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Elezioni Regionali 2025

Verini (Pd): “Dopo le Regionali scriviamo programma del campo largo, poi sceglieremo candidato premier”

Dopo le elezioni regionali 2025 di Puglia, Campania e Veneto, il senatore del Pd Walter Verini ha risposto alle domande di Fanpage.it sul futuro del campo largo, dal programma comune alla scelta di un leader. Ora, prima delle politiche, resta solo il referendum sulla giustizia. In più, Verini ha parlato della legge elettorale, dell’errore che sarebbe cambiarla ora e di come, nel caso andrebbe modificata.
Intervista a Walter Verini
Senatore Partito democratico
A cura di Luca Pons
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Le ultime elezioni regionali 2025 hanno portato due successi – Campania e Puglia – una sconfitta – Veneto – per il centrosinistra. Walter Verini, senatore del Partito democratico, ha parlato a Fanpage.it dei prossimi passi per la coalizione. Il primo dovrà essere sedersi a un tavolo e scrivere un programma comune. Il secondo, solo più tardi, scegliere il o la candidata premier alle elezioni 2027.

Non sarà semplice, con molti nodi ancora da sciogliere soprattutto sulla politica estera (l'Ucraina). Ma non ci sono altri appuntamenti elettorali su cui concentrarsi da qui ai prossimi due anni, con l'eccezione del referendum sulla giustizia. Verini ha anche parlato dell'ipotesi di cambiare la legge elettorale avanzata dal centrodestra: un errore farlo "a uso e consumo della maggioranza", secondo lui; ma, se si dovesse farlo, bisognerebbe tornare a un sistema maggioritario come il Mattarellum per garantire il bipolarismo.

Senatore, partiamo dalle ultime tre elezioni regionali: tutto secondo i pronostici, avete vinto con ampio margine in Puglia e Campania e perso nettamente in Veneto. Pensa che ci sia un ‘messaggio' al governo in questi risultati?

Facendo un bilancio non propagandistico, credo che siano state una specie di "elezioni di medio termine" e che non siano state affatto rassicuranti per il governo e per la Meloni. La maggioranza parla sempre di un Paese che cresce, di una presidente del Consiglio con grande credito all'estero, di un centrodestra in crescita nei sondaggi, ma il voto si è incaricato di dire il contrario: che questo è un governo che galleggia.

Il centrosinistra e in particolare il Pd hanno ottenuto dei risultati che ci fanno guardare con fiducia alla costruzione dell'alternativa a questa destra. Credo che il centrosinistra sia ai nastri di partenza ora. E la destra ha poco da festeggiare, o da saltellare.

La segretaria del Pd Schlein ha detto: "Siamo pronti a governare, la partita verso il 2027 è apertissima". Il Movimento 5 Stelle, però, è stato molto più ‘tiepido'. Bisogna fare i conti anche con gli alleati?

Io non vedo un'altra opzione rispetto a quella di un'alleanza molto larga. Ho letto le dichiarazioni di Giuseppe Conte, e penso che ci siano due strade da seguire insieme.

Quali?

La prima è creare, tra tutte le forze che si dichiarano disponibili a costruire un programma e una coalizione comune, un tavolo di confronto programmatico serio. Ci sono già molte materie sulle quali le opposizioni combattono insieme: il lavoro, la salute dei cittadini, il futuro delle imprese, temi che interessano la vita vera delle persone, quelle che la Meloni ignora per concentrarsi sulle agenzie di rating.

Poi ci sono alcuni nodi ancora aperti, come è noto. La politica internazionale, soprattutto la questione dell'Ucraina e la stessa idea di Europa. Anche su questo va iniziato un confronto ravvicinato, serio, con la consapevolezza che siamo tutti un po' obbligati, tra virgolette, a trovare una solida intesa programmatica, che renda testardamente credibile la linea testardamente unitaria.

Qual è la seconda cosa da fare?

Prendere esempio anche da esperienze positive passate: penso all'Ulivo. Romano Prodi, che nei fatti era il leader della coalizione, partì un anno prima della campagna elettorale con i comitati L'Italia che vogliamo. Cominciò a costruire dal basso quel clima, che io ricordo: la spinta dal basso, con migliaia e migliaia di persone coinvolte, aiutava a costruire anche i processi dall'alto.

Insomma, ci serve una forte spinta dal basso. Il tutto mentre, in Parlamento, abbiamo tante occasioni per sperimentare e cercare battaglie comuni.

Ha citato Prodi, ma per il momento il campo largo non ha un leader unico. Alle elezioni mancano meno di due anni, e inevitabilmente la questione si porrà. Come andrebbe scelto secondo lei, nella coalizione, l'eventuale presidente del Consiglio?

Il primo passo è che tutte le forze di una coalizione ampia, di centrosinistra, progressista, trovino delle convergenze solide sul programma, inteso in senso ampio. Solo dopo bisognerà decidere qual è la figura più adatta a guidare tale programma. E si troverà un criterio condiviso che metta d'accordo tutti. Il punto è che, politicamente, è difficile dividersi sulla leadership quando hai già fissato dei punti sui programmi e la visione del Paese. "Ma come", si direbbe, "vi siete messi d'accordo su tutto e vi spaccate su questo?".

Concretamente, però, come pensa che si dovrebbe procedere a quel punto, una volta messo in chiaro il programma?

Ci sono diverse possibilità. Una sono le primarie di coalizione, che se partono da un programma condiviso possono essere una competizione leale, di mobilitazione, non di divisione, in cui si dice "vinca il migliore" e poi gli altri avranno certamente altri ruoli nella leadership collettiva. Oppure c'è il criterio del partito che prende più voti. L'essenziale è che non si può partire subito da un nome, che magari rischia di dividere.

Si sta parlando molto anche della volontà della destra di cambiare la legge elettorale. Il M5s ha detto che vorrebbe modificarla per andare verso il proporzionale, mentre dal centrodestra non c'è ancora una proposta precisa. Schlein ha ribadito che le priorità del Pd ora sono altre – la legge di bilancio e i bisogni degli italiani – ma se si arriverà a discuterne, quale sarà la vostra posizione?

Penso che oggi parlare di legge elettorale sia rischioso. Perché, come spesso capita, ne parla chi vuole modificarla a proprio uso e consumo, ovvero la destra. Io sono contrario a toccarla e sono d'accordo con Schlein che le priorità sono altre. Quelle sociali, ma anche la situazione internazionale, con le speranze per l'Ucraina che sta vivendo momenti davvero drammatici, e che meriterebbe una maggiore mobilitazione delle coscienze.

Dopodiché, se si dovesse entrare nel merito, ripetendo che è sbagliato cambiare legge elettorale a uso e consumo della maggioranza, io ho le mie posizioni. Penso che ci servirebbe una legge che garantisca il bipolarismo, perché questo Paese deve puntare ad avere un bipolarismo maturo, in cui gli schieramenti si riconoscono nelle regole e si combattono nel merito dei programmi, cosa che oggi non è.

Qualcuno parla di eliminare i collegi. Al contrario: dovremmo tornare al Mattarellum, semmai, cioè a una legge che avvicina i parlamentari alle e ai cittadini, in collegi piccoli, dove i partiti o le coalizioni sono portati a candidare le le figure più conosciute, più capaci, più competitive, il cui lavoro può essere poi controllato più da vicino dai cittadini, proprio per la dimensione dei collegi.

Il terzo punto, secondo me, è che la legge elettorale non può essere l'elemento che allontana dalle urne. Qualcuno dice che le preferenze permetterebbero di avvicinare gli elettori: non prendiamoci in giro, l'astensionismo ci dice che sta prevalendo soltanto il voto più organizzato, sta scomparendo il voto di opinione. Quindi le preferenze con un sistema proporzionale rischiano, secondo il mio punto di vista, di favorire il voto organizzato e le clientele. Questo è negativo, per me.

Queste elezioni regionali sono stato l'ultimo appuntamento al voto prima del 2027. L'anno prossimo, però, ci sarà il referendum sulla giustizia. Anche quello va visto come uno scontro tra governo e opposizioni?

In ogni caso l'esito avrà ripercussioni politiche. Se vincesse il Sì, la destra direbbe che ha avuto un incoraggiamento dagli elettori. Se vincesse il No, come noi auspichiamo, sarebbe un colpo per il governo e un carburante per chi si schiera per il No come noi.

Detto questo, l'appuntamento ha un grande valore politico ma non dobbiamo farne una battaglia di fine mondo. Dobbiamo spiegare ai cittadini con serenità e incisività il merito della questione. Ovvero, che la legge proposta non si occupa minimamente dei problemi veri della giustizia che i cittadini patiscono: la durata dei processi, il personale che manca, le sedi, la stabilizzazione dell'ufficio del processo.

In più, oltre a essere una riforma inutile, la separazione delle carriere – che già esiste nei fatti – è un pretesto per dare un colpo all'indipendenza della magistratura. Anche questo dovremo spiegarlo. Non è fascismo, ma non c'è dubbio che questa destra (in Italia, in Ungheria, negli Stati Uniti con Trump) vuole uscire dalla crisi della democrazia demolendola ancora di più.

Gli attacchi all'indipendenza della magistratura, il fastidio per i controlli (penso alla Corte dei Conti e al Ponte sullo Stretto), le critiche al Quirinale, il fastidio per il Parlamento che viene sistematicamente espropriato dalla possibilità di fare il suo lavoro, il fastidio per i contropoteri come il giornalismo d'inchiesta, e anche voi di Fanpage ne sapete qualcosa. La destra vuole ridimensionare questi pilastri della democrazia liberale.

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