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Se rischi la vita in mare per una vita migliore te ne freghi di Musumeci e dei politici

Con l’emergenza sanitaria in corso, ora più che mai l’appartenenza politica, la tessera di partito, i sondaggi di Rousseau, i ‘comunisti col Rolex’ e via dicendo non c’entrano niente. La questione non è proprio se vogliamo i migranti, se è marxista volerli o meno. I migranti arrivano, punto e basta. Se ne fregano di Marx, di Musumeci, della destra e della sinistra. E se ne fregano perché ciò da cui scappano, o più semplicemente, ciò che inseguono e sognano in Europa, è più importante, più impellente, più una questione di vita o di morte del Covid-19, del mare, delle guardie costiere, del razzismo, delle ordinanze, delle campagne elettorali, e delle buffonate politiche.
A cura di Stela Xhunga
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Uno del Pd, uno del Movimento 5 stelle, sono due i sindaci che negli scorsi giorni hanno vietato lo sbarco della nave Snav Aurelia, adibita a quarantena per 250 migranti di cui una ventina positivi al Covid-19. Il primo “no” è arrivato da Giacomo Tranchida, Sindaco dem di Trapani, il secondo dalla sindaca M5S di Augusta, Cettina Di Pietro, che ha tenuto a specificare: "per tutelare la salute dei miei concittadini, nessuna delle persone a bordo, equipaggio o migranti, potrà scendere a terra. Può apparire una decisione forte, ma ho la responsabilità di assicurare le massime condizioni di sicurezza sanitaria". E ha aggiunto che "Nello Musumeci non ha fornito alcuna indicazione certa, noi sindaci siamo soli davanti all’emergenza". A dire il vero, nemmeno con questa ordinanza, per quanto urlata ai quattro venti, fornisce indicazioni certe circa l’effettiva praticabilità: tolti dagli hotspot, dove verranno mandati i migranti, visto che molti sono richiedenti asilo e in attesa del vaglio della propria posizione? E con quali poteri il presidente di una Regione può arrogarsi il diritto di trasferire dei migranti in un'altra Regione? Mistero. L'impressione è che il provvedimento, volutamente impraticabile e destinato a essere annullato dalle autorità competenti, miri piuttosto a far passare Musumeci come colui che voleva liberare la Sicilia ma non glielo hanno permesso. E nel frattempo, creare un diversivo per la gestione "allegra", forse troppo allegra dei flussi turistici sull’isola.

In effetti sarebbe interessante anche soltanto capire perché, con un'ordinanza del 9 agosto, la Regione Sicilia abbia stabilito che ogni migrante sbarcato deve essere sottoposto al tampone oro-faringeo, senza estendere la precauzione negli aeroporti siciliani per i passeggeri provenienti dai paesi a rischio. Chissà dov'era Musumeci quando il presidente del Consiglio superiore di sanità, Franco Locatelli, al netto delle criticità nella gestione dell’accoglienza dei migranti, definiva "minimale" il peso loro sui nuovi casi diagnosticati, e quando l’Iss, su un campione di quasi 2.000 casi diagnosticati tra il 13 luglio e l’11 agosto sui luoghi di esposizione al contagio, rilevava che circa un infetto su tre si era contagiato all’estero, mentre uno su quattro in ambito familiare, e che l'aumento di casi era per lo più asintomatico e tra i "cittadini italiani in seguito a viaggi in aree con una più elevata circolazione virale o con misure di prevenzione meno stringenti di quelle italiane". Nel dubbio, con la stagione estiva agli sgoccioli e la resa dei conti di settembre alle porte, Musumeci ha firmato "un obbrobrio giuridico" subito applaudito da Matteo Salvini e Giorgia Meloni, ma già rispedito al mittente dal Viminale, inscenando il "peggio che la politica italiana abbia prodotto in questi mesi di emergenza legata al coronavirus".

I migranti se ne fregano di Musumeci o di Marx, e fanno bene

Con l’emergenza sanitaria in corso, ora più che mai l’appartenenza politica, la tessera di partito, i sondaggi di Rousseau, i ‘comunisti col Rolex’ e via dicendo non c’entrano niente. La questione non è proprio se vogliamo i migranti, se è marxista volerli o meno. I migranti arrivano, punto e basta. Se ne fregano di Marx. E se ne fregano del virus, perché ciò da cui scappano, o più semplicemente, ciò che inseguono e sognano in Europa, è più importante, più impellente, più una questione di vita o di morte del Covid-19, del mare, delle guardie costiere, del razzismo, delle ordinanze, delle campagne elettorali, delle buffonate politiche. A seguito di sconvolgimenti nel continente africano e in Medio Oriente, siamo di fronte a un flusso migratorio di portata epocale iniziato ben prima della pandemia, e che non è possibile fermare, in alcun modo, nemmeno pagando i carcerieri libici, come facciamo dal 2016, da quando l’allora ministro dell'interno Marco Minniti avviò le trattative con i libici. In base ai dati diffusi dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) in un’audizione in videoconferenza al Parlamento europeo del 27 aprile, in Libia si trovano attualmente 650 mila stranieri, di cui oltre 48 mila richiedenti asilo registrati dalle Nazioni Unite. Ai quali vanno aggiunti più di 370 mila libici sfollati internamente, e 450 mila rientrati nel paese di recente. In questa situazione, si legge nel dossier "Focus Migrazioni internazionali – Osservatorio quadrimestrale n. 38 gennaio – aprile 2020" promosso da Senato, Camera dei deputati e Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale della Repubblica italiana:

" il Governo di accordo nazionale (GNA) di Tripoli – riconosciuto dalla Nazioni Unite e guidato da Fayez Al-Serraj e in conflitto (in cui è sostenuto soprattutto dalla Turchia) con le forze dell’Esercito nazionale libico del generale Khalifa Haftar (appoggiato da Arabia saudita, Emirati arabi uniti, Egitto, Russia e, in parte, Francia) – decideva ad aprile di inviare trenta medici in Italia per contribuire alla lotta contro il Covid-19. Dall’inizio di aprile, centinaia di migranti hanno preso la via del Mar Mediterraneo, lasciandosi alle spalle un teatro di orrori, continue violazioni dei diritti e soprusi, in direzione di paesi che, come l’Italia e Malta, hanno nel frattempo dichiarato i loro porti "non sicuri" a causa della pandemia in corso, chiudendo i confini sulla rotta del Mediterraneo centrale".

Ora la questione è: fingere che i problemi non esistano, affrontarli, o fingere di affrontarli alla maniera di Salvini? Se in passato il capitano, "l'euroscettico che diventa europeista quando si tratta di ritirare lo stipendio", non avesse disertato i vertici europei in materia di migrazione con la dedizione con cui oggi annusa formaggi irridendo protocolli e mascherine, forse, avremmo avuto qualche opportunità di costruire politiche migratorie comuni ed efficaci. O quanto meno non avremmo tardato tanto per metterci al tavolo e ridiscutere la Convenzione di Dublino, l’insieme delle norme che da oltre vent’anni determinano i litigi tra paesi Ue in fatto di immigrazione (la Lega ha disertato le 22 riunioni per rinegoziare i patti di Dublino). E d’altro canto, dal promettente discorso di insediamento di Ursula Gertrud von der Leyen, si è fatto poco."Dobbiamo riformare Dublino: è una questione che riguarda la solidarietà (…) La posizione geografica non è la base sulla quale un Paese deve assumersi maggiori responsabilità rispetto all’arrivo dei migranti e ciò – disse lo scorso dicembre 2019 la Presidente della Commissione europea – è uno dei punti fondamentali del nostro programma". Sì, un punto fondamentale, che si è perso nella miriade di punti di sospensione con cui l’Europa rimanda un'azione degna dei princìpi che si è data. In queste ore sui social circola la fotografia di un eritreo sopravvissuto al naufragio del 17 agosto, secondo l’Unhcr e l’Oim, il peggiore dell’anno in termini di decessi del 2020. Ha il viso deformato, bruciato dalle ustioni infertegli in Libia. Con tutta probabilità se ne frega di Musumeci, di Marx, della destra e della sinistra. E fa bene.

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