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Covid 19

Vaccino Covid ai bambini, i dubbi degli esperti: “Perché non somministrarlo prima ai poveri?”

Un gruppo do esperti, tra cui l’epidemiologa Sara Gandini, ha sollevato alcuni dubbi sui vaccini ai più piccoli: “Al momento non si vede l’urgenza di vaccinare i giovani, mentre è molto più urgente vaccinare i tanti anziani e fragili che, per diversi motivi a loro non imputabili, non hanno avuto accesso al vaccino o non sono ancora riusciti a prenotarsi sulla piattaforma”.
A cura di Annalisa Cangemi
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L'Aifa, l'Agenzia Italiana del Farmaco, è pronta a dare il via libera al vaccino anti-Covid Pfizer per i ragazzi tra i 12 e 15 anni, dopo la decisione dell'Ema di venerdì 28 maggio. L'agenzia europea ha fatto sapere che "Gli effetti di Comirnaty sui adolescenti sono stati studiati in 2.260 ragazzi di età compresa tra 12 e 15 anni. Lo studio è stato condotto in conformità con il piano di indagine pediatrica (Pip) della Comirnaty, approvato dal Comitato pediatrico dell'Ema". Lo studio, è stato spiegato, "ha dimostrato che la risposta immunitaria a Comirnaty in questo gruppo è paragonabile alla risposta immunitaria nella fascia di età compresa tra 16 e 25 anni (misurata dal livello di anticorpi contro SARS-CoV-2)".

Ma l'epidemiologa Sara Gandini, insieme ad un gruppo di esperti, ha sollevato alcune perplessità. In un articolo, firmato da diversi studiosi, viene sollevato il problema della vaccinazione dei più piccoli. Il testo cita le parole delle Direttore esecutivo dell'OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus: "Nei paesi ricchi si propone ai bambini e agli adolescenti il vaccino, mentre gli operatori sanitari nei paesi poveri non ne hanno". E ancora: "In una manciata di paesi ricchi che hanno acquistato la maggior parte della fornitura di vaccini, i gruppi a basso rischio vengono ora vaccinati".

Ghebreyesus invita gli Stati più ricchi a donare i farmaci anti Covid non destinati alle categorie a rischio a Covax, il progetto (gestito da OMS e altre organizzazioni) che mira a garantire che i Paesi in via di sviluppo abbiano accesso ai vaccini. "Finora oltre 53 milioni di dosi di vaccini Covid-19 sono stati spediti in 121 Paesi e territori partecipanti. Al momento, ha spiegato il portavoce OMS, solo lo 0,3% delle forniture globali di vaccini è andato ai Paesi a basso reddito, che ospitano il 9% della popolazione mondiale. In alcune parti del mondo le persone a rischio potrebbero non essere immunizzate fino al 2024, quindi bisogna destinare i vaccini a chi è più in pericolo piuttosto che ai bambini, il cui rischio di ammalarsi è veramente basso, ha sottolineato".

Lo scorso 19 maggio il ministro Speranza ha dichiarato: "Vaccinare i giovani è altamente strategico ed è essenziale per la riapertura in sicurezza del prossimo anno scolastico".

"Tuttavia – dicono gli studiosi – da vari studi pubblicati in Italia e all’estero e dagli screening effettuati nelle scuole sappiamo che esse sono uno dei luoghi più sicuri. Si stima che sotto i 20 anni la suscettibilità all'infezione sia circa la metà rispetto a chi ha più di 20 anni. La mortalità tra 0 e 20 anni per Covid-19 corrisponde a 0,17 per 100.000 abitanti, pari a un duecentesimo della mortalità totale stimata per tutte le cause in un anno normale. Il numero di vaccini da usare (NNT) per i bambini è di circa 14.000 per evitare un caso severo di malattia Covid-19 e per evitare un decesso si parla di circa 500.000".

In pratica, spiega Sara Gandini a Fanpage.it, negli anziani gli evento gravi sono tanti, "per cui per salvarne uno basta vaccinare poche persone. Mentre nei giovani gli eventi gravi da Covid sono rarissimi per cui per salvarne uno devi vaccinare decine di migliaia di giovani. Il numero di persone da trattare è una misura di efficacia che si usa in epidemiologia. Con quel numero di vaccini salveremmo molte più persone se li mandassimo nei paesi in via di sviluppo".

"I pronunciamenti del Ministero e di molti rappresentanti istituzionali vanno invece nella direzione di condizionare la riapertura delle scuole in presenza solo a una massiva vaccinazione di categorie che sono a basso rischio di infezione e contagio e a rischio trascurabile di morbidità, introducendo un chiaro vulnus democratico – si legge ancora nell'articolo – Mai prima la medicina ha chiesto tanto: vale la pena ricordare che i trattamenti medici si somministrano per la tutela della salute individuale, senza poter essere imposti per il solo interesse alla salute collettiva, tanto più nel caso dei minori".

"Data la bassa incidenza, la bassa gravità della malattia nelle fasce pediatriche e il fatto che le scuole non hanno un ruolo rilevante nella trasmissione del SARS-CoV-2, anche con le nuove varianti, e quindi i limitati benefici che i vaccini potrebbero avere per la collettività, al momento non si vede l’urgenza di vaccinare i giovani, mentre è molto più urgente vaccinare i tanti anziani e fragili che, per diversi motivi a loro non imputabili, non hanno avuto accesso al vaccino o non sono ancora riusciti a prenotarsi sulla piattaforma. Inoltre, seppur questi dati siano preliminari, nei Paesi dove si è raggiunta un’alta copertura vaccinale (UK, Israele) la curva dei contagi è stata abbattuta anche senza la vaccinazione degli under 16".

"Al contrario – continuano gli studiosi – a fronte di benefici minimi nei giovani, c’è comunque la possibilità seppur remota di eventi avversi conosciuti e comuni, anche se probabilmente in gran parte reversibili. La vigilanza post-marketing delle vaccinazioni è iniziata da poco; le informazioni su eventi rari ma pericolosi si potrebbero presentare nel corso degli anni. L'approvazione per uso emergenziale di FDA è basata su circa 1000 bambini fra i 12-15 anni e quindi le informazioni di sicurezza che se ne possono dedurre non possono escludere eventi avversi rari, con un'incidenza inferiore a 1/500″.

Nonostante i pochi dati sugli effetti collaterali rari sui bambini, Ema ha considerato che "i benefici del vaccino Pfizer in bambini di età tra i 12 e i 15 anni superino il rischio, specificamente per i minori che presentano condizioni tali da determinare il rischio di sviluppare un COVID serio". Secondo gli esperti, quando si parla di obbligo, il bilancio tra rischi e benefici attesi andrebbe stabilito da un’analisi condotta sul lungo periodo.

"I vaccini contro la Covid-19 effettuati nelle fasce di età adulta stanno riducendo i casi gravi di malattia e la mortalità nella popolazione. La loro somministrazione dovrebbe continuare a proteggere prima di tutto le fasce a rischio, per le quali la malattia può essere grave e letale, inclusi i soggetti in età pediatrica che sono particolarmente esposti a causa di patologie concomitanti", concludono gli esperti.

Hanno collaborato all'articolo:

Sara Gandini, epidemiologa

Daniele Novara, pedagogista

Maria Luisa Iannuzzo, medico legale

Marco Cosentino, medico farmacologo

Maurizio Rainisio, statistico

Raffaele Mantegazza, pedagogista

Ilaria Baglivo, biologa

Maurizio Matteoli, pediatra

Emilio Mordini, psicanalista

Gilda Ripamonti, giurista

Olga Milanese, avvocato

Elena Dragagna, avvocato

Marilena Falcone, ingegnere

Francesca Capelli, sociologa

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