
È la quinta "lista degli stupri" ad essere trovata sui muri dei bagni di un Istituto Superiore. Il primo caso al Liceo Giulio Cesare di Roma, dov'è stata denunciata la presenza di una lista, che conteneva i nomi di nove studentesse e uno studente, che avrebbero dovuto essere puniti con uno stupro per il loro impegno sociale contro la violenza di genere e la guerra. Quindi il tre dicembre un’altra lista degli stupri è stata ritrovata su un muro del Liceo Vallisneri di Lucca, contenuti in quella lista, i nomi di due studentesse. E ancora la presenza di due liste al Liceo Carducci di Roma viene denunciata il dieci dicembre. Poi una nuova lista, ancora al Liceo Giulio Cesare, questa volta i nomi sono quelli di due professoresse. Infine un’altra lista all’Istituto tecnico Fermi di Modena.
L’ipotesi di reato che si è configurata e in base alla quale si indaga è quella di istigazione a delinquere finalizzata alla violenza sessuale. Non un gioco quindi, non una goliardia e nemmeno casi isolati. Quello che ci raccontano queste liste è il dilagare di una cultura misogina, patriarcale, che continua a oggettificare le donne, a vederle come un corpo di cui si può disporre a piacimento per rivendicare il proprio potere, ad avere difficoltà a concepire una parità di genere, il diritto all’emancipazione delle donne e utilizza lo stupro come arma di sottomissione. Poco importa se quegli stupri sono minacciati e non agiti, il pensiero, la violenza e la cultura che sottende quelle liste è la medesima.
La stessa che, proprio al Liceo Giulio Cesare di Roma, frequentato da Andrea Ghira, aveva portato alla preordinazione del massacro del Circeo. La matrice non cambia. Lo denunciano anche le stesse studentesse che quei licei li frequentano e che da tempo avevano segnalato condotte inappropriate, offensive e sessiste poste in essere anche dagli adulti. Di professori che commentano i corpi delle studentesse, di un collaboratore scolastico che fischia dietro alle ragazze che sono a scuola. Le studentesse si sentono "carne da macello" e invitano a non colludere, a non minimizzare la gravità dei fatti. E hanno ragione.
In questi giorni invece la preside del Liceo Giulio Cesare sembra voler ridimensionare i provvedimenti pensati per gli studenti che avevano partecipato all’occupazione di tre giorni nella scuola superiore (5 in condotta ed annullamento delle gite), assecondando alunni e genitori che ritengono tali punizioni esagerate, una misura eccessiva. Una riflessione questa che appare preoccupante, proprio perché collusiva con la tendenza alla minimizzazione e alla normalizzazione di quanto accaduto. Le liste continuano ad essere scritte, in nuovi Istituti o ancora negli stessi, probabilmente alla base, la volontà di mostrarsi forti, influenti, potenti.
Ecco che il rischio emulazione è enorme. Come esseri umani siamo programmati ad apprendere per imitazione, ispirandoci a modelli da cui traiamo informazioni e stili comportamentali che poi replichiamo. Lo facciamo in prima battuta da bambini, con i nostri genitori, guardiamo come si comportano, come si relazionano e interiorizziamo quegli schemi comportamentali. Facciamo lo stesso. Emulare gli altri, anche da grandi, nasconde il desiderio di imitarli, di diventare come loro, ma può essere anche uno stimolo a migliorarsi, ispirandosi a persone che stimiamo o ammiriamo. Il problema nasce quando, spesso in assenza di validi riferimenti, si tende a imitare comportamenti inappropriati, azioni negative come quelle di cui stiamo parlando. Questo spesso avviene in contesti in cui la suggestionabilità è facilitata. Il contesto gruppale gioca un ruolo fondamentale.
Nei contesti giovanili soprattutto, infatti, il contesto di gruppo favorisce l’adesione a modelli e comportamenti criminali. Se da un lato infatti il gruppo offre senso di appartenenza e quindi di definizione identitaria (seppur in alcuni casi aderendo a comportamenti devianti) dall’altro consente di deresponsabilizzarsi, o sentirsi meno responsabili per il compimento di un’azione che il gruppo sostiene e legittima, veicolando comportamenti che all’interno di quel gruppo vengono normalizzati. L’anonimato, il fare questo di nascosto, senza esporsi pubblicamente, amplifica questi significati.
Ecco perché le studentesse hanno ragione. Se queste azioni continuano ad essere banalizzate o normalizzate, il sistema collude e sostiene il gruppo, ne entra a far parte e facilitando l’emulazione. La cultura dello stupro continua ad essere alimentata, dilaga e si fa strumento per emergere, per acquisire potere all’interno di contesti deviati che però, purtroppo, sono il riflesso di una società che non si attiva efficacemente per debellarli.