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Stop al segreto salariale, si potrà sapere lo stipendio medio dei colleghi: la nuova direttiva Ue

Una nuova direttiva europea approvata a maggio prevede che l’azienda – pubblica o privata – faccia sapere ai suoi dipendenti quanto prendono in media i colleghi che svolgono la stessa mansione, per promuovere la trasparenza salariale. La norma dovrà essere adottata dall’Italia entro il giugno 2026.
A cura di Luca Pons
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Dall'Unione europea arriva una nuova direttiva rivolta al mondo del lavoro, e in particolare al problema della trasparenza dei salari. Si tratta dello stesso testo che prevede l'obbligo di scrivere lo stipendio offerto in un annuncio di lavoro, già in discussione da più di due anni ma arrivato all'approvazione solo lo scorso maggio: è la direttiva 2023/970, il cui obiettivo principale è rafforzare la parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro, o per un lavoro di pari valore. E per farlo si introducono diversi meccanismi di trasparenza retributiva.

La direttiva ha ricevuto il via libera il 10 maggio di quest'anno, ma non trattandosi di un regolamento i vari Stati membri dovranno varare delle leggi per adottarla. L'Italia avrà tempo fino al 7 giugno del 2026 per farlo.

La direttiva parte dal dato che, nell'Unione europea, in media le donne hanno uno stipendio più basso del 13% rispetto agli uomini. E tra i meccanismi che si introduce c'è il divieto del cosiddetto ‘segreto salariale'. Cioè, i lavoratori di un'azienda dovranno essere messi nella condizione di sapere lo stipendio medio dei colleghi che svolgono le loro stesse mansioni. In questo modo – è il ragionamento – sarà più facile per le lavoratrici accorgersi di eventuali disparità e chiederne conto, e dall'altra parte i datori di lavoro saranno incentivati ad equiparare le paghe per persone che hanno lo stesso impiego.

Nel concreto, l'azienda dovrà fornire informazioni sia sulla retribuzione individuale di chi fa la richiesta, sia sullo stipendio medio di chi svolge la stessa mansione. Quest'ultimo dato dovrà essere diviso per genere. Salterà subito all'occhio, quindi, se in media le donne che ricoprono una certa posizione guadagnano meno degli uomini loro pari. Questa trasparenza andrà sempre applicata, non ci sarà clausola che tenga: nessun contratto potrà vietare ai dipendenti di divulgare il loro stipendio, né di chiedere informazioni sugli stipendi.

La richiesta di avere queste informazioni potrà partire da un singolo lavoratore, oppure dai sindacati o gli organismi aziendali dedicati alla parità. L'azienda avrà al massimo due mesi di tempo per rispondere, senza eccezioni. In caso di imprecisioni o informazioni non complete, si potranno chiedere ulteriori dettagli. I nuovi obblighi saranno in vigore per tutti, sia nel settore pubblico che nel settore privato. E non ci sarà distinzione tra tipologie di dipendenti: come si legge nel testo, la direttiva si applica "a tutti i lavoratori che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro".

Infine, se emerge che un lavoratore o una lavoratrice ha subito una discriminazione salariale legata al proprio genere, può scattare una richiesta di risarcimento In casi simili, starà al datore di lavoro dimostrare che non sono state violate norme sulla trasparenza e l'equità degli stipendi. L'eventuale risarcimento dovrà includere sia "il recupero integrale delle retribuzioni arretrate e dei relativi bonus", sia "il risarcimento per le opportunità perse, il danno immateriale, i danni causati da altri fattori pertinenti", e infine "gli interessi di mora". Le norme, come detto, non sono immediatamente valide: l'Italia ha poco meno di tre anni (fino al 7 giugno 2026) per adottarle tutte con varie leggi e regolamenti.

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