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Referendum costituzionale 20 e 21 settembre 2020

Referendum, 183 costituzionalisti spiegano perché voteranno contro il taglio dei parlamentari

“La materia costituzionale non può essere svilita fino a diventare argomento di mera propaganda elettorale” e “il taglio lineare prodotto dalla revisione incide sulla rappresentatività delle Camere e crea problemi al funzionamento dell’apparato statale”: inizia così il documento firmato da 183 costituzionalisti che spiega perché questi voteranno no al referendum per il taglio del numero dei parlamentari del prossimo 20 e 21 settembre.
A cura di Annalisa Girardi
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Sono almeno 183 i costituzionalisti che voteranno no al referendum sul taglio dei parlamentari. O meglio, questo il numero di professori, ricercatori ed esperti che hanno firmato il documento intitolato "Le ragioni del nostro NO al referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari". L'iniziativa è stata promossa da cinque costituzionalisti, che hanno precisato come questa sia "autonoma e totalmente indipendente" da qualsiasi altra di natura politica. Il suo obiettivo, comunque, è chiaro: "La materia costituzionale non può essere svilita fino a diventare argomento di mera propaganda elettorale" e "il taglio lineare prodotto dalla revisione incide sulla rappresentatività delle Camere e crea problemi al funzionamento dell’apparato statale".

La questione della rappresentanza

Il documento, promosso da Alessandro Morelli, Fiammetta Salmoni, Michele Della Morte, Marina Calamo Specchia e Vincenzo Casamassima, indica cinque principali ragioni per cui gli autorevoli firmatari voteranno no al referendum. Per prima cosa c'è la questione della rappresentanza: "La riforma svilisce, innanzitutto, il ruolo del Parlamento e ne riduce la rappresentatività, senza offrire vantaggi apprezzabili né sul piano dell’efficienza delle istituzioni democratiche né su quello del risparmio della spesa pubblica", maggior argomento sostenuto dai fautori della riforma. Secondo i 183 costituzionalisti però, non solo il taglio alla spesa sarebbe irrisorio, ma "gli strumenti democratici basilari (come appunto l’istituzione parlamentare) non possono essere sacrificati o depotenziati in base a mere esigenze di risparmio".

Gli altri organi elettivi

In secondo luogo, "la riforma presuppone che la rappresentanza nazionale possa essere assorbita nella rappresentanza di altri organi elettivi (Parlamento europeo, Consigli regionali, Consigli comunali, ecc.), contro ogni evidenza storica e contro la giurisprudenza della Corte costituzionale". Secondo i promotori della riforma, il taglio del numero dei parlamentari non porterebbe alcun danno al tema della rappresentanza, perché questa sarebbe comunque espressa da altri organi i cui membri vengono eletti dai cittadini. Ma i professori citano la Corte costituzionale per cui "solo il Parlamento è sede della rappresentanza politica nazionale, la quale imprime alle sue funzioni una caratterizzazione tipica ed infungibile".

I territori in Parlamento

Nel terzo punto si sottolinea come la riforma riduca "in misura sproporzionata e irragionevole la rappresentanza di interi territori". Se si guarda alla nuova composizione del Senato, infatti, alcune Regioni sarebbero sottorappresentate rispetto ad altre. Facciamo degli esempi: l'Abruzzo, con un milione e trecentomila abitanti, avrebbe diritto a quattro senatori. Ma il Trentino-Alto Adige, con un milione di abitanti e le province autonome, ne avrebbe sei. Oppure la Liguria, con cinque seggi, finirebbe per essere rappresentata al Senato nella sola zona genovese.

Il problema del bicameralismo perfetto

Con la riduzione del numero dei parlamentari, inoltre, non si risolverebbe il problema del bicameralismo perfetto. Nonostante i sostenitori della riforma affermino spesso come questa sia volta a rendere più efficiente il sistema paramentare, secondo i 183 costituzionalisti in realtù questa non farebbe altro che aggravare i problemi del bicameralismo perfetto. "L'attuale riforma non introduce alcuna differenziazione tra le due Camere ma si limita semplicemente a ridurne i componenti, il cui elevato numero costituisce una caratteristica del Parlamento e non del bicameralismo perfetto", si legge.

La logica punitiva

Infine, "la riforma appare ispirata da una logica “punitiva” nei confronti dei parlamentari, confondendo la qualità dei rappresentanti con il ruolo stesso dell’istituzione rappresentativa". Secondo i professori che hanno firmato il documento la riforma apparirebbe ispirata dalla volontà di punire i parlamentari, "visti come esponenti di una “casta” parassitaria da combattere con ogni mezzo, ed è il segno di una diffusa confusione del problema della qualità dei rappresentanti con il ruolo dell’organo parlamentare". Tuttavia, si sottolinea, "non è dato riscontrare un rapporto inversamente proporzionale tra il numero dei parlamentari e il livello qualitativo degli stessi". Ragion per cui, alla fine, la riduzione dei parlamentari "penalizzerebbe soltanto la rappresentanza delle minoranze e il pluralismo politico e potrebbe paradossalmente produrre un potenziamento della capacità di controllo dei parlamentari da parte dei leader dei partiti di riferimento, facilitato dal numero ridotto degli stessi componenti delle Camere".

Inoltre, secondo gli accademici non deve essere trascurato "lo squilibrio che si verrebbe a determinare qualora, entrata in vigore la modifica costituzionale, non si avesse anche una modifica della disciplina elettorale, con essa coerente, tale da assicurare – nei limiti del possibile – la rappresentatività delle Camere e, allo stesso tempo, agevolare la formazione di una maggioranza (sia pur relativamente) stabile di governo". Il documento conclude definendo "illusorio" il pensare alle riforme costituzionali come le cause di uno "shock a un sistema politico-partitico incapace di autoriformarsi, nella speranza che l’evento traumatico possa innescare reazioni benefiche. Una cattiva riforma non è meglio di nessuna riforma. Semmai è vero il contrario". Il documento quindi si chiude descrivendo la riforma come "monca e destabilizzane".

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