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Renzi al test del Def: finora ha promesso molto, mantenuto poco

L’attesa è finita: in giornata il Governo Renzi dovrebbe varare il nuovo Def e impostare la manovra di bilancio 2015. Si parla di una previsione di crescita dello 0,7% e un deficit/Pil visto al 2,6%, ma finora Renzi ha promesso molto e mantenuto ben poco. Cambierà qualcosa?
A cura di Luca Spoldi
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L’attesa è finita: in giornata il governo Renzi dovrebbe varare il Def (Documento economico finanziario) che a fronte di una previsione di crescita prudente (+0,7% per quest’anno) e di ulteriore e forse persino dannosa austerità (il deficit/Pil è previsto attorno al 2,6% ben al di sotto del tetto consentito dalle norme Ue del 3% e dunque la “manovra” tutto potrà essere meno che espansiva) dovrebbe trovare 10 miliardi di euro di tagli per evitare che scatti dal primo gennaio del prossimo anno l’ennesimo aumento delle tasse ed in particolare l’incremento di un ulteriore 2% dell’Iva, così come previsto dalla legge stabilità del 2014. Ma perché siamo arrivati a questo e quali promesse non sono state finora mantenute da Renzi e dai suoi ministri?

Forse sarebbe meglio chiederci cosa finora sia stato mantenuto della montagna di promesse che con molto coraggio (o semplice abilità da imbonitore?) il premier fiorentino ha fatto nel corso del suo primo anno e mezzo di lavoro. Concentriamoci sul piano strettamente economico:  per quanto riguarda la riforma del mercato del lavoro, che incide dal lato dell’offerta e non della domanda ed è in gran parte inefficace in una crisi come l’attuale che è invece strettamente legata al crollo dei consumi, ossia della domanda interna (ma tant’è), il Jobs Act è ormai legge e anche i relativi decreti attuativi (su salario minimo, contratto a tutele crescenti, articolo 18, mansioni flessibili, riforma dell’Aspi, della cassa integrazione, l’estensione della tutela della maternità e il rafforzamento dell’agenzia per l’occupazione) sono stati varati un mese fa.

Per valutarne gli effetti tangibili occorrerà tuttavia attendere almeno giugno secondo le previsioni del Centro studi di Unimpresa, che pure stima in circa 250 mila nuove assunzioni quelle che entro fine anno potrebbero essere registrate grazie alla nuove norme precisando al tempo stesso che non si tratterà al 100% di “nuova occupazione” ma in gran parte di una stabilizzazione di precari e dell’emersione di forme di lavoro nero. Intanto però a febbraio la disoccupazione è risalita al 12,7% dal 12,6% di gennaio, gli occupati sono diminuiti di 44.000 unità in un mese, con un calo che ha colpito i particolare le donne (-42.000 occupate su gennaio) e i giovani nella fascia tra i 15 e i 24 anni (-34.00 occupati) mentre per gli uomini nel complesso l’occupazione si è mantenuta stabile sul mese aumentando di 95.000 unità rispetto a febbraio 2014. Il timore è dunque che per le fasce più deboli del mercato del lavoro non sia cambiato assolutamente nulla rispetto a prima, se non in peggio.

Per rilanciare la crescita in un paese come l’Italia in cui il peso del settore pubblico rimane superiore al 50% del Pil tanto più in assenza della possibilità di finanziare la ripresa attraverso il varo di imponenti (e utili) opere pubbliche (la figuraccia rimediata con l’Expo 2015, che in parte non sarà terminato in tempo e già ha visto avviare una serie di indagini per casi di corruzione è solo l’ultimo esempio in ordine cronologico di come lo stato “imprenditore” non sia mai stato in Italia in grado di dare una buona prova di sé, del resto) è poi necessaria una seria riforma della Pubblica amministrazione. Su questo fronte il governo è in ritardo di circa un anno dato che la riforma (ddl Madia), che avrebbe dovuto essere varata nell’aprile dello scorso anno, ha in realtà iniziato il suo iter solo dopo l’estate ed in questi giorni ha appena ottenuto il primo via libera dalla commissione Affari costituzionali del Senato che ne ha concluso l’esame e approvato il testo, in larga parte rivisto, dopo sette mesi di lavoro.

Ora il ddl Madia dovrà approdare in aula e una volta varato dovrà superare anche il test della Camera: in nessuno dei due rami del Parlamento è scontata l’approvazione del testo appena licenziato, stante le inevitabili resistenze su punti qualificanti, ma politicamente sensibili, come il superamento degli automatismi nei percorsi di carriera o la licenziabilità dei dirigenti rimasti privi di incarichi (dopo un periodo di “disponibilità” ad altri incarichi). Qualche risultato migliore è stato ottenuto sul fronte dello sblocco di 68 miliardi di pagamenti arretrati della Pa: a fine gennaio erano stati pagati 36,5 miliardi (su 42,8 miliardi resi disponibili agli enti debitori), ma il dato comprende 22,8 miliardi di arretrati già saldati dai governi Monti e Letta, dunque il governo Renzi può vantare il pagamento di soli altri 13,7 miliardi.

Quanto alla “spending review” l’attuale Legge di Stabilità prevede per quest’anno solo 3 miliardi di euro di risparmi, destinati a raddoppiare l’anno prossimo. Ma il governo Letta, che aveva affidato a Carlo Cottarelli il compito di capire dove si potesse tagliare, aveva preventivato per il 2016 ben 16 miliardi di risparmi: i 10 miliardi di differenza dovranno appunto essere recuperati ora o scatterà dal primo gennaio del prossimo anno la prevista “clausola di garanzia”, appunto il rincaro dell’Iva dal 22% al 24%, aumento che tutto farebbe meno che incentivare consumi e ripresa. Già che siamo in tema di fisco, la relativa riforma, varata nel maggio dello scorso anno, con appena il 15% della delega che è stata finora attuata, dopo lo stop al decreto di Natale “sospeso” a causa della controversa norma che fissava il 3% rispetto agli attivi di bilancio come soglia come rilevante per valutare il reato di falso in bilancio e quindi di evasione fiscale.

Una norma che, guarda caso, avrebbe fatto cancellare la condanna per falso in bilancio del processo Mediaset che ha colpito l’ex presidente del consiglio Silvio Berlusconi (di fatto consentendone un ritorno sulla scena politica), una “coincidenza” che a molti era parsa essere una "contropartita” all’appoggio dato sino a quel momento da Forza Italia al governo. In compenso il decreto sul “bonus Irpef” (i famosi 80 euro in più per i lavoratori dipendenti) è stato convertito in legge lo scorso giugno, ma non sembra ha ancora prodotto alcun apprezzabile cambiamento nella propensione alla spesa degli italiani. Non c’è riuscita neppure la rimodulazione (ossia l’aumento) della tassa sulle “rendite finanziarie”, portata dal 20% al 26% (confermando però al 12,5% sui titoli di stato, giusto per confermare che quando si tratta di cercare soldi per coprire le proprie spese nessun governo conosce il concetto di “fair play”).

Una manovra che ha colpito tutte le forme di risparmio, anche quello previdenziale, e che con la scusa di “incentivare” indirettamente investimenti e consumi (disincentivando fiscalmente il risparmio) attuali rischia di pesare sul futuro di un’intera nazione, ma tant’è. A proposito di investimenti  pubblici (necessari): il piano per l’edilizia scolastica ha visto stanziati 1,1 miliardi per il biennio 2014-2015 e a breve il Ministero dell’istruzione università e ricerca (Miur) dovrebbe presentare l’Anagrafe dell’edilizia Scolastica, così da avere per la prima volta in Italia una vera e propria “fotografia” completa degli edifici scolastici, molti dei quali continuano ad aver bisogno di tetti che non perdano, impianti di riscaldamento funzionanti e infissi a prova di spiffero, quanto meno. La sensazione è che con i fondi stanziati non si riuscirà a riparare neppure tutti gli edifici, ma il premier continua a mostrarsi sorridente e a parlare di banda larga e wi-fi free, il che fa molto “giovane” e molto “high tech” ma "forse" è un poco velleitario e rischia di premiare alcuni istituti a discapito di tutti gli altri (dando quando meno luogo a sospetti in merito ai criteri di selezione che potranno essere adottati).

C’è infine il capitolo privatizzazioni per il quale, tanto per cambiare, per ora si è visto poco o nulla: lo scorso anno sono state collocati il 27,5% di Fincantieri (per 350 milioni di euro) e il 35% di Rai Way (per 280 milioni), oltre al 35% di Cdp Reti (che controlla Snam e Terna), ceduto ai cinesi di Shanghai Electric Corporation per 2,1 miliardi; quest’anno posto che il Tesoro ha già fatto sapere di non voler scendere sotto il 51% di Rai Way (sulla quale Ei Towers ha lanciato una controversa Opa che appare ormai su un binario morto),ci sarebbero da collocare, come anticipato dal ministro delle Finanze Pier Carlo Padoan, il 40% di Poste, del 49% di Enav e una partecipazione “non lontana dal 40% di Fs”. Per ora comunque si è preferito fare cassa collocando un altro 5,7% di Enel che ha fruttato un incasso di circa 2,2 miliardi. Visto però che dalle privatizzazioni si contava di incassare almeno 9 miliardi anche su questo fronte il governo Renzi appare molto in ritardo, o molto velleitario, a seconda dei punti di vista. Cambierà qualcosa col nuovo Def o saremo alle solite con una nuova pioggia di annunci cui non seguirà, se non in minima parte, alcun atto concreto?

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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