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Cosa è cambiato a 50 anni dal massacro del Circeo e perché in Italia la violenza subita dalle donne è sempre colpa loro

Cosa è cambiato a cinquanta anni dal massacro del Circeo: dalle urla di Colasanti e dal ritrovamento di Lopez ai “ragazzi di ottima famiglia” che le hanno violentate e sequestrate. Dopo mezzo secolo l’Italia è ancora un Paese che incolpa le donne.
A cura di Beatrice Tominic
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Una giovane donna nel bagagliaio di un'automobile parcheggiata in una via della Roma bene. Le grida dall'esterno e poi la scoperta della ragazza, nuda e sporca di sangue, sequestrata in auto vicino al corpo della sua amica morta. La vicenda passerà alla storia come il massacro del Circeo, un caso che incrocia violenza di genere e questione di classe.

A sequestrarle per 36 ore, stuprarle e ad uccidere Lopez, un gruppo di giovani benestanti poco più che ventenni del quartiere Trieste che orbitavano intorno a gruppi neofascisti, Angelo Izzo, Gianni Guido e Andrea Ghira. Dall'altra due ragazze della Montagnola, quartiere popolare e figlie di famiglie comuni, Rosaria Lopez e Donatella Colasanti. 

L'appuntamento al cinema poi il viaggio fino al litorale pontino, con la scusa di partecipare a una festa a Lavinio. E infine, l'inizio dell'incubo. Siamo nel 1975, sono anni di piccole e grandi rivoluzioni. Nascono i consultori, si parla sempre più spesso di interruzione volontaria di gravidanza. Il 1974 è l'anno del referendum sul divorzio, nel 1975 tocca a quello del diritto di famiglia con cui marito e moglie diventano uguali anche davanti alla legge. È ad appena quattro mesi dalla riforma che Colasanti viene ritrovata in auto.

Da quel giorno, sono passati cinquant'anni esatti. Ma cosa è cambiato in questo mezzo secolo? Generazioni di donne si sono succedute, una dopo l'altra. Ma cosa abbiamo ottenuto? In questo mezzo secolo la colpa è rimasta sempre dalla parte delle donne.

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Che sia sulle pagine di un giornale, ai tavoli di un bar o, peggio ancora, nelle aule di un tribunale, dal 1975 è cambiato ben poco.

Se una ragazza viene violentata, la società è ancora pronta a puntarle il dito contro. Le persone dicono che "se l'è cercata", si chiedono come fosse vestita o cosa possa aver fatto per provocare lo stupro. Mettono in dubbio la veridicità del racconto di chi ha subito le violenze chiedendosi se, per caso, non si sia inventata tutto. Nel 1975, ad esempio, Lopez e Colasanti venivano descritte come ragazze desiderose di cambiare il proprio status sociale. Come se il massacro, per alcuni, si fosse trattato soltanto di un errore di valutazione. Ancora oggi, dopo cinquanta anni, molti pensano che uno stupro avvenga per le scelte di vita della donna che lo subisce e non per quella di agire di un uomo che violenta.

Un dettaglio fondamentale su cui si sono soffermati i giornali dell'epoca, proprio per questa ragione, è lo stato di verginità delle ragazze della Montagnola. Come se lo stile di vita delle due possa aver avuto un qualche ruolo su quanto accaduto. Come se questo possa giustificare o meno la violenza subita.

Gianni Guido e Angelo Izzo al processo.
Gianni Guido e Angelo Izzo al processo.

Dopo mezzo secolo i giornali non sono ancora in grado di parlare di violenza sulle donne. Non sono in grado di tutelare le vittime che hanno subito tali violenze e, spesso, non sanno come presentare i responsabili, mostrati come imprenditori vinicoli di successo, come nel caso del femminicida di Cinzia Pinna o, ancora prima, come il ragazzo che faceva i biscotti per Giulia Cecchettin. E mentre una platea di lettori e lettrici si chiede perché dover presentarci a tutti i costi chi violenta, stupra o uccide, loro, gli uomini sono presentati sempre nello stesso modo.

Nel 2025, quei bravi ragazzi, sono ancora bravi ragazzi. Nel 1975 venivano da "ottime famiglie" e avevano già "imboccato la strada giusta", poco importava se Izzo aveva già una condanna per stupro (mai scontata). A volte il copione si ripete e, ancora oggi, quando vengono dai quartiere benestanti della città, indossano la camicia e sono figli di genitori (meglio ancora se di padri) conosciuti.

Angelo Izzo.
Angelo Izzo.

Non si tratta di dicerie da bar. E la sentenza di Torino di qualche settimana fa ce lo dimostra: dopo cinquanta anni, in Italia anche secondo chi rappresenta la legge sono ancora le donne a provocare gli uomini e la loro violenza. In quello che viene definito victim blaming è chi subisce la violenza ad essere responsabile della stessa. "La colpa è sua, se soltanto avesse agito in un altro modo", è la battuta da copione.

Dire che non è cambiato niente, però, sarebbe oltre che svilente anche un grande errore. Il massacro del Circeo segna uno spartiacque nella storia del femminismo e nella società del nostro Paese non soltanto per il coinvolgimento delle associazioni femministe in sede processuale. Con le urla di Colasanti e il ritorvamento del corpo di Lopez, l'Italia ha iniziato a parlare seriamente di violenza di genere portando a galla un fenomeno che, fino ad allora, restava spesso sommerso.

Le leggi spesso non sono state dalla parte delle donne (un ulteriore passo avanti arriverà soltanto nel 1981 con l'abolizione del matrimonio riparatore, ad esempio) e, sicuramente, c'è ancora molto da fare. Ma è anche grazie a personalità come Tina Lagostena Bassi, l'avvocata che ha assistito Colasanti, che si è iniziato a prendere consapevolezza della situazione. "Io non difendo la mia assistita, io accuso un certo modo di fare processi per violenza", ha detto nel corso di un altro processo.

Cinquanta anni dopo, a volte, resta ancora quel certo modo di fare processi per violenza. A fare la differenza, così come accaduto nel 1975, è la risposta di chi osserva e chi è pronta a schierarsi dalla parte di chi non ha paura di far sentire la propria voce.

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Nata a Firenze nel 1996, vivo a Roma da sempre: su Fanpage.it racconto cosa succede proprio nella capitale cercando di dare voce a chi non riesce a farsi sentire. Diventata giornalista pubblicista nel 2021, sono laureata in Scienze della Comunicazione e in Informazione, Editoria e Giornalismo nell'università di Roma Tre, dove per anni mi sono battuta per i diritti degli studenti come rappresentante e sono stata responsabile del periodico ufficiale di ateneo, CulturArte. Ho scritto per alcune testate online, come Corretta Informazione e il Confronto Quotidiano per cui mi sono occupata di questioni di genere e femminismo intersezionale e nel settembre 2021 ho partecipato alla Summer School sull'Ecologia Digitale di Camogli.
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