutture sanitarie. Sono invece precarie da moltissimi anni e sottopagate. Il servizio Recup è infatti appaltato a una società esterna, che è cambiata negli anni e che adesso paga ancora meno rispetto a prima.

"Il blocco ultradecennale delle assunzioni nella P.A. ha generato un mostro nel Sistema Sanitario Regionale del Lazio! Ogni giorno nelle Aziende sanitarie e ospedaliere della Regione Lazio le principali attività amministrative, essenziali a garantire il regolare funzionamento del servizio sanitario, sono svolte da personale dipendente da società private e/o da agenzie di lavoro interinale, in grandissima prevalenza femminile, che subisce da sempre una gravissima discriminazione rispetto ai “colleghi” pubblico", spiega Domenico Teramo, rappresentante dei Cobas.

Al personale dei Cup e degli uffici delle Asl viene fatto esclusivamente un contratto di lavoro part time tra 20 e 30 ore, con salari minimi. In pratica al mese le lavoratrici non arrivano a superare i 600 euro netti. "Pur lavorando fianco a fianco ai “colleghi” pubblici della Regione Lazio, queste lavoratrici e questi lavoratori sono privati di ogni diritto. Le loro postazioni sono spesso le più fatiscenti, sia in termini di sicurezza che di pulizia", spiega ancora il sindacalista. In realtà, hanno calcolato i rappresentanti dei lavoratori, assumere queste persone costerebbe alla Regione molto meno rispetto all'appalto esterno di questi servizi. "Il fatto che la stragrande maggioranza del personale è rappresentato da donne, la scelta di “recintarle”, per sempre negli appalti, impedendogli qualsiasi progressione di carriera futura, negando la loro professionalità, sottopagandole e condannandole ad un futuro di sicura indigenza, rappresenta anch’essa una forma di violenza di genere, ancora più subdola di quella fisica, attraverso la quale si vuole perpetuare la visione secondo la quale la donna, pur lavoratrice, può e deve continuare a dipendere economicamente dal marito o dal padre".

Si tratta di 1500 lavoratrici, quasi tutte sotto i 45 anni, molte separate e con figli. Domani, venerdì 29 aprile, ci sarà un sit in alle 15 sotto il palazzo del ministero del Lavoro a in via Veneto.

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