“Preiti ha sparato per conto della ‘ndrangheta”. Parla il pentito Bonaventura

Claudio Messora, responsabile della comunicazione del Movimento 5 Stelle al Senato, ha pubblicato sul sito Byoblu una lunga intervista al collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura – realizzata il 15 maggio scorso – in merito al gesto di Luigi Preiti, il calabrese disoccupato che il 28 aprile scorso aprì il fuoco verso due carabinieri davanti a Palazzo Chigi. Bonaventuta esordisce convinto: "Francamente, a me la storia di Preiti, così come ce l’hanno raccontata, non ha mai convinto. Un disadattato che decide di fare un atto eclatante in segno di disperazione? No, non mi sembra proprio".
Secondo Bonaventura dietro al gesto di Preiti ci sarebbe la ‘ndrangheta. Il muratore calabrese, per la precisione, sarebbe un "corpo riservato": "Sono criminali non necessariamente affiliati o organici all’organizzazione. Persone che possono essere reclutate all’occorrenza per commettere attentati, e che di solito sono pronti a morire nel corso di queste missioni. Persone spesso disperate, ma molto preparate. Dei kamikaze, insomma. Ecco, a me Preiti sembra rispondere perfettamente a questo identikit. E di certo le sue origini potrebbero essere un’ulteriore conferma di questa teoria". Bonaventura continua: "So per certo che la famiglia Preiti è vicino ad ambienti legati alla ‘ndrangheta. E poi non dimentichiamoci che a Rosarno c’è da sempre una situazione un po’ particolare".

Il quadro delineato da Benaventura viene delineato con precisione e ipotizza nientemeno che l'inizio di una stagione di destabilizzazione da parte dell'organizzazione criminale: "Nel 2011, fui abbordato due volte da esponenti della cosca De Stefano-Tegano, [le ‘ndrine che controllano Reggio Calabria, ndr], che cercavano di reclutarmi e di corrompermi. Mi parlarono di un piano del terrore che sarebbe stato messo in atto, un piano contro magistrati e forze dell’ordine, teso a destabilizzare. E si vantarono di avere a disposizione truppe di criminali pronte ad ammazzare e a farsi ammazzare. Ecco, quando ho appreso dell’attentato di Preiti, non ho potuto non ripensare a quegli incontri". E anche l'arma utilizzata da Preiti rientra perfettamente nel ragionamento del pentito: "Si tratta di una 7 e 65 Pietro Beretta, modello A 35, usata già nella Seconda Guerra Mondiale, e spesso data in dotazione alle forze dell’ordine. La canna è facilmente estraibile: basta aprire il carrello, e con un colpo la si fa uscire; ed è per questo che è comoda anche da sostituire, ad esempio con una calibro 9 corto. È l’arma preferita dalla ‘ndrangheta, che infatti quando vuole lasciare una firma, spara sempre con quel modello lì, anche perché di fatto non si inceppa mai. Ha un solo difetto: non è molto precisa. E questo la dice lunga sulle capacità di questo Preiti, che va bersaglio quattro volte sparando sette colpi. Un’efficienza incredibile: io con quell’arma ho sparato decine di volte, e le assicuro che non è facile andare a bersaglio con tanta precisione, soprattutto in una situazione così concitata come quella, e soprattutto per uno che dice di aver mai sparato prima".
Dunque, secondo Bonaventura, Preiti avrebbe sparato per conto della ‘ndrangheta, con l'intento di lasciare un messaggio preciso "a tutta la politica". "Quando la ‘ndrangheta alza il tiro – spiega Bonaventura – è sempre perché vuole arrivare ad aprire una trattativa. Che ormai è una parola abusata. Quando si parla di trattativa si pensa spesso, perché così ci hanno abituato a fare, ad un grande tavolo in cui tutti si riuniscono per prendere chissà quali accordi. In Italia la trattativa si vive ogni giorno, tra lo Stato e le mafie: è fatta spesso più di silenzi che di parole, si regge su taciti accordi. Quando si spara, di solito, è perché si vuole arrivare ad una rinegoziazione".