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Sanità, Gimbe: “Assistenza territoriale è in forte ritardo e troppo diseguale tra le Regioni”

A poco più di un anno dalla scadenza finale del PNRR, il monitoraggio della Fondazione Gimbe rivela un’Italia sanitaria ancora a due velocità: se da un lato le scadenze formali vengono infatti rispettate, dall’altro l’attuazione concreta delle riforme procede lentamente, con forti diseguaglianze regionali e il rischio di un bilancio finale fatto di strutture incomplete e obiettivi solo apparenti.
A cura di Francesca Moriero
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Il 31 marzo 2025 è arrivato senza scadenze europee da rispettare per la Missione Salute del PNRR, e l'unica prevista a livello nazionale è stata formalmente raggiunta. Ma nonostante la puntualità, il giudizio complessivo resta severo: "Al 31 marzo 2025", dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE, "per la Missione Salute del PNRR non era prevista alcuna scadenza europea e l'unica scadenza nazionale è stata rispettata. Tuttavia, al di là del rispetto delle scadenze formali, a poco più di un anno dalla rendicontazione finale, la riforma dell'assistenza territoriale e l'attuazione del Fascicolo Sanitario Elettronico procedono decisamente a rilento, con marcate diseguaglianze tra le Regioni". Il monitoraggio indipendente della Fondazione Gimbe fa dunque emergere una realtà disallineata rispetto agli obiettivi del Piano: da un lato i traguardi intermedi sono stati raggiunti, dall'altro la messa a terra delle riforme resta debole, con evidenti ritardi infrastrutturali e organizzativi.

La riforma dell'assistenza territoriale arranca

Tra i target formali raggiunti c’è quello relativo all'incremento dell'assistenza domiciliare per gli over 65, uno dei capisaldi del nuovo modello di prossimità: "Per il periodo 2021-2025 risultano raggiunti tutti i target previsti: in particolare, al 31 marzo è stato raggiunto il target ‘Nuovi pazienti che ricevono assistenza domiciliare (terza parte)', che prevede un ulteriore incremento dei pazienti over 65 da trattare in assistenza domiciliare, al fine di raggiungere la soglia della presa in carico del 10% della popolazione in quella fascia di età", osserva il Presidente, "Tuttavia persistono grandi disparità regionali, sia nel numero di assistiti a domicilio, sia nella tipologia di servizi offerti". E proprio queste disparità pesano sulla tenuta del sistema. Secondo il report Agenas aggiornato a fine 2024, infatti, solo poche Regioni, Molise, Trento, Umbria e Valle d'Aosta, garantiscono in modo uniforme i servizi previsti su tutto il territorio. Le altre arrancano invece su punti cruciali come la presenza dei medici di base, l'assistenza specialistica e l'erogazione di farmaci e dispositivi, creando un divario che rischia così di vanificare l'idea stessa di equità sanitaria.

Case della comunità: solo il 2,7% pienamente operative

Simbolo della riforma dell'assistenza territoriale, le Case della Comunità (CdC) dovevano rappresentare un nuovo modello di sanità di prossimità, ma oggi, come sottolinea il rapporto, sono ancora poche quelle davvero operative: "Il potenziamento dell'assistenza territoriale", afferma Cartabellotta, "è la chiave per decongestionare ospedali e pronto soccorso e garantire una reale sanità di prossimità. Tuttavia, i dati ufficiali trasmessi dalle Regioni dimostrano che nonostante i fondi già stanziati, il ritmo resta inaccettabilmente lento". Su 1.717 strutture previste, infatti, quasi due terzi non hanno attivato neppure un servizio. Solo il 2,7% può dirsi pienamente funzionante, ossia dotata sia di personale medico che infermieristico. E le differenze tra Regioni sono abissali: se Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto mostrano percentuali positive, molte altre, tra cui sei intere Regioni, non hanno invece ancora attivato nemmeno una CdC.

Ospedali di comunità: nessuno con tutti i servizi attivi

Anche il cammino degli Ospedali di Comunità (OdC) procede lentamente, con numeri ancora più scoraggianti: "Rispetto alle Case della Comunità", commenta Cartabellotta, "lo stato di attuazione degli Ospedali di Comunità appare ancora più indietro: non solo sul piano strutturale, ma anche perché nessuna Regione ha attivato tutti i servizi previsti dal DM 77". Dei 568 OdC previsti, solo 124 risultano aver avviato almeno un servizio. Nessuna Regione ha raggiunto infatti la piena operatività, che richiede standard precisi: presenza medica regolare, copertura infermieristica continua, servizi per pazienti fragili e spazi per la riabilitazione. La maggior parte delle strutture resta quindi sulla carta o parzialmente funzionante, mentre intere aree del Paese sono ancora del tutto prive di questo presidio.

Centrali Operative Territoriali isolate

Una nota positiva arriva dalle Centrali Operative Territoriali (COT), strutture fondamentali per coordinare i servizi sul territorio. Al 31 dicembre 2024, 642 COT risultano operative su 650 previste. Quasi tutte hanno anche contribuito al raggiungimento dei target europei, ma non sembra però bastare: "Rispetto alla fotografia scattata da Agenas cinque mesi fa" commenta ancora il Presidente, "è verosimile ipotizzare che il quadro attuale sia più incoraggiante. Tuttavia, l'attuazione di CdC e OdC procede ancora con una lentezza inaccettabile e a velocità troppo diverse tra le Regioni. E a poco più di un anno dalla scadenza finale del giugno 2026, alcune sono ancora inchiodate al punto di partenza".

Fascicolo Sanitario Elettronico: nessuna regione al 100%

Il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE 2.0) è l'asse portante della sanità digitale italiana, ma il suo sviluppo è segnato da ritardi e adesione limitata da parte dei cittadini: "Senza la piena operatività del FSE su tutto il territorio nazionale e senza il consenso dei cittadini alla consultazione dei documenti", avverte Cartabellotta, "rischiamo di centrare i target solo sulla carta per incassare i fondi, ma di lasciare la digitalizzazione del SSN incompiuta, frammentata e inefficace". Nessuna Regione, al novembre 2024, rende disponibili tutte le 16 tipologie di documenti previste. E solo il 42% dei cittadini ha dato il consenso alla consultazione del proprio FSE da parte dei medici. Una soglia troppo bassa per garantire un utilizzo concreto e utile della piattaforma. In alcune Regioni del Sud l'adesione è quasi nulla, segno di una sfiducia profonda e di una distanza culturale e informativa ancora da colmare: "La scarsa adesione da parte dei cittadini", spiega ancora il Presidente, "soprattutto nelle Regioni del Mezzogiorno, è un segnale preoccupante di sfiducia nella sicurezza dei dati personali e nella reale utilità del FSE".

Quali sono i rischi per Gimbe

A poco più di un anno dalla conclusione del PNRR, la fotografia della Missione Salute è dunque quella di un cantiere ancora aperto, dove molte strutture esistono ma non funzionano, e la disomogeneità tra i territori resta altissima: "A poco più di un anno dalla rendicontazione finale della Missione Salute del PNRR, l'avanzamento di Case e Ospedali di Comunità procede ancora troppo lentamente e con velocità profondamente diverse tra le Regioni. Ma il problema principale è che, oltre ai ritardi infrastrutturali, il ‘pieno funzionamento' delle strutture, requisito indispensabile per la rendicontazione finale, è pesantemente ostacolato dalla carenza di personale sanitario, in particolare infermieristico, una vera emergenza nazionale. Nel caso delle Case della Comunità pesa poi anche l'assenza di un reale coinvolgimento dei medici di famiglia, perno insostituibile dell’assistenza territoriale", Cartabellotta.

Tre, secondo la Fondazione Gimbe, sarebbero i rischi concreti da evitare: non riuscire a rispettare i target europei e dover restituire i fondi, raggiungerli solo formalmente senza sanare le disuguaglianze territoriali, e infine, il più grave, costruire strutture vuote e digitalizzazioni solo teoriche, scaricando il costo sulle generazioni future.

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