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Renzi: “La riforma delle banche è sempre più urgente”

Secondo il premier, la necessità “si è vista nelle ultime ore e nell’ultimo anno”. Padoan: “Serve un sistema sano ed efficiente”.
A cura di Biagio Chiariello
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Secondo il premier Matteo Renzi la riforma del sistema del credito è da fare urgentemente “come abbiamo visto non solo nelle ultime ore ma nell'ultimo anno con la riforma delle popolari". Il riferimento del presidente del consiglio, intervenuto all'Accademia dei Lincei di Roma,  è al decreto salva banche che oggetto delle polemiche degli ultimi giorni di governo, tra Bankitalia e Consob, che ha creato non pochi problemi a diversi investitori, che si sono visti azzerare azioni e obbligazioni subordinate. Tra loro anche Luigi D., il pensionato di 68 anni suicida a Civitavecchia.

Renzi ha comunque difeso il lavoro fatto dal suo esecutivo: “La riforma elettorale, la riforma del Senato, il Jobs act, la riforma della pubblica amministrazione, della giustizia, l'abbassamento sistematico delle tasse e la riforma della scuola e del sistema del credito sempre più urgente come si è visto nelle ultime ore e nell'ultimo anno. Sono otto capitoli di un processo di cambiamento del paese che non è un'invenzione di questo governo ma una priorità della politica da venti anni. Ora è un processo in fase".

 A Renzi ha fatto eco Pier Carlo Padoan: "L'Italia ha bisogno di un sistema finanziario sano ed efficiente per consentire alle imprese di tutte le dimensioni di esprimere appieno il loro potenziale economico. Non possiamo contare più unicamente sul settore bancario per far fronte a tutte le esigenze di finanziamento di tutte le imprese".

Il premier ha quindi ribadito come la crisi economica sia ormai passata: "L'Italia esce da una recessione di tre anni, che poi questo anno la crescita sia dello 0,8% quest'anno e poi il prossimo più dell'uno e qualcosa, è secondario rispetto all'uscita dalla crisi. Finalmente questo Paese si è ripreso il futuro".

Renzi interviene poi nuovamente per difendere il bonus cultura per i 18 anni: "E’ stato visto come una mancia elettorale: è la triste fine di un dibattito su una misura che voleva essere una provocazione culturale e che – ha assicurato – comunque confermiamo, anche perché è un pezzo della scommessa identitaria".

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