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Se sei una madre single in Italia sei più a rischio povertà: il rapporto Save the Children

Il nuovo rapporto di Save the Children svela l’ennesima fotografia impietosa della condizione delle madri in Italia: povertà, lavoro povero, solitudine e politiche inefficaci continuano a colpire soprattutto le donne che crescono figli da sole.
A cura di Francesca Moriero
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Nonostante le donne costituiscano il 49,7% dell'umanità, la loro rappresentanza in posizioni di potere e la loro partecipazione economica rimangono significativamente sproporzionate. In Italia essere madre è, troppo spesso, ancora, sinonimo di rinuncia. Rinuncia alla carriera, a un reddito stabile, talvolta perfino all'autonomia. Il nuovo rapporto di Save the Children restituisce con chiarezza la portata di una penalizzazione strutturale che colpisce milioni di donne. Sono, infatti, oltre 2 milioni le madri che ogni giorno tentano di tenere in equilibrio lavoro e cura, in un Paese che, come dimostra il rapporto, continua a non garantire strumenti adeguati per sostenerle. Dopo la nascita di un figlio, per molte di loro inizia una discesa sociale fatta di contratti precari, part-time imposti, stipendi più bassi e una generale difficoltà a rientrare nel mercato del lavoro. La maternità resta dunque un fattore di rischio economico e di esclusione sociale. E quando la madre è sola a crescere i figli, il rischio si trasforma in certezza.

Ecco perché forse, in Italia il 2024 ha registrato un nuovo record negativo delle nascite con soli 370mila nuovi nati, una flessione del 2,6% rispetto all'anno precedente.

La child penalty: quando la maternità costa il lavoro

C'è un termine per descrivere l'impatto che la nascita di un figlio ha sulla traiettoria lavorativa delle donne: child penalty. Un concetto che non è solo statistico, ma profondamente politico. Il rapporto lo mette nero su bianco: dopo la maternità, le donne italiane vedono ridursi drasticamente le opportunità professionali, mentre il mercato del lavoro continua a premiare la genitorialità maschile. Per gli uomini, avere figli coincide spesso con un aumento dell'occupazione e della stabilità contrattuale; per le donne, con un arretramento. Molte madri faticano a rientrare nel mondo del lavoro, e quando ci riescono sono spesso costrette ad accettare impieghi part-time o a termine, in settori sottopagati e senza possibilità di crescita: il part-time involontario colpisce il 38% delle madri con figli piccoli, mentre le dimissioni volontarie tra i neogenitori, principalmente madri, sono significative: il 72,8% delle dimissioni riguarda donne, con il 96,8% di questi casi come scelte volontarie. Le motivazioni principali sono difficoltà nella conciliazione tra vita familiare e lavoro, soprattutto a causa della carenza di servizi e dell'organizzazione del lavoro.

La segregazione occupazionale, dunque, è ancora una trappola: le donne si concentrano in comparti meno retribuiti e meno tutelati, anche perché le politiche pubbliche, finora, non sono riuscite a offrire strumenti concreti di conciliazione tra lavoro e vita familiare.

Disoccupazione e inattività: il doppio divario delle madri

In Italia, il divario di genere nel mercato del lavoro è dunque chiaro: nel 2024 il divario occupazionale tra padri e madri con almeno un figlio minore è di quasi 29 punti percentuali. Tra gli uomini, il 77,8% senza figli è occupato, ma questa cifra sale significativamente al 91,5% tra i padri. Per coloro che hanno un figlio minore, l'occupazione raggiunge il 92,1%, mentre per chi ha due o più figli, la percentuale è comunque alta, pari al 91,8%. La situazione è ben diversa per le donne: il 68,9% delle donne senza figli è attivamente nel mercato del lavoro, ma questa percentuale scende al 62,3% per le madri. La diminuzione è ancora più marcata tra quelle con due o più figli, con una quota di occupazione che arriva al 60,1%. I dati dimostrano un trend preoccupante: mentre la presenza degli uomini nel mondo del lavoro cresce con la paternità, per le donne avere figli è associato a una diminuzione dell'occupazione. In effetti, il 20% delle donne smette di lavorare dopo aver avuto un figlio, una condizione che mette in evidenza l'insostenibilità della conciliazione tra vita professionale e familiare, soprattutto in un contesto di scarsa disponibilità di supporti adeguati.

Non solo: poco più di una mamma single su due, tra i 25 anni e i 34 anni, lavora.

Disparità territoriali e sociali

Il Mezzogiorno è l'area più colpita da disuguaglianze di genere nel lavoro: tra le donne con figli, oltre il 50% delle donne al Sud è fuori dal mercato del lavoro, mentre al Nord la situazione migliora, ma persiste una disparità. Al Nord, poi, l'occupazione maschile è dell'87% per gli uomini senza figli e del 96,3% per i padri, ma tra le donne senza figli è solo 80,2%, e scende al 74,2% per quelle con figli minori. Nel Centro, le differenze sono minori, ma rimangono significative: 74,3% di occupazione tra le donne senza figli, contro il 69,2% per le madri.

Le madri sole: un'emergenza ignorata

Tra le più colpite da questa crisi silenziosa ci sono le madri single: secondo Save the Children, il 30% delle madri italiane vive già oggi in condizioni di povertà, ma la quota cresce in modo allarmante tra le famiglie monogenitoriali. Circa il 20% delle famiglie con figli è formato da una madre sola, e per queste donne l'intera responsabilità economica, organizzativa e affettiva grava sulle proprie spalle. Il futuro, peraltro, non promette miglioramenti: si stima che entro il 2043 il numero di madri single potrebbe superare i 2,3 milioni. Senza un intervento strutturale, questo gruppo continuerà, come sottolinea il rapporto, a rappresentare uno dei nuclei più vulnerabili della società italiana. A oggi, l'assenza di un/una partner non è compensata da un sistema pubblico che sappia davvero sostenere chi è solo. Le politiche attuali non rispondono poi alla specificità di questa categoria, creando un circolo vizioso in cui povertà e esclusione si alimentano a vicenda.

Servizi per l'infanzia: la coperta corta

Il nodo dei servizi educativi per la prima infanzia è centrale: la qualità e la disponibilità di asili nido sono fattori determinanti per consentire alle donne di lavorare. Eppure, in Italia, solo un terzo dei bambini tra 0 e 3 anni ha accesso a servizi adeguati. Questo significa che due bambini su tre, e le loro madri, restano esclusi da una rete fondamentale per la conciliazione. Il divario, naturalmente, non è uguale per tutti: le famiglie a basso reddito, le donne sole, quelle residenti al Sud sono le più penalizzate. La mancanza di asili pubblici e l'alto costo di quelli privati rendono l'accesso diseguale e limitano il diritto al lavoro per moltissime donne. Senza servizi, la maternità si trasforma in un ostacolo insormontabile, non solo per l'autonomia economica, ma anche, ovviamente, per il benessere dei figli stessi.

Cosa serve davvero: le proposte di Save the Children

Il rapporto non si limita alla denuncia, ma avanza anche una serie di proposte chiare: al primo posto c'è l'estensione del congedo di paternità, oggi ancora troppo breve e poco utilizzato. Per cambiare davvero le cose la cura dei figli deve smettere di essere una responsabilità esclusivamente femminile. Serve poi un potenziamento massiccio dei servizi per l'infanzia, con l'obiettivo dell'universalità e dell'accessibilità; non bastano, dunque, bonus una tantum o interventi spot: occorrono investimenti stabili e strutturali. Save the Children chiede anche misure specifiche per sostenere le madri single, come aiuti economici dedicati e strumenti flessibili per l’accesso al lavoro. Attenzione particolare va riservata poi alle donne che lavorano in settori fragili, come quello del lavoro domestico, spesso invisibile e privo di tutele. Il cambiamento, come sottolineato, passa da politiche pubbliche più inclusive, capaci di intercettare le reali esigenze delle madri, a partire da quelle più esposte.

Il ritratto che emerge dal rapporto è dunque quello di un Paese ancora incapace di costruire un modello di maternità sostenibile. Le madri italiane, oggi, vivono in bilico, tra redditi insufficienti, orari di lavoro impossibili, mancanza di servizi e solitudine istituzionale. La maternità non dovrebbe certo essere una prova di resistenza, né un lusso per chi può permetterselo. Ma una scelta libera, sostenuta e riconosciuta.

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